Legge di stabilità: le novità in materia di Irap

di Paolo Soro*

La legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) ha apportato rilevanti modifiche alla normativa IRAP, che era già stata oggetto di “attenzioni” da parte del Legislatore nel corso dell’anno 2014. Tali modifiche hanno efficacia in parte sull’anno d’imposta 2014, nella misura in cui – ahinoi – hanno ridotto o eliminato benefici precedenti, ed in parte sull’anno d’imposta 2015, con la tanto attesa deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile di una delle imposte più criticate della storia del diritto tributario nel nostro Paese.

Entrando nel vivo delle modifiche, prendiamo atto che il Legislatore è intervenuto stabilendo (articolo 1, commi da 20 a 25, Legge 190/2014), sostanzialmente, quanto segue:

  • il ripristino, fin dall’esercizio 2014, dell’originaria aliquota base del 3,9%, contestualmente abrogando la disposizione del decreto legge n. 66/2014 (c.d. Decreto Renzi), che l’aveva ridotta al 3,5%;
  • la deducibilità integrale dalla base imponibile del costo dei dipendenti a tempo indeterminato, a decorrere dal 2015.
  • un credito d’imposta pari al 10% dell’IRAP, sempre a valere dal 2015, da utilizzare in compensazione nel modello F24, per coloro che non si avvalgano di lavoratori dipendenti.

Risulta, dunque, evidente che:

  • l’intervento legislativo non produce benefici immediati per i contribuenti, anzi, ne elimina alcuni esistenti;
  • per porre rimedio a una probabile ecce- zione di disparità costituzionale tra chi ha dipendenti assunti a tempo indeterminato e chi non ha personale, si è commesso un grossolano errore, lasciando totalmente “scoperti” (cioè, privi di qualsiasi beneficio), i datori di lavo- ro che hanno in forza dipendenti a tempo determinato!

Il decreto legge n. 66/2014 “Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale” aveva determinato una diminuzione dell’aliquota IRAP generale di circa il 10%, con la possibilità di procedere al ricalcolo degli eventuali acconti d’imposta dovuti nell’anno in base al metodo previsionale, con l’applicazione di una aliquota intermedia del 3,75%. A distanza di sei mesi dall’approvazione dalla conversione del citato decreto, la riduzione dell’aliquota è scomparsa, facendo salvi, per fortuna, gli eventuali pagamenti d’acconto eseguiti in misura proporzionalmente ridotta, sulla base del metodo previsionale. Per- tanto, il saldo dovuto nel mese di giugno 2015 sarà maggiorato a causa di tale differenza di aliquota, ma non comporterà sanzioni per il contribuente, anche perché, per pagare una somma maggiore, il “povero” contribuente avrebbe dovuto avere la sfera di cristallo!

Come “contropartita” alle suddette modifiche della normativa IRAP, nell’immediato peggiorative, è stata prevista una deducibilità del costo del lavoro concernente i dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato. La norma non pone un limite al riguardo, dunque, si deve intendere che valga sia per quelli con contratto a tempo pieno che per i lavoratori part-time (analogamente anche a quanto affermato, sul fronte dell’esonero contributivo, da parte dell’INPS, nella sua circolare 17/2015). Tale beneficio, peraltro, opererà a decorrere dall’anno 2015 e non, come per la previgente riduzione di aliquota, dal 2014. Conseguentemente, la deduzione potrà solamente essere presa in considerazione al fine del computo (in diminuzione) degli acconti 2015, da pagare a giugno e a novembre, utilizzando il consueto metodo di calcolo previsionale. Restano esclusi dai nuovi vantaggi fiscali concernenti l’IRAP, i professionisti e gli imprenditori che occupano dipendenti a tempo determinato. Al riguardo, superfluo ribadirlo anche in questa sede, si attendono indispensabili correttivi legislativi e/o interpretativi, posto che pare evidente trattarsi di un vuoto (errore) normativo.

Vi sono, poi, indicazioni non univoche relativamente a coloro che si avvalgono esclusivamente di collaboratori a progetto, CO.CO.CO., associati in partecipazione ed assimilati. Posto che la norma fa riferimento in modo generico ai soggetti che non si avvalgono di dipendenti e che le categorie appena sopra menzionate non sono ricompre- se tra i lavoratori dipendenti (tanto meno, tra quelli con contratto a tempo indeterminato), a parere di chi scrive, coloro che si avvalgono di tali collaborazioni rientrano tra i fruitori del generale credito d’imposta del 10%, mentre restano indeducibili gli emolumenti degli amministratori, nonostante quanto già più volte affermato dalla Giurisprudenza di Cassazione in merito.

Tornando alla questione pocanzi rilevata, concernente l’anomala esclusione da qualunque beneficio per i datori di lavoro con personale a termine, pare doveroso fare un brevissimo excursus storico dell’IRAP.

