Rifiuto di applicare le trattenute sindacali e condotta antisindacale del datore di lavoro

di Giovanni Chiri* 

Ogni impresa che occupi lavoratori iscritti a un sindacato è tenuta a trattenere le quote sindacali dei propri lavoratori e a versarle a favore dei rispettivi sindacati di appartenenza.

Può accadere che alcuni datori di lavoro omettano o rifiutino di operare e versare le trattenute sulle retribuzioni dei lavoratori ai sindacati.

Ci si domanda quindi la legittimità di questo comportamento.

In “prims” è necessario qualificare giuridicamente il  meccanismo di effettuazione della ritenuta delle quote sindacali e del loro successivo versamento. L’art. 26 della legge 20 maggio 1970, n. 300 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”,  Statuto  dei  lavoratori,  aveva introdotto, in capo al datore di lavoro, l’obbligo giuridico della riscossione delle quote sindacali mediante trattenuta sulle retribuzioni dei lavoratori che ne avessero fatto richiesta e del loro successivo versamento ai sindacati beneficiari.

A seguito del referendum del 1995, abrogativo dei commi 2 e 3 dell’art. 26 della legge 300/1970, tale obbligo è venuto meno. Tuttavia, come rilevato anche dalla Corte costituzionale con sentenza n. 13/1995, scopo dell’abrogazione è stato quello di restituire la materia all’autonomia negoziale privata. Ciò significa che analogo obbligo legale può sorgere in capo al datore di lavoro mediante strumenti negoziali, individuali o collettivi, che prevedano una tale obbligazione.

Oggi l’obbligo di riscossione delle quote sindacali da parte del datore di lavoro è individuabile nel contrattato collettivo, che disciplina in modo specifico la fattispecie. Risulta evidente che della previsione ivi contenuta possano beneficiare solo le associazioni firmatarie del contratto collettivo. Le diverse associazioni non firmatarie non possono conseguentemente rivendicare pretese nei confronti del datore di lavoro che siano fondate sulle disposizioni del contratto collettivo applicato.

Con riferimento alle pretese di queste ultime associazioni sindacali si è ben presto creato un contenzioso causato dal rifiuto da parte di alcuni datori di lavoro di trattenere e versare le quote sindacali, nonostante i lavoratori aderenti alle suddette associazioni avessero a queste conferito delega.

La giurisprudenza, in tali situazioni, ha confermato l’obbligo, da parte del datore di lavoro, di operare le trattenute sindacali ed effettuare i successivi versamenti, dividendosi però tra: un orientamento che individuava il fondamento normativo nella delegazione di pagamento di cui all’art. 1269 c.c. e un altro che riteneva configurabile una cessione parziale di credito ex art. 1260 e s.s. c.c..

Sul punto si sono espresse le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 28269 del 21 dicembre 2005, riconoscendo che i lavoratori, nell’esercizio della propria autonomia privata e attraverso lo strumento della cessione del credito in favore del sindacato, possono richiedere al datore di lavoro di trattenere dalla propria retribuzione i contributi sindacali da accreditare al sindacato stesso, sottolineando come la cessione del credito non richieda, in via generale, il consenso del debitore. Pertanto l’obbligo giuridico di riscossione e versamento delle quote sindacali trova suo fondamento nella cessione parziale del credito (quota sindacale) vantato dal lavoratore a favore della propria associazione sindacale.

La Cassazione ha inoltre affrontato le ulteriori obiezioni sollevate dai datori di lavoro opponenti, che lamentavano l’onerosità ed insostenibilità di tale obbligo rapportato alla propria organizzazione aziendale conseguentemente inammissibile ex art. 1374 e 1375 c.c..

Posto che  spetta al datore di lavoro dimostrare in giudizio che questo obbligo gravi la propria organizzazione al punto da ledere i principi di correttezza e buona fede contrattuale, la circostanza non incide comunque sulla validità della cessione di credito tra lavoratore e associazione sindacale.

L’eccezione in questione potrebbe giustificare un inadempimento da parte del datore di lavoro solo qualora il creditore non collabori adeguando le modalità di adempimento dell’obbligazione in modo da ribilanciare la situazione (Cassazione n. 5917 del 14 marzo 2007).

