Riders: dalla sentenza Foodora all’ Accordo Collettivo del 18 Luglio 2018

di Marco D’Orsogna Bucci * 

La definizione del confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo nel nostro paese è fonte da sempre di copiosa giurisprudenza e dottrina. La nascita e lo sviluppo di nuovi business legati alla gig- economy oggi più che mai pone interrogativi sulla correttezza delle forme contrattuali adottate dagli imprenditori nei confronti dei loro lavoratori/collaboratori.

Il caso Foodora balza alle cronache all’indomani della sentenza del Tribunale di Torino dello scorso 11 Aprile 2018 con la quale viene rigettato il ricorso di alcuni lavoratori della Digital Services XXXVI Italy Srl (Foodora) i quali chiedevano il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato in luogo di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409 del codice di procedura civile. I ricorrenti lavoravano presso Foodora in qualità di Riders.

La gig-economy in Italia

Prima di addentrarci nella disamina delle motivazioni a fondamento della decisione del Tribunale del capoluogo piemontese, è opportuno fare una piccola premessa sulle piattaforme operanti in Italia nel settore della consegna immediata via app. Parliamo di modelli che rappresentano l’evoluzione della classica figura del fattorino o del Pony Express. Le realtà principali che operano nelle grandi città del nostro paese sono Deliveroo, JustEat, UberEats, oltre che la succitata Foodora. Si stima che l’Italia rappresenti per la gig-economy un mercato potenziale da 2 miliardi di euro.

In tali realtà economiche trovano impiego migliaia di persone tra studenti universitari alla ricerca di un reddito per il mantenimento degli studi o per pagarsi la vacanza e lavoratori che in realtà hanno, nell’attività di rider, l’unica fonte di sostentamento per sé e per la propria famiglia.

Non è corretto però pensare che il rider sia un lavoratore di nuova generazione semplicemente perché lo smartphone ne organizza l’attività. Il rider rappresenta una delle tante modalità di rendere la prestazione lavorativa collocata in una fascia che potremmo definire “grigia”, al confine, cioè, tra subordinazione e autonomia, zona che è sempre esistita ma che ancora non ha una regolamentazione normativa. Se si guarda indietro negli anni la normativa italiana in tal senso risulta alquanto schizofrenica fino ad arrivare al d.lgs 81/2015 con il quale si sancisce definitivamente l’abolizione del contratto a progetto con la contestuale abrogazione della normativa contenuta nel d.lgs 276/2003.

Ma cosa accade oggi? Come vengono regolamentati i rapporti di lavoro tra le piattaforme della gig-economy e i rider? Intanto si può dire che le previsioni contrattuali non sono le stesse. Foodora in Italia applica ai propri rider un contratto di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409 del c.p.c. prevedendo un compenso che inizialmente era commisurato ad ogni ora di disponibilità offerta, ora in base a ciascuna consegna effettuata (una sorta di cottimo). Ancora, Deliveroo Italy s.r.l. con i propri rider utilizza la forma contrattuale della prestazione occasionale trattenendo al momento del pagamento la ritenuta d’acconto del 20% e retribuendo sia il tempo della prestazione sia la consegna. Altre piattaforme utilizzano la forma contrattuale della collaborazione coordinata e continuativa prevedendo una retribuzione mista commisurata sia alla disponibilità sia alla consegna.

Il caso Foodora

In tale contesto alcuni dipendenti della Foodora operanti a Torino ricorrevano al giudice del lavoro per chiedere che i propri contratti di collaborazione coordinata e continuativa, stipulati ai sensi dell’art. 409 c.p.c, fossero riqualificati in contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato con mansioni di fattorino e con corresponsione delle relative differenze retributive calcolate prendendo a riferimento il 5° livello del Ccnl Trasporti e Logistica o in alternativa il 6° livello del Ccnl Terziario.

La sentenza 778/2018 della Quinta Sez. Lavoro del tribunale di Torino, con una esposizione delle motivazioni molto semplice e altrettanto chiara, respinge il ricorso dei lavoratori affermando che la volontà delle parti, cioè quella di dare luogo ad un contratto di collaborazione coordinata e continuativa dove il rider agisse “in piena autonomia e senza alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente”, emergeva chiaramente dalla modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.

