LO STRESS BUONO E LO STRESS CATTIVO

di Nicoletta Torre Casnedi* 

Il 27 aprile 2008 viene pubblicato un nuovo decreto legislativo in materia di Salute e Sicurezza sui posti di lavoro.

Questo decreto introduce tra le valutazioni dei rischi in ambiente lavorativo, un’importante novità, ovvero quella relativa allo stress lavoro correlato.

Da un punto di vista culturale, questo evento costituisce l’inizio di una rivoluzione che ha come obiettivo l’incremento della sensibilità di Datori di Lavoro e Lavoratori sul tema della Salute e non più solo relativamente agli aspetti connessi alla Sicurezza.

È importante sottolineare che il primo passo affinché una rivoluzione culturale possa prendere piede è rendere quanta più popolazione possibile, non solo informata, ma anche consapevole e sensibile rispetto al tema che si sta trattando.

Dal momento che è più difficile correggere una convinzione erronea che apprendere qualcosa di nuovo, ritengo che come primo passo per la costruzione di una cultura del benessere anche da un punto di vista psicosociale, sia utile individuare e correggere eventuali credenze imparziali, imprecise e iatrogene, che comunemente si possiedono riguardo allo stress.

Per questo motivo ho deciso di proporre un percorso che possa permettere di scoprire alcuni aspetti del processo stress di cui comunemente non si parla.

La prima convinzione imprecisa che generalmente si ha riguardo allo stress è che sia un processo squisitamente negativo.

Generalmente diciamo che siamo stressati quando siamo oberati di lavoro e scadenze, quando abbiamo la percezione che la mole di impegni che dobbiamo gestire superi le nostre capacità di risposta o quando non ci sembra di vedere la luce in fondo al tunnel di un periodo molto intenso.

Nel caso in cui invece ci approcciamo ad un progetto con entusiasmo, sentiamo di avere strumenti e tempi adeguati o viviamo uno sforzo molto intenso e gratificante ma non troppo durevole nel tempo, parliamo di entusiasmo o adrenalina.

Lo STRESS È UN PROCESSO NEUTRO, è la risposta del nostro organismo a situazioni e sfide vissute da noi come perturbanti lo stato di omeostasi all’interno della nostra zona di comfort.

Nel caso in cui queste sollecitazioni siano percepite come gestibili e positive si parla di EUstress (stress buono), viceversa nel caso in cui siano percepite come eccessive o disfunzionali si parla di DIStress (stress cattivo).

Nel 1936 Selye1 parla di “sindrome generale di adattamento”, definendo quindi lo stress come la risposta del nostro organismo a una rottura dell’equilibrio uomo – ambiente; quindi di per sé lo stress non è un processo patologico, ma semplicemente una risposta di adattamento.

Le attivazioni che viviamo durante questa nostra risposta ad uno stimolo ambientale possono essere viste come il «rombo del motore prima che si parta per la gara». Come pensiamo allo stress e come lo viviamo, però, influenza in maniera diretta la possibilità che questo possa essere o meno nocivo. Kelly McGonigal, in un interessantissimo TED TALK2, spiega come la prospettiva che abbiamo sullo stress possa essere fondamentale per la nostra salute. È importante non considerare lo stress come un nemico di cui liberarsi, cosa tra l’altro di per sé impossibile per definizione, ma piuttosto riuscire a conoscerlo interpretandone correttamente i segnali e diventando così competenti nel gestirlo.

Pertanto non vogliamo liberarci dello stress, ma vogliamo essere bravi a fronteggiarlo. 

Le ricerche che la psicologa statunitense cita a supporto delle sue affermazioni sono principalmente due.

La prima di queste due ricerche è stata condotta su un campione di 30.000 persone monitorate per otto anni e a cui era stato chiesto se pensassero che lo stress fosse nocivo per la loro salute3. Contemporaneamente si monitoravano i registri pubblici dei decessi. Si è osservato che le persone che credevano che lo stress fosse nocivo per il loro benessere avevano il 43% di rischio in più di morire rispetto a persone con lo stesso livello di stress percepito.

Le persone invece che non vedevano lo stress come nocivo non erano più propense a morire, anzi ne registravano il rischio minore in assoluto, anche rispetto a coloro che avevano dichiarato di avere un basso livello di stress percepito.

Questo quindi ci dice che come pensiamo allo stress fa la differenza! 

Cambiare la propria opinione riguardo allo stress può modificarne la risposta fisiologica del corpo. Per argomentare questa affermazione viene citata una ricerca che va ad osservare le risposte fisiologiche durante una situazione di social stress.

Nella ricerca4 si osserva che i soggetti a cui era stato spiegato a cosa servano le alterazioni corporee che si sperimentano durante una situazione stressante, come ad esempio l’aumento del battito cardiaco necessario a prepararci all’azione e l’incremento del ritmo respiratorio utile a portare più ossigeno al cervello, riuscivano a mantenere un profilo cardiovascolare più rilassato. Questo accade perché l’attribuzione di senso a quello che sta loro accadendo si configura come positiva e pertanto è associata alla produzione di neurormoni simili a quelli del profilo del coraggio; viceversa se l’attribuzione di senso si configura come negativa, si avrà un’attivazione più simile a quella che si ha in momenti di ansia e paura e si osserverà una maggiore produzione di cortisolo.

Sapere che lo stress è semplicemente una risposta del nostro organismo di fronte astimolazioni dell’ambiente, conoscere la funzione delle nostre attivazioni di risposta e saperle interpretare correttamente durante una situazione prestazionale, ci permette di modificare e regolare la nostra reazione fisica.

*Psicologo della salute organizzativa e psicoterapeuta in Milano


 

  1.  Hans Selye (Vienna, 26 gennaio 1907 – Montréal, 16 ottobre 1982) medico austriaco ricordato per le ricerche effettuate sullo stress e per la Sindrome Generale di Adattamento
  2. Kelly McGonigal, Come farsi amico lo stress, TEDGlobal 2013 
  3.  Keller, Litzelman, Wisk e al 2012, University of Wisconsin, School of Medicine and Public Health
  4. Jamieson, Nock e Mendes 2012, Harvard University,  Department of Psychology.

 

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.