Riflessioni socio – economiche sui lavoratori migranti

di Paolo Soro*

La questione dei lavoratori migranti è attualmente ai primi posti nell’agenda politica europea e, mentre la classe politica studia il fenomeno, la situazione sociale si va facendo ogni giorno più ardua, a partire dalle problematiche concernenti la pacifica convivenza di popoli differenti fra loro, nel continente con la più alta densità del mondo.

E’ indubbio che l’afflusso di lavoratori migranti nel nostro Paese sia ormai divenuto un fenomeno rilevante sul mercato del lavoro, tanto che l’attuale Presidente dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), il Prof. Tito Boeri, nel corso di una recente audizione in parlamento ha dichiarato “L’immigrazione regolare contribuisce a finanziare il nostro sistema pensionistico, fornendo un punto di PIL di contributi sociali a fronte dei quali non sono state erogate delle pensioni”. Tralasciando i commenti, anche strumentali, che questa affermazione ha provocato, per poterla valutare con il rigore scientifico che merita, occorre esaminare i “numeri che la sostengono”.

Il saldo attivo per le casse dell’Inps relativo ai lavoratori immigrati regolari è attualmente di circa 5 miliardi di euro l’anno, dato dalla differenza tra gli 8 miliardi di euro che versano in contributi e i 3 miliardi di euro che ricevono in pensioni. è pur vero che, un giorno, anche loro matureranno i requisiti pensionistici, ma è ragionevole supporre che non sarà così per tutti, molti torneranno al loro paese d’origine prima e una parte dei contributi versati – di fatto – resteranno nella disponibilità dell’Istituto. In caso di azzeramento dei permessi di lavoro per lavoratori stranieri, inoltre, l’Inps ha stimato costi aggiuntivi per oltre 37 miliardi nel 2040.

Lungi dall’essere felici di sapere che i lavoratori immigrati contribuiscono all’equilibrio finanziario dell’Inps, riteniamo che il problema meriti un maggior approfondimento, tenendo in debita considerazione pure ulteriori concatenati fattori. Innanzitutto, è doveroso precisare come il Prof. Boeri, evidenzi la necessità di accogliere a braccia aperte solo i lavoratori migranti regolari (sic). è, infatti, ovvio che il lavoro irregolare dà vita a una perversa spirale di erosione delle entrate previdenziali: da un lato, aumenta il livello della disoccupazione interna, favorendo a sua volta l’emigrazione dei giovani italiani all’estero, con analoghe conseguenze in tema di versamenti contributivi “a fondo perduto” effettuati a favore delle casse estere, dall’altro lato, diminuisce notevolmente il monte dei contributi che dovrebbero essere versati da aziende e lavoratori a fronte della medesima mole di lavoro, laddove prodotta attraverso contratti regolari. Senza voler tacere quelle situazioni di concorrenza sleale (c.d. dumping sociale salariale) che creano illecite sperequazioni nel mercato, causando di sovente persino la chiusura di numerose realtà economiche locali. Insomma: bene, affidarsi ai numeri; male, darne una visione settoriale, evitando di analizzarli nella loro interezza.

Ciò posto, uno dei problemi che affligge l’economia italiana resta l’elevata incidenza dei contributi e delle imposte sul lavoro (c.d. cuneo fiscale). Nel 2015, col Jobs Act, ci sono stati quasi un milione di nuovi contratti a tempo indeterminato grazie al quasi totale azzeramento degli oneri contribuitivi a carico dei datori di lavoro. La misura, resasi necessaria per rilanciare l’economia, ha prodotto ciò che ogni persona di buon senso avrebbe potuto facilmente pronosticare, senza essere esperto di economia: un aumento dell’occupazione fintantoché è restata in vigore. Considerando che gli obiettivi del legislatore erano quelli di combattere la disoccupazione e far ripartire l’economia, tale strumento, avendo verificato che stava dando risultati positivi relativamente al primo obiettivo, avrebbe dovuto essere mantenuto sino a quando non avesse effettivamente raggiunto anche il secondo, per l’appunto, far ripartire l’economia, ovviamente non da solo ma in un più articolato progetto di politica economica in linea con la normativa europea. Così, invece, è stato come avere due falle nella chiglia della barca, e dopo averne tappato una, prima di riuscire a coprire anche la seconda, aver di nuovo tolto il tappo dalla prima, facendo svanire i buoni risultati conseguiti fino a quel momento.

Dal Presidente dell’Inps, le cui competenze economiche sono ben note, sono arrivati anche interessanti considerazioni sulle possibili forme di finanziamento della riduzione del cuneo fiscale, mediante interventi sui vitalizi e sulle “pensioni d’oro”. Per quanto interventi di questo tipo siano tra i più difficili da realizzare, sia per ragioni tecnico/giuridiche, basti pensare ai diritti quesiti, sia per l’opposizione delle categorie che dovrebbero sopportarne i principali effetti, l’equità sociale e la tutela delle generazioni giù giovani dovrebbero imporre l’avvio di un dibattito sereno e costruttivo in merito; anche perché ogni anno sono almeno 100.000 i giovani italiani costretti a emigrare all’estero per trovare una degna occupazione.

Tornando ai numeri, l’Inps ha rilevato che nel 2017, sono stati erogati all’estero 35,6 milioni di euro a titolo di quattordicesime, incrementando ulteriormente di circa 20 milioni i pagamenti non contributivi effettuati verso paesi terzi, in pratica un aumento del 131% rispetto all’anno precedente (nel 2016 gli importi pagati sono stati pari a 15,4 milioni per circa 46.000 beneficiari). Le erogazioni in discorso sono state effettuate principalmente verso:

(i) l’Europa, nella misura del 39,6%, (ii) l’America meridionale, nella misura del 36,1% e (iii) l’America settentrionale, nella misura del 12,6%. Quello che non emerge con immediatezza è il fatto che in gran parte dei paesi beneficiari esistono sistemi sociali che garantiscono redditi minimi, il cui accesso è basato sul livello di reddito degli individui con benefici di ammontare stabilito, in modo tale da portare questo reddito al di sopra delle previste soglie di povertà. Ciò significa, secondo il Prof. Boeri, che: “Il nostro Paese, con le quattordicesime erogate ai residenti di questi Stati esteri, sta di fatto riducendo gli oneri per la spesa assistenziale di altre nazioni. è, dunque, come se il nostro Paese operasse un trasferimento verso altri senza averne un ritorno in consumi. Le somme sono erogate dall’Italia invece che dal Paese in cui si risiede e si pagano le tasse. Tutto questo, per l’economista, è un’anomalia, visto che non c’è un quadro di reciprocità”. 

Nel complesso, per esempio, le pensioni pagate all’estero dall’Inps, su 160 Paesi (mete principali: Portogallo, Spagna e Bulgaria), nel 2016, sono state oltre 373.000, per un valore di poco superiore a 1 miliardo di euro. Cosa quindi che dovrebbe, matematicamente parlando, farci riconsiderare quel saldo netto di 5 miliardi incamerato dall’Istituto a fronte del lavoro straniero regolare (di cui si è detto all’inizio), quanto meno riducendolo a 4 miliardi. Il Presidente dell’Inps, inoltre, ha fatto notare che: “L’83% delle pensioni pagate a giugno del 2017 ha periodi di contribuzione in Italia inferiori ai 10 anni; per l’esattezza, il 70% è inferiore ai 6 anni; più di un terzo ai 3 anni. Quindi, durate contributive molto basse” e che “Chiudere le frontiere agli immigrati costerebbe 38 miliardi e distruggerebbe il nostro sistema di protezione sociale”. 

In paesi ben organizzati l’ingresso dei migranti dovrebbe avvenