La rete “pesca” il jolly della codatorialità

di Maurizio Centra* e Filippo Mengucci**

La capacità competitiva del nostro Paese è, da sempre, strettamente connessa al dinamismo ed all’innovazione delle sue imprese e, in particolar modo, di quelle di piccole e medie dimensioni (PMI), che sono la maggioranza.

Gli imprenditori ed i manager d’azienda, al di la delle loro individuali competenze e propensione al rischio, sono abituati al confronto e, molto spesso, alla collaborazione, anche con i loro potenziali concorrenti. Nell’economia italiana i fenomeni associativi sono “datati” e, soprattutto, diffusi su tutto il territorio in varie forme, dai consorzi nel settore agro alimentare ai gruppi di acquisto di materie prime, dalle associazioni per partecipare ad appalti pubblici e/o privati alle cooperative. Non è un caso, infatti, che nel nostro ordinamento i consorzi e le cooperative siano coevi delle società commerciali (Cfr. Codice civile del 1942).

Negli ultimi sessanta anni, la collaborazione tra soggetti economici ha assunto forme variegate ed ha “sperimentato” nuovi strumenti, sempre allo scopo di salvaguardare le caratteristiche di dinamismo ed innovazione, senza le quali è difficile per un’impresa italiana essere competitiva, soprattutto in un mercato “globalizzato”, condizionato dall’offerta di prodotti a prezzi particolarmente bassi, provenienti, principalmente, dall’estremo oriente.

Agli strumenti giuridici esistenti, nel 2008, si è affiancato il contratto di rete, che consente alle imprese di mettere in comune delle attività e delle risorse, allo scopo finale di essere più competitive, mediante la riduzione dei costi di produzione, l’aumento delle vendite e/ o l’accesso a mercati altrimenti interdetti di fatto; si pensi alle esportazioni in paesi extra europei ovvero alla partecipazioni a fiere o mostre campionarie internazionali, per le quali è possibile ripartire le spese fisse (es. export manager, stand, promozione).

L’utilizzo del contratto di rete, che è stato piuttosto limitato nei primi anni, si sta facendo maggiormente “apprezzare” dal 2012, a seguito della legge 7 agosto 2012 n. 134, che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese, e, successivamente della legge 17 dicembre 2012 n. 221, che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, nonché della legge 24 dicembre 2012 n. 228 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)”.

Da un articolo apparso su Il Sole 24 Ore dell’11 marzo 2014, si apprende che nella seconda metà del 2013 sono stati sottoscritti 389 nuovi contratti di rete, con un aumento del 58% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e che l’Osservatorio di Intesa Sanpaolo – Mediocredito Italiano indica in 6.435 le imprese che, dal 2009, hanno stipulato un contratto di rete per “colmare il divario competitivo tra l’Italia e gli altri partner europei”, più della metà della quale sono di piccole e medie dimensioni.

Nonostante l’aumento degli ultimi tempi, la diffusione del “fenomeno” rete di imprese è ancora limitata, anche a causa della scarsa conoscenza dello strumento, sia tra gli operatori economici sia tra i professionisti. L’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma, per migliorare le competenze degli iscritti sull’argomento, nei giorni 4 e 6 marzo 2014 ha organizzato, tramite la Fondazione TELOS, un seminario di alta formazione specialistica, tenuto dal Prof. Massimiliano Di Pace dell’Università di Roma Tor Vergata, nel corso del quale sono stati approfonditi gli aspetti giuridici e pratici del contratto di rete.

In base alle informazioni disponibili, il contratto di rete si è rivelato utile quando più imprese di piccole e medie dimensioni si sono poste l’obiettivo di raggiungere una dimensione adeguata (massa critica) per competere su mercati più ampi di quelli abituali, non rinunciando alla propria indipendenza e identità.

Avendo riguardo allo scopo principale del contratto, si parla – in genere – di:

  • reti del sapere, per lo scambio di informazioni e di know-how;
  • reti del fare, per lo scambio di prestazioni;
  • reti del fare insieme, per realizzare progetti di investimento

Il contratto di rete è uno strumento duttile che può essere stipulato da due o più imprenditori, esclusi – quindi – i professionisti, e deve prevedere sia lo scopo finale (es. incrementare l’innovazione e la competitività) sia l’oggetto (es. la collaborazione in determinati ambiti). Il contratto, inoltre, può prevedere un fondo patrimoniale ed un soggetto esecutore, anche diverso da uno dei sottoscrittori (es. un professionista).

Per quanto riguarda gli adempimenti amministrativi, il contratto di rete deve essere redatto per atto pubblico, per scrittura privata autenticata o con atto firmato digitalmente, inoltre, deve essere depositato presso il Registro delle Imprese (Camera di Commercio).