Nella sostanza, alla firma del contratto di collaborazione, dopo aver accertato la disponibilità di una bicicletta e di uno smartphone da parte del collaboratore, il datore di lavoro chiedeva allo stesso una caparra di euro 50,00 a fronte della consegna del casco, degli indumenti e dell’attrezzatura per il trasporto del cibo nonché della piastra di aggancio alla bicicletta.

Quanto alle previsioni contrattuali circa lo svolgimento della prestazione, il rider era “libero di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità ed esigenze di vita”. Ciò avveniva e avviene tuttora, mediante una applicazione che il river ha sul proprio smartphone attraverso la quale la committente pubblicava settimanalmente il numero dei rider necessari per ciascun turno di lavoro; questi ultimi potevano dare la propria disponibilità senza alcun obbligo, quindi esclusivamente su base volontaria in relazione alle “proprie disponibilità ed esigenze di vita”. Se il rider confermava la propria disponibilità, lo stesso si impegnava ad effettuare la consegna entro 30 minuti dal momento del ritiro del cibo, in mancanza gli sarebbe stata applicata una penale di 15,00 euro. Il compenso era stabilito in euro 5,60, al lordo delle ritenute di legge previdenziali e fiscali, commisurato a ciascuna ora di disponibilità, calcolata sempre utilizzando la app presente sullo smartphone.

L’assenza dell’obbligo di effettuare la prestazione da parte del rider e di riceverla da parte di Foodora, hanno portato il Tribunale di Torino ad escludere la sottoposizione dei ricorrenti al potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro in quanto, si legge nelle motivazioni della sentenza, “è evidente che se il datore di lavoro non può pretendere dal lavoratore lo svolgimento della prestazione lavorativa non può neppure esercitare il potere direttivo ed organizzativo”.

Inoltre, gli strumenti di comunicazione usati da Foodora (lo smartphone) non sono stati ritenuti idonei ad impartire ordini specifici ai rider né tantomeno utili per esercitare un’assidua attività di vigilanza e controllo. A tal proposito il Giudice ha ritenuto “irrilevante” il fatto che, qualora non fosse premuto dal rider il tasto sullo smartphone per accettare l’ordine, lo stesso continuasse a squillare. Altrettanto, la presenza di telefonate di sollecito al rider per la consegna è stata considerata “a pieno titolo nelle esigenze di coordinamento dettate dalla necessità di rispetto dei tempi di consegna”.

Quanto al presunto esercizio del potere disciplinare, il Giudice ha constatato come i rider potessero revocare la loro disponibilità ad effettuare la corsa e potessero altresì non presentarsi a rendere la prestazione senza alcuna comunicazione preventiva e senza incorrere in sanzioni. Per contro la committente predisponeva una sorta di classifica dei rider più meritevoli sulla base della disponibilità offerta e delle corse effettuate.

Il punto più dibattuto delle motivazioni della succitata sentenza resta la mancata applicazione dell’art. 2 del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” al caso specifico. I ricorrenti, infatti, in via subordinata invocavano l’applicazione di tale norma al fine di ricondurre alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato, i loro contratti di collaborazione.

Il legislatore con la citata norma inserita nel decreto legislativo di riordino delle tipologie contrattuali, intendeva assorbire nell’ambito del lavoro subordinato ex art. 2094 codice civile le prestazioni rese in regime di etero- organizzazione, alle seguenti condizioni:

  • sussistenza di una prestazione esclusivamente personale (nell’art. 409 p.c. si parla invece di prestazione prevalentemente personale);
  • presenza di etero-organizzazione da parte del committente, anche (quindi non solo) con riferimento a tempi e luoghi della prestazione.

Di conseguenza al fine di ricondurre la prestazione etero-organizzata nell’alveo dell’art. 2094 c.c. non è sufficiente valutare il come ed il cosa della prestazione ma anche il dove ed il quando.

Nelle motivazioni della citata sentenza, si legge, infatti, che è stata riscontrata la mancanza di organizzazione dei tempi di lavoro in quanto il rider era libero di offrire o meno la propria disponibilità ad effettuare la prestazione. Questa ulteriore motivazione ha portato il giudice a rigettare la richiesta di accertamento di sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.