La volontà del Legislatore del 1997 nell’istituire l’imposta, giova ricordarlo, era costituita:

  • da una natura manifestamente sostituti- va, pur ciò non significando affatto continuità teleologica e strutturale con i tributi sostituiti (principalmente: ILOR, ICIAP, Contributi per il Servizio Sanitario Nazionale, Tassa sull’attribuzione della Partita IVA, Imposta sul patrimonio netto delle imprese), tendente a conseguire un interesse di semplificazione del sistema (oltre al principio di valore concernente l’invarianza del gettito);
  • dall’avvio del decentramento fiscale, nonché dal riallineamento, in capo ai medesimi centri decisionali, delle fasi d’imposizione e di attuazione del prelievo fiscale;
  • dalla maggiore neutralità dell’ordinamento tributario in ordine alla scelta dei mezzi di finanziamento delle imprese.
    La legittimità di tali elementi era stata a suo tempo avvallata anche dalla Consulta (Ordinanza 258/2009). Ci sembrerebbe, dunque, che tutto ciò comporti il manifestarsi di non pochi dubbi sulla liceità costituzionale di una disposizione che non tenga in considerazione il costo del lavoro nella sua interezza (escludendo dai benefici, appunto, il personale assunto a tempo determinato – ma, aggiungeremo noi, anche collaboratori, asso- ciati etc.), specie laddove – come vedremo più oltre in dettaglio – simili forme di vantaggio fiscale vengono viceversa previste persino nei riguardi di coloro che non sopportano alcun costo del lavoro. Da notare, inoltre, che, per produttori e società agricole, la deduzione integrale è estesa dalla Legge di Stabilità anche ai dipendenti a tempo de- terminato, impiegati per almeno 150 giorni nel periodo d’imposta, e con contratti di durata minima triennale (seppure tale previsione sia una di quelle sottoposta alla preventiva autorizzazione da parte della Commissione Europea). Riepilogando, dunque, la nuova disposizione prevede che sia deducibile dalla base imponibile IRAP, il saldo tra il costo complessivo dei dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato nell’anno 2015 e le già vigenti deduzioni le- gate all’impiego di personale, vale a dire:
  • contributi INAIL;
  • deduzione forfettaria e analitica per l’impiego di dipendenti a tempo inde- terminato che dal 2015 diventano: 7.500 euro (anziché 4.600), calcolate su base annua per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nel pe- riodo d’imposta, aumentate a 13.500 (anziché 10.600) “per i lavoratori di ses- so femminile, nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni” (rispettivamente: 15.000 e 21.000, per Mezzogiorno e Abruzzo)
  • deduzione forfettaria delle indennità di trasferta per le imprese di autotrasporto;
  • deduzione forfettaria per i lavoratori di- pendenti di soggetti con ricavi < 400 mi- la euro;
  • spese apprendisti, disabili, inserimento, nonché addetti alla ricerca e sviluppo;
  • deduzione nuovi assunti.

Tra le “novità positive” del suddetto inter- vento legislativo, c’è l’aumento delle deduzioni che diventano: 7.500 euro (anziché 4.600), calcolate su base annua per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nel periodo d’imposta, aumentate a 13.500 (anziché 10.600) “per i lavoratori di sesso femminile, nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni” (rispettivamente: 15.000 e 21.000, per Mezzogiorno e Abruzzo).

Passando, ora, agli imprenditori e ai professionisti che non occupano personale, come inizialmente accennato, la legge prevede un credito d’imposta pari al 10% dell’IRAP, al posto della predetta deduzione. Sostanzialmente, per tali soggetti, viene introdotta analoga diminuzione a quella già prevista nel DL 66/2014, in modo generalizzato per tutti: per la precisione, la nuova aliquota ordinaria, al netto del credito d’imposta, sarà del 3,51% (era del 3.5%, nell’anzidetto decreto). Di tale credito d’imposta potranno beneficiarne, non solo i piccoli contribuenti senza personale (i quali, non rientrando tra quelli senza “autonoma organizzazione”, continuano a versare l’imposta regionale), ma, di regola, tutte le imprese che esternalizzano i processi produttivi e non hanno dipendenti propri (esempio: società immobiliari che appaltano a terzi il lavoro). Il credito in argo- mento potrà essere portato in compensazione nel modello F24 ai sensi del D.Lgs. 241/1997, rientrando così nel tetto annuo complessivo dei 700.000 euro. Detta compensazione sarà effettuabile dall’anno di presentazione della dichiarazione IRAP da cui emerge l’imposta che dà diritto al credito. Conseguentemente, posto che il credito abbia competenza 2015, esso potrà essere fruito a partire dal 2016.

Prima di chiudere anche questo argomento, ci pare doveroso richiamare l’attenzione su un altro aspetto di rilevante importanza, rimasto senza disciplina normativa. Attenendosi al tenore letterale, il credito d’imposta spetta solo se il contribuente non ha avuto alcun dipendente nell’esercizio considerato. Su tali presupposti, saremmo costretti a escludere qualunque beneficio in tutte quelle ipotesi nelle quali, a esempio, risultava in forza anche una sola unità lavorativa per un giorno. Francamente, ci pare che la cosa va- da ben oltre la volontà del Legislatore e parrebbe oltremodo opportuno che l’Agenzia delle Entrate intervenisse a chiarire come, in tali casi, si debba perlomeno procedere con un ragguaglio proporzionale, relativamente ai giorni effettivi di assenza totale della manodopera. In caso contrario, si creerebbe un’indebita sperequazione. Anche per tale fattispecie, citiamo nuovamente a sostegno della nostra tesi l’interpretazione fornita dall’INPS (stessa circolare più sopra menzionata), la quale, in tema di esonero contributivo, prevede un riproporzionamento, laddove lo stesso non sia stato adeguata- mente statuito dal Legislatore, onde evitare abnormi disequilibri.