L’esistenza del fondo patrimoniale determina la possibilità di attribuire alla rete la soggettività giuridica, con l’indicazione di

una sede e l’iscrizione del Registro delle Imprese (Camera di Commercio), nonché:

  • l’applicazione al fondo patrimoniale delle disposizioni dei fondi consortili, di cui agli articoli 2614 e 2615, secondo comma, del Codice civile, con la conseguente autonomia patrimoniale (della rete), che solleva i sottoscrittori (partecipanti) da eventuali obbligazioni conseguenti all’attività della rete;
  • l’obbligo di redigere annualmente, entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio, una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni del Codice civile per la redazione del bilancio della società per azioni, in caso di esercizio di un’attività commerciale;
  • l’obbligo di rispettare gli adempimenti tributari (es. fatturazione, dichiarazioni);
  • l’obbligo di indicare negli atti e nella corrispondenza la sede della rete e l’iscrizione del Registro delle Imprese (Camera di Commercio), come previsto dalla legge per i

Con riferimento all’esistenza o meno di un fondo patrimoniale, di un soggetto esecutore e della soggettività giuridica, si distinguono, in genere, le reti contratto dalle reti soggetto. Le prime (reti contratto) sono quelle che non hanno soggettività giuridica, possono avere il fondo comune e godono di una maggiore flessibilità, mentre le seconde (reti soggetto) hanno soggettività giuridica e sono assimilabili latu sensu ad altri strumenti associativi, come i consorzi, anche ai fini tributari.

In considerazione dello scopo finale e dell’oggetto, nonché delle modalità operative di svolgimento delle attività comuni, il contratto di rete può prevedere che i lavoratori di un’impresa prestino la loro attività a favore di uno degli altri sottoscrittori (partecipanti), in regime di distacco.

E’ appena il caso di ricordare che il distacco di lavoratori subordinati è un istituto che consente ad un datore di lavoro (distaccante) di mettere a disposizione di un altro datore (distaccatario), uno o più lavoratori per l’esecuzione di un’attività lavorativa e per un periodo di tempo determinati. Tale istituto, già conosciuto dalla dottrina e più volte oggetto di interventi della giurisprudenza, è stato regolato con il decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276, che si applica solo ai datori di lavoro privati.

Il distacco può essere considerato come una particolare forma di “decentramento produttivo”, mediante la quale il datore di lavoro distaccante soddisfa un proprio interesse e, di norma, è attuabile quando sussistano tre condizioni:

  • un interesse del datore di lavoro distaccante, che non sia solo quello di essere “sollevato” dal costo del lavoro, disponendo che il lavoratore presti la propria opera presso il soggetto distaccatario;
  • la temporaneità del provvedimento, nel senso che il distacco non può essere definitivo;
  • la permanenza in capo al datore di lavoro distaccante del rapporto con il lavoratore distaccato, benché il potere direttivo, di controllo e disciplinare passi al soggetto distaccatario.

In realtà la dottrina considera necessario anche un interesse del lavoratore distaccato, che può essere, ad esempio, quello di apprendere nuove (per lui) procedure di lavoro, ma non quello evitare il licenziamento. In ogni caso, il datore di lavoro distaccante rimane responsabile del trattamento economico e normativo del lavoratore distaccato che, pertanto, non cessa di essere suo dipendente.

L’istituto del distacco non richiede una previsione contrattuale, individuale o collettiva, né un accordo preventivo con il lavoratore interessato, che dalla data di efficacia del distacco stesso svolgerà le sue prestazioni altrove, in osservanza del dovere di obbedienza di cui all’art. 2104 del Codice civile, tranne il caso in cui il distacco comporti un mutamento delle sue mansioni. Ciò nonostante, è preferibile regolare il distacco mediante accordo individuale e, se il fenomeno può riguardare più lavoratori ovvero il ripersi nel tempo, stipulare anche un apposito protocollo (contratto di secondo livello) con le Organizzazioni sindacali dei lavoratori, interne e/o esterne all’azienda.

Il solo caso in cui è necessario il consenso del lavoratore interessato è il distacco con trasferimento ad una unità produttiva ad oltre 50 km dalla precedente sede di lavoro per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

L’art. 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276 al comma 1 stabilisce che “L’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa” ed al comma 4 ter che “Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009 n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice civile. Inoltre per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso.

La normativa vigente, dunque, stabilisce che:

  • la rete, al di là del fatto che si tratti di rete contratto o di rete soggetto, per il solo fatto di operare, costituisce l’interesse della parte distaccante al distacco del lavoratore subordinato (presunzione legale);
  • per i dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete, è ammessa la codatorialità.