In merito all’eccessiva gravosità dell’obbligazione in questione, si segnala la sentenza della Cassazione n. 9049 del 20 aprile 2011 che, in una controversia riguardante Poste Italiane s.p.a., ha affermato che il numero elevato di lavoratori subordinati (circa 150.000) non può di per sé giustificare l’inadempimento, ritenendo che a una tale complessità corrisponda anche una struttura amministrativa più organizzata e in grado di fare fronte a un numero elevato di trattenute sindacali. Pertanto il datore di lavoro, di fronte alla richiesta avanzata dal lavoratore di trattenere la quota sindacale sulla propria retribuzione, versandola a favore del sindacato di appartenenza, è soggetto a un’obbligazione che trova la sua fonte:

  • nel contratto collettivo, per le associazioni sindacali firmatarie;
  • nelle norme sulla cessione del credito ex 1260 e s.s. c.c., per le associazioni non firmatarie del contratto collettivo applicato.

L’inadempimento ingiustificato di tale obbligazione costituisce quindi un illecito civile, fonte di responsabilità per il datore di lavoro.

Sul piano giuslavoristico, potrebbe inoltre configurarsi un’ulteriore conseguenza più grave e immediata per il datore di lavoro. Questi potrebbe infatti essere chiamato a rispondere di condotta antisindacale nei confronti del sindacato leso, secondo l’art. 28 della legge 300/1970.

Si tratta di un rimedio giudiziale caratterizzato dalla sommarietà e rapidità del giudizio, per mezzo del quale gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, di fronte a un comportamento ancora in essere anche solo potenzialmente idoneo a impedire o limitare l’esercizio della libertà o dell’attività sindacale, possono agire per ottenere la rimozione di quel comportamento e la cessazione dei suoi effetti.

Per comprendere la forza e l’immediatezza di questa azione, basti pensare che il giudice del lavoro convoca le parti avanti a sé entro soli due giorni dal deposito del ricorso.

Sulla base di sommarie informazioni e se ritiene sussistente la violazione ex art. 28, il giudice emette un decreto immediatamente esecutivo contenente l’ordine di cessare il comportamento illegittimo e di rimuoverne gli effetti, arrivando quindi a indicare al datore di lavoro quali comportamenti è obbligato ad attuare. L’eventuale opposizione a questo decreto è possibile in un termine molto ristretto, di soli quindici giorni dalla comunicazione della Cancelleria.

L’inottemperanza del datore di lavoro al decreto del giudice o alla successiva sentenza emessa a seguito di opposizione al decreto comporta la responsabilità penale del datore di lavoro per il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (art. 650 c.p.).

Il mancato versamento delle quote sindacali in presenza di deleghe da parte dei lavoratori è stato ricondotto dalla giurisprudenza, anche la più recente, nell’alveo delle condotte antisindacali opponibili con il rimedio di cui all’art. 28 della legge 300/1970 da parte degli organismi periferici delle organizzazioni sindacali diffuse sul territorio nazionale. Nei confronti della succitata fattispecie, il giudice del lavoro può con proprio decreto ordinare al datore di lavoro di cessare tale comportamento e di procedere ad effettuare le trattenute sulle retribuzioni dei lavoratori e di effettuare i versamenti al sindacato, provvedendo anche al pagamento dei crediti già scaduti.

In sintesi, l’eliminazione dell’obbligo legale di operare le trattenute sindacali non ha comportato il venire meno dell’obbligo del datore di lavoro di effettuare tali ritenute a fronte di una previsione contenuta nel contratto collettivo o di una richiesta del lavoratore aderente ad associazioni sindacali non firmatarie del suddetto contratto.

La violazione ingiustificata di questa obbligazione comporta la responsabilità civile per inadempimento in capo al datore di lavoro e contestualmente può portare anche a una condanna per condotta antisindacale e al conseguente ordine giudiziale di cessare il proprio comportamento lesivo dei diritti del sindacato.

* Avvocato in Mantova

 

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