Breve memorandum sui reati del sostituto

di Cristina Costantino*

In questa sede si effettua una breve analisi, sui reati in cui può incorrere il sostituto d’imposta in generale ed il datore di lavoro in particolare nell’esercizio della sua attività, considerando inoltre la posizione che può assumere il professionista nelle scelte del proprio cliente e le possibili conseguenze.Può accadere, soprattutto per realtà economiche di ridotte dimensioni o comunque svolte/esercitate con l’ausilio di un numero limitato di lavoratori, che si trascurino i rischi e le insidie che si “nascondono dietro l’angolo”. In questo momento di crisi economica e finanziaria le aziende sono chiama- te a ragionare in termini di “priorità” nella gestione delle risorse finanziarie. Così può capitare che scelgano di privilegiare, rispetto ad altri creditori, i fornitori e i dipendenti. E’ evidente che senza la materia prima impiegata nell’attività e senza la prestazione lavorativa dei dipendenti l’attività non possa essere esercitata. Di conseguenza, pagare i fornitori ed i lavoratori dipendenti, al di là di considerazioni etiche o legali, è fondamentale per la stessa continuità aziendale, anche se ciò comporta l’inadempimento di obblighi tributari o previdenziali. Vediamo quali potrebbero essere le conseguenze:

1) Reato di omesso versamento di ritenute certificate: l’art 10bis del D.Lgs. 74/2000 punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versi entro il termine previsto per la presentazione della dichiara- zione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta. Tale fattispecie criminosa è stata aggiunta nell’impianto normativo dei nuovi reati tributari con la finanziaria 2005, pur essendo prevista nel vecchio impianto normativo (Legge 516/1982). Per un certo pe- riodo di tempo la fattispecie era stata quindi depenalizzata e la sua inclusione nel D.Lgs. 74/2000 desta qualche perplessità, in quanto completamente sganciata dai principi informatori del Decreto, cioè quelli di punire una condotta caratterizzata dal dolo specifico di evasione e relativa al principale obbligo posto in capo al contribuente, la dichiarazione annuale dei redditi e IVA, ed alle condotte fraudolente ad esso connesse.

La fattispecie penalmente rilevante è il mancato versamento di ritenute certificate, quindi, non sono state trasfuse nel nuovo art. 10bis le fattispecie punite dalla legge 516/1982, di omessa presentazione della dichiarazione annuale e mancato rilascio del- la certificazione dell’avvenuto versamento.

A parte le critiche della dottrina sulle modalità di “recupero” della fattispecie all’interno dell’impianto normativo, le criticità maggiori sono da rinvenire nell’identificazione del momento in cui si consuma il reato. La sen- tenza della Cassazione penale del 1 ottobre 2014 n. 40526, superando precedenti orientamenti della stessa Corte, conferma la por- tata letterale della norma, sganciando l’illecito penale dall’effettiva presentazione del modello 770 e dai dati in esso contenuti, e sostenendo che integra il reato l’omesso versamento di ritenute certificate entro il termine della presentazione della dichiara- zione, da cui discende che il mancato versamento di ritenute, certificate successiva- mente al termine della presentazione della dichiarazione, non è penalmente rilevante così come l’omessa presentazione della dichiarazione; la mancanza quindi della dichiarazione di scienza, dell’affermazione dell’an debeatur e quantum debeatur è di fatto irrilevante ai fini dell’integrazione del reato.

Al di là della sanzione amministrativa, che rimane comunque applicabile, il reato si consuma solo al verificarsi di entrambe le condizioni: mancato versamento nei termini di presentazione del 770 di ritenute che, sia- no state innanzitutto certificate (operate, non operate) e la cui certificazione sia stata rilasciata entro lo stesso termine e non successivamente.

2) Reato di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali: l’art. 2 del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463 (convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638) punisce, con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino ad euro 1.032,91, il datore di lavoro che omette di versare le ritenute previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori di- pendenti. Il datore di lavoro non è punibile nel caso in cui provveda al detto versamento entro il termine di tre mesi dalla contesta- zione o dalla notifica dell’avvenuto accerta- mento della violazione. In primo luogo oc- corre puntualizzare che si tratta di ritenute su retribuzioni erogate, ovvero, se la retribuzione non viene corrisposta non ci sarà nessuna ritenuta effettuata, tuttavia l’Inps, desumendo l’omissione dalle denunce Uniemens, non si preoccupa di certo di sapere se le retribuzioni siano state in effetti corrisposte, con l’onere in capo al datore di lavoro di provare l’esimente. In secondo luogo si segnala come in diverse sedi dell’Inps “la mano destra non sa cosa fa la sinistra”, cosicché può capitare che il datore di lavoro abbia ottenuto una rateazione per debiti contributivi pregressi e venga raggiunto ugualmente dalla diffida, da parte dell’Istituto, ad ottemperare nel termine di tre mesi al pagamento delle ritenute. A Reggio Calabria c’è stato il caso di un datore di lavoro che, per un difetto di notificazione, non è venuto a conoscenza della contestazione e si è trovato coinvolto in un procedimento penale, con assegnazione di un avvocato d’ufficio, di cui ha avuto conoscenza solo al termine del giudizio.