Inoltre, si aggiunge in questa sede, anche dall’esame dei contratti utilizzati da altre piattaforme della gig-economy, emerge che non solo il quando viene “auto- organizzato” dal rider ma finanche il dove, potendo scegliere in libertà il percorso per la consegna.

Inutile dire che la sentenza Foodora ha avuto una evidente risonanza nell’opinione pubblica e naturalmente in molti si sono improvvisati giuslavoristi o esperti della gig- economy dell’ultima ora. Sui quotidiani, come spesso accade in tali casi, si è letto di tutto, dalle frasi strappalacrime del tipo “quando li vedo passare di notte, silenziosi e veloci con le loro bici dotate di bauletto fluorescente firmato dalla rispettiva azienda, provo sempreunastrettaalcuore” fino alle più spregiudicate comparazioni con il diritto del lavoro internazionale dove “l’Ispettorato del lavoro di Valencia ha detto che fare il rider Deliveroo non è un hobby ma un lavoro dipendente” o, addirittura, interventi di governatori regionali che si sono spinti ad annunciare leggi regionali sul salario minimo in piena violazione dell’art. 117 della Costituzione. Tuttavia, tralasciando gli aspetti giornalistici che però in questi casi influenzano l’opinione pubblica, non va dimenticato che la sentenza del tribunale di Torino non può essere considerata, in generale, quale giudizio verso tutto il modo della gig-economy, poiché come si è già scritto in precedenza, le previsioni contrattuali e le modalità di prestazione dell’attività nelle varie aziende sono diverse e di conseguenza non è escluso che in altri casi si possa accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro di un rider.

Nostro malgrado, la particolare attenzione mediatica verso il mancato riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato (che sicuramente fa discutere gli addetti ai lavori e sul quale si attendono i successivi gradi di giudizio) con il coinvolgimento diretto del mondo politico, hanno riportato a galla la mai sopita demonizzazione del lavoro autonomo e parasubordinato nel nostro Paese.

Resta cruciale, invece, la costruzione e definizione di un alveo normativo e contrattuale dove possano trovare dimora quelle prestazioni rese con modalità tipiche della gig-economy e in linea generale dell’economia digitale. In primis la regolamentazione di un compenso minimo che possa valorizzare la prestazione parasubordinata senza compromettere la sostenibilità economica del costo stesso della prestazione e l’esistenza sul mercato delle imprese del settore. Non dimentichiamoci, infatti, che l’utente finale della gig-economy, che sostanzialmente siamo noi, ha come obiettivo l’acquisto di un servizio ad un costo più basso possibile.

Siamo di fronte a una problematica molto simile a quella che ha investito gli operatori dei call-center, ma di dimensioni maggiori. Tuttavia, nell’immediato periodo successivo alla sentenza di Torino, si sono riscontrati solo piccoli tentativi di regolamentare la materia attraverso “carte dei diritti dei riders” fino ad ora poco efficaci. Un primo accordo sottoscritto in sede locale è la “Carta di Bologna”. Tale accordo si incentra prevalentemente sul compenso equo e dignitoso ed è siglato a livello locale tra Cgil, Cisl e Uil – Riders Union e due realtà imprenditoriali della gig-economy che occupano complessivamente poco meno di 300 rider.

Accordo del 18/7/2018 tra le parti del Ccnl Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni.

In una fase di stasi tipicamente pre-estiva troviamo una prima proposta contrattuale nazionale di natura collettiva che va in direzione completamente opposta alla sentenza del Tribunale di Torino.

Il 18 luglio 2018 le parti hanno sottoscritto un accordo sulla regolamentazione delle attività di distribuzione delle merci a mezzo di cicli, ciclomotori, motocicli in ambito urbano in attuazione dell’accordo di rinnovo del Ccnl Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni dello scorso 3 Dicembre 2017. In base a tale accordo i rider vengono collocati nell’area professionale C del personale viaggiante, senza diritto all’indennità di trasferta e con orario settimanale di 39 ore.