Analizziamo ora gli aspetti meramente contabili e gli immediati riflessi di natura tributaria.

Il nuovo credito d’imposta sarà soggetto a essere contabilizzato nel bilancio, allocandone l’importo presso l’ordinaria voce dello Stato Patrimoniale, con obbligatoria contro- partita sul Conto Economico. Innanzitutto, una breve considerazione al riguardo. In osservanza al principio di competenza, a nostro avviso, parrebbe maggiormente opportuno contabilizzare le poste fin dall’esercizio in cui il credito è riconosciuto, posto che, a tale epoca, questo credito è assolutamente certo, seppure divenga esigibile tramite compensazione solo l’anno successivo, con la presentazione della dichiarazione. Vice- versa, in base ad altro ragionamento, potrebbe preferirsi la contabilizzazione solo nell’anno di presentazione della dichiarazione IRAP, onde rappresentare il credito nella sua misura divenuta effettivamente definiti- va. Atteso poi, che la finalità della norma è quella di ridurre il carico fiscale prodotto dall’IRAP e che, pertanto, il credito viene utilizzato portandolo in compensazione d’imposta, si potrebbe iscrivere tale voce nel Conto Economico, tra le imposte differite attive. Ovvero, considerarlo alla stregua di un qualunque altro contributo e inserirlo tra i proventi straordinari, quale sopravvenienza attiva. Ebbene, posto che la legge nulla dice riguardo al regime fiscale del credito d’imposta ai fini del reddito d’impresa o di lavoro autonomo, sarebbe lecito ipotizzare che detta voce non dovesse necessariamente ritenersi imponibile (o, almeno, non totalmente). Invece, in base alle risposte fornite dagli esperti dell’Agenzia delle Entrate, è stata confermata la natura di sopravvenienza attiva del credito d’imposta in argomento, con una serie di conseguenze fiscali assai poco condivisibili. L’importo, infatti, dovrà sottostare alla tassazione ordinaria, riducendo sostanzialmente i benefici effettivi del provvedimento. Orbene, a parere di chi scrive, tale interpretazione, pur se incensurabile sulla base del mero tenore letterale della norma, cozza in modo palese con quel- la che, presumibilmente, dovrebbe essere stata la reale volontà del Legislatore. Ricordiamo, oltre tutto, che questa disposizione è una di quelle aggiunte all’ultimo momento, ed è dunque, più che plausibile, che i necessari correttivi possano essere risultati assenti soltanto a causa di una probabile svista. Pertanto, bene avrebbe agito l’Agenzia delle Entrate se si fosse immediatamente premurata di fornire un’interpretazione difforme rispetto a quanto detto.

Ci preme solo evidenziare concludendo che, stante tale soluzione, si deve riscontrare:

  1. un’evidente mancanza di coerenza dell’imponibilità del credito d’imposta rispetto alle finalità dell’intervento: se deve trattarsi di un aiuto introdotto in extremis per soggetti che avrebbero patito svantaggi dalla nuova norma, tale aiuto dovrebbe essere pieno e concreto, non parzialmente menomato;
  2. una carenza di equilibrio numerico che sorregga la conclusione d’imponibilità: infatti, se s’intende ripristinare la situazione vigente prima della Legge di Stabilità, allorché la minore aliquota del 3,5% era applicabile per tutti i soggetti, si deve concludere che la riduzione del 10% dev’essere effettiva e non mutilata dall’aggravio del prelievo fiscale ordinario;
  3. premesso che la Relazione Tecnica, per effettuare la stima della perdita di gettito, utilizza il modello di micro‐simulazione IRAP (base dati: anno d’imposta 2012), in funzione del quale individua la platea di contribuenti che non utilizzano lavoratori dipendenti, e determina il valore del credito d’imposta pari al 10% dell’imposta lorda pari a 163 milioni di euro su base annua, a decorrere dal 2016; poiché nessuna considerazione viene effettuata in merito al recupero di parte della perdita di gettito derivante dalle maggiori imposte dirette incassate, l’idea dell’imponibilità non pare possa avere neppure lontanamente sfiorato il Legislatore, il quale, conseguentemente, la dava quasi per scontata, e deve aver semplicemente “dimenticato” (rectius, errato) di aggiungere il necessario conseguente correttivo normativo.

Infine, superfluo rappresentarlo, sulla base della menzionata risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate, si viene a creare sull’effettivo vantaggio offerto con il beneficio di legge in parola, un’indebita disparità tra le imprese e i professionisti, per i quali, come noto, dette sopravvenienze non rilevano ai fini impositivi.

* ODCEC di Cagliari

 

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