La legge delega 28 aprile 2014, n. 67 ha de- mandato al Governo l’emanazione dei decreti per la riforma della disciplina sanzionatoria di alcuni reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili. Tra questi ha previsto la trasformazione in illecito amministrativo del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali per importi non superiori ai 10.000 euro annui, preservando comunque la possibilità per il datore di lavoro di non rispondere neanche amministrativa- mente, in caso di versamento delle ritenute entro il termine di tre mesi dalla contesta- zione della violazione. In attesa dei decreti delegati rimane in vigore l’art. 2 del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463, nonostante diversa giurisprudenza di merito si sia espressa in favore della decorrenza della de- penalizzazione già con l’emanazione della legge delega.

3) Reato d’indebita percezione di erogazioni ai danni della Stato. Una terza ipotesi di interesse è relativa al caso in cui il datore di lavoro porti in compensazione sul DM10 Inps somme a credito per anticipazioni a carico dell’Istituto e versi il saldo pur non avendo corrisposto le retribuzioni (quindi erogato le prestazioni). Il caso non è affatto infrequente, infatti, quando si elaborano i cedolini paga e si determinano i contributi previdenziali si ignora il rischio che le retribuzioni (nette) non vengano corrisposte e, come se non bastasse, proprio per incassare i crediti e poter disporre della liquidità a tal fine necessaria, si preferisce pagare i contri- buti Inps, per ottenere il “famigerato” Durc, senza il quale gli incassi spesso rimangono “congelati” molto a lungo. Il pagamento dei contributi Inps (DM10), con la compensa- zione automatica (somme a debito-somme a credito) di prestazioni di malattia/maternità o degli assegni familiari che non sono stati in effetti pagati ai lavoratori, ad esempio, integra il reato d’indebita percezione di erogazioni ai danni della Stato , ex art. 316-ter c.p., punito con la reclusione da sei mesi a tre anni! (cfr. sentenza 48663/14. della Seconda Sezione Penale della Cassazione ). E’ appena il caso di ricordare che: “Commette il reato d’indebita percezione di erogazioni ai danni della Stato – punito, ex art. 316-ter c.p., con la reclusione da sei mesi a tre anni – il datore di lavoro che, mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore a titolo d’indennità per malattia o maternità o assegni familiari, ottiene dall’INPS il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all’Istituto a titolo di contributi previdenziali, così percependo indebitamente dallo stesso Istituto le corrispondenti erogazioni.” 

Risulta evidente come lo spartiacque tra comportamento lecito e illecito non sia di facile da individuare., infatti, comportamenti assolutamente privi di intenzioni illecite possono avere conseguenze penalmente rilevanti ed anche i professionisti che assistono abitualmente i datori di lavoro debbono essere “vigili”, non limitandosi ai soli adempimenti di cui sono incaricati, come l’elaborazione dei cedolini paga, ma svolgendo anche un’azione di controllo a campione nel corso dell’anno, e segnalando tempestivamente agli interessati le conseguenze dei loro mancati e/o ritardati pagamenti.

Senza alcuno scopo “intimidatorio”, si ricorda che ove il professionista suggerisca al cliente come destinare le sue insufficienti risorse finanziarie, senza aver chiara la situa- zione e senza rendersi conto delle conseguente penali, può risponderne per dolo eventuale, come dimostra la più recente giurisprudenza in merito. Mentre le norme speciali in materia di reati tributari e previdenziali hanno subito un’evoluzione nel tempo, il codice di penale è ancora quello del 1930, ma quello che è cambiato è l’indirizzo giurisprudenziale, che negli ultimi anni ha visto sempre di più i professionisti coinvolti nelle vicende giudiziarie dei propri clienti e addirittura essere dipinti come i veri “deus ex machina” delle attività illecite dei loro clienti. Il professionista è anzitutto un cittadino come tale deve essere perseguito se commette un reato, ma quel che preoccupa è la campagna che ultimamente viene fatta attraverso i mass media sulla figura indistinta del professionista dell’area amministrativo contabile, anche usando in modo improprio il termine commercialista, da cui emerge un soggetto che favorisce l’evasione!

Perseguire le attività illecite è principio fondamentale di uno stato di diritto, ma la caccia alle streghe ci riporta al XV secolo e non se ne sente proprio il bisogno!

* Odcec di Reggio Calabria

 

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