Le parti sociali, quindi, decidono di includere le prestazioni rese dai rider nell’ambito del lavoro subordinato, applicando loro “tutte le coperture assicurative e previdenziali previste dalla legge e dal Ccnl Logistica, Trasporto Merci e Spedizione comprese l’assistenza sanitaria integrativa e la bilateralità contrattuale”. Un’affermazione che troviamo nella premessa dell’accordo, probabilmente anche eccessiva nella sua prima parte ma che rende chiara l’idea sulla contrapposizione ideologica tra colossi della gig-economy (che probabilmente non aderiscono alle associazioni firmatarie del Ccnl Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni) e le parti sociali, che a parere dello scrivente conferma la mancanza di coraggio di affrontare con prospettiva diversa il lavoro che sta cambiando.

Ricondurre una prestazione di natura autonoma o parasubordinata nell’ambito del lavoro subordinato per semplice previsione contrattuale collettiva, probabilmente non produrrà gli effetti sperati dalle Organizzazioni sindacali, ancor più qualora anche in Cassazione venissero confermate le tesi del Tribunale di Torino.

Quanto all’aspetto retributivo, pensare di inquadrare il rider all’interno dei livelli contrattuali previsti dal Ccnl Logistica, Trasporto Mercie Spedizionisemplicemente distinguendo il rider con bici da quello con mezzo a motore, partendo da una situazione di mercato di cinque/sei euro per ogni ora di disponibilità, probabilmente renderà inapplicabile l’accordo.

Resta quindi per ora irrisolto il vero problema e cioè quello del salario minimo proprio perché le organizzazioni sindacali non hanno mai desiderato “invasioni di campo” da parte del legislatore. Per questo motivo, proprio con l’Accordo del 18 Luglio 2018, le stesse confezionano un Ccnl ad hoc che verosimilmente non risponderà alle esigenze di mercato.

La questione del salario, tra l’altro, viene sfiorata anche dal giudice del tribunale di Torino nella sentenza in esame quando in premessa afferma che “In questa sentenza non verranno quindi prese in considerazione le questioni relative all’adeguatezza del compenso e al presunto sfruttamento dei lavoratori da parte dell’azienda, né tutte le altre complesse problematiche del c.d. Gig Economy”. Un modo per voler ribadire che la decisione del giudice era basata solo sulle specifiche richieste dei ricorrenti e su uno specifico modello organizzativo, quindi non escludendo diversi possibili orientamenti per altre piattaforme della gig-economy.

Conclusioni

La risposta data alla sentenza di Torino dall’accordo collettivo del 18 Luglio 2018 trova le sue ragioni, a parere dello scrivente, in due aspetti cruciali, uno di antica origine il secondo di prospettiva.

Quanto al primo è indubbio che la rappresentanza dei lavoratori nel nostro paese è sempre stata estremamente sbilanciata a favore del lavoro dipendente, tant’è che all’interno delle stesse OO.SS. le categorie a cui sulla carta verrebbe affidata la tutela dei “nuovi lavori” risultano essere un po’ come i ministeri senza portafoglio. Quanto all’aspetto di prospettiva, seppur molto più complesso da realizzarsi, questo si fonda sul timore che in un commercio sempre più spostato verso l’acquisto online, la modalità organizzativa del rider possa estendersi anche al driver (filiera Amazon ad esempio). Non a caso proprio questo settore vive recentemente una forte sindacalizzazione con battaglie delle organizzazioni volte all’applicazione del Ccnl Logistica, Trasporto Merci e Spedizioni su tutta la filiera e alla trasformazione in lavoratori subordinati degli ancora molto presenti “padroncini”.

Le imprese della gig-economy indubbiamente hanno un vantaggio, quello di essere molto dinamiche e di essere pronte a qualsiasi cambiamento con grande rapidità e con costi limitati. D’altronde l’economia on- demand si basa sulle opportunità, nasce e fiorisce dove le trova, fugge da dove le si impedisce di coglierle. Il futuro di tali imprese in Italia, di conseguenza il futuro dei propri occupati, dipende dalla capacità del nostro Paese di adeguare le normative e le regole rispetto ad un lavoro che cambia continuamente e velocemente.

I modelli dei nuovi lavori dell’economia digitale hanno necessità di trovare normative ad hoc per non perdere opportunità di business comunque sia nel rispetto del valore della prestazione lavorativa umana.

* Odcec Lanciano

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