Relativamente al distacco, il contratto di rete costituisce uno strumento di grande semplificazione che può, se correttamente utilizzato, ridurre anche i rischi di controversie tra le parti e dare certezza ai datori di lavoro sull’esercizio dei poteri direttivo e disciplinare.

Per quanto riguarda la codatorialità, argomento molto discusso in dottrina e “rigettato” a lungo dalla giurisprudenza, almeno fino alla sua recente introduzione nel nostro ordinamento, con il decreto legge 28 giugno 2013 n. 76, convertito con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 99, pur ammettendo la contitolarità solidale in capo a due imprese del rapporto di lavoro nel caso in cui si verifichino contemporaneamente la sostanziale unità delle strutture organizzative e produttive e l’utilizzazione promiscua del lavoratore medesimo da parte di ambedue le imprese (Cass. 24 marzo 2003 n. 2474), si aprono scenari assolutamente nuovi e potenzialmente forieri di “flessibilità buona”, ossia rispettosa degli interessi e della dignità dei lavoratori e, nel contempo, dell’efficienza e dell’efficacia gestionale delle imprese.

La legge (art. 30, comma 4 bis, del d.lgs. 276/2003) non prevede degli accordi collettivi che regolino la codatorialità e stabilisce chiaramente che sia il contratto di rete a definire le regole di ingaggio dei lavoratori con più datori di lavoro, ma il contratto di rete è un accordo tra due o più imprenditori, quindi, lavoratori da ingaggiare e/o le loro organizzazioni sindacali non sono parti nel medesimo contratto, né – si ritiene – che possano sottoscriverlo per adesione, regolando materie che non rientrano stricto sensu nella sfera di loro competenza giuridica.

A questo punto ci si dovrebbe domandare cosa siano le regole di ingaggio e perché il legislatore abbia utilizzato un termine “non consueto” nel diritto del lavoro privato, per indicare un istituto che, pur essendo nuovo, ha già dei “parenti” nel nostro sistema, si pensi al rapporto di lavoro part time, dove è previsto che un lavoratore abbia due o più datori di lavoro, anche se tali datori di lavoro, normalmente, non hanno rapporti tra di loro, al contratto di somministrazione, al distacco nell’ambito dei gruppi di imprese, per fare degli esempi.

Ragionevolmente, le regole di ingaggio dei lavoratori dovrebbero definire le azioni collegate al contratto di rete, quando, dove e come le risorse e le forze lavorative debbano essere utilizzate. Possono anche essere regole generiche ma, in ogni caso, adeguate e sufficienti e determinare:

  1. quando un lavoro deve essere effettuato;
  2. dove un lavoro deve essere effettuato;
  3. verso chi deve essere compiuta l’opera;
  4. come le unità operative coinvolte devono essere utilizzate al fine di ottenere lo scopo desiderato e con quale divisione dei tempi di tempo.

Le regole di ingaggio, dunque, sono di vitale importanza per la riuscita dello stesso contratto di rete, e appare evidente che debbano avere la forma scritta, anche se non espressamente previsto dalla legge. Trattandosi di regole che devono adattarsi ad una molteplicità di imprenditori che, impegnati magari in settore diversi, applicano diversi contratti collettivi di lavoro, se non addirittura contrattazioni di secondo livello o di prossimità, nasce anche l’esigenza primaria di definire:

a) le azioni possibili di fonte collettiva che ogni datore di lavoro può effettuare senza consultarsi con un altro datore di lavoro, a meno che non sia esplicitamente chiarito un ruolo predominate di una delle imprese partecipanti che non ammette una operatività delle altre sul personale dipendente (chiamato anche “comando per negazione”);

b) le azioni che possono essere effettuate solo se esplicitamente ordinate da un componente che assume una posizione datoriale superiore (chiamato anche “comando positivo”) ma che si riverberano nell’ambito dell’operatività di contratti collettivi degli altri componenti che, magari, prevedono delle limitazioni;

Oltre ai tradizionali ordini al personale subordinato, nella fonte pattizia è possibile vengano impartite delle regole addizionali di ogni singola risorsa (in base al CCNL di settore, alla qualifica, allo skill, al livello, all’area di impiego) prima di essere impiegata in qualunque missione lavorativa (magari addirittura prevedendone un ulteriore distacco dalla rete verso terze realtà produttive).

Tutte queste regole, comprese quelle addizionali, che limiti incontrano rispetto alla normativa sul diritto del lavoro? E sulla validità erga omnes dei contratti di prossimità in corso? Come si relazionano rispetto ai vari CCNL applicati dai partecipanti alla rete ed al presupposto dell’assoggettamento del prestatore di lavoro nei confronti del datore di lavoro che è identificabile nella possibilità di parte datoriale di poter determinare modalità e tempi di esecuzione dell’oggetto dell’obbligazione sorta dal contratto stipulato fra le parti? E quante e quali sono poi le parti in gioco? Con quali regole collettive applicano la tutela dei diritti sindacali di cui alla legge 300/70 nell’ambito dei procedimenti disciplinari?

Al momento, possiamo solo constatare che non solo sulle regole d’ingaggio ma sull’intero argomento della codatorialità la normativa del lavoro è molto vaga e la dottrina ancora non ha preso una chiara posizione, mentre gli addetti ai lavori stanno già affrontando i problemi pratici.

Ciò che è sicuro è che se ne discute, anche perché la norma di legge esiste e rappresenta senz’altro una nuova opportunità per i datori di lavoro per operare la condivisione delle risorse umane ma, al contempo, se non gestita con accortezza, potrebbe determinare rilevanti problemi nell’ambito della gestione condivisa dei rapporti di lavoro.

La cessione in modo continuativo da parte del prestatore della propria opera lavorativa (tempo ed energie) ad una molteplicità di datori di lavoro, pur se uniti temporaneamente dal contratto di rete, in cambio di una retribuzione monetaria, di garanzie di continuità e di una copertura previdenziale dove “collettivamente” possono essere stabilite le mansioni, i tempi, i luoghi e il frazionamento della remunerazione della prestazione va di fatto a scardinare il dogma che è alla base del diritto del lavoro; e ciò in totale contrapposizione con il rigido dettame dell’art.2094 del codice civile. Il codice, infatti, che si limita ad enunciare la definizione di prestatore di lavoro subordinato, ammette una definizione giuridica orientata all’imprenditore. Mai ad una molteplicità di imprenditori peraltro temporaneamente aggregati. Troverebbe applicazione quindi, come per il caso del lavoro somministrato, l’orientamento dottrinale favorevole alla compatibilità logica tra il tipo legale di cui all’art.2094 del Codice civile e la dissociazione tra il titolare del contratto dal lato del datore di lavoro e l’utilizzatore della prestazione. Anche se dalla formulazione letterale del predetto articolo del codice non si può trarre argomento contrario a tale compatibilità perché la norma nulla dice circa il soggetto con il quale il lavoratore può contrarre ed obbligarsi (salvo leggere che è unico). Pare ravvisarsi ora, nella codatorialità, la possibilità di “negoziazione della subordinazione” con l’obbligo per il lavoratore di assoggettarsi anche al potere direttivo di una molteplicità di soggetti terzi. Ne risulta pienamente confermata la costruzione del rapporto “plurilaterale” come rapporto di lavoro caratterizzato dalla “duplicazione del creditore della prestazione lavorativa”. Certo che, latu sensu, si dovrebbe concludere anche per una assunzione dell’obbligazione datoriale verso il prestatore con accollo ex lege dell’intero rischio derivante dal rapporto in via solidale tra i vari datori di lavoro aggregati in rete.

Sulla questione della codatorialità urge, quindi, identificare un collegamento negoziale (necessario) fra contratto di rete e contratto di lavoro avente ruolo di “cerniera” con il contratto di lavoro subordinato del prestatore.

In assenza di un quadro definito, basti pensare che anche sul termine codatorialità non esiste una definizione univoca, il contratto di rete assume un importanza fondamentale ed i sottoscrittori (partecipanti) hanno un ruolo primario nella negoziazione, per definire la più adatta e flessibile gestione dei rapporti di lavoro, caso per caso.

Per fare in modo che la negoziazione raggiunga gli obiettivi legalità e certezza richiesti dal nostro ordinamento, le regole di ingaggio dei lavoratori possono essere sottoposte al vaglio di una Commissione di certificazione dei contratti di lavoro, ai sensi del d.lgs. 276/2003, e costituire parte integrante del contratto di rete, ad esempio come allegato.

La certificazione dei contratti di lavoro, infatti, che introdotta nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 276/2003, è finalizzata a ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro, mediante un provvedimento (certificazione) che attesti l’esatta corrispondenza tra qualificazione formale del contratto e il suo contenuto effettivo.

Presso l’Università di Roma Tor Vergata è stata costituita una Commissione di certificazione dei contratti di lavoro, alla quale partecipano anche alcuni iscritti dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma. Attraverso il Consorzio Uniprof, si è giunti alla stipula di un protocollo di convenzione tra l’Università stessa e l’Ordine di Roma per far in modo che tutti i colleghi possano beneficiare di tale opportunità, che non si limita solo al circondario romano, ma ad un qualunque Ordine d’Italia, per loro e per i loro clienti, della certificazione di cui al d.lgs. n. 276/2003.

*Segretario della Commissione Diritto del Lavoro ODCEC Roma

**Componente della Commissione Diritto del Lavoro

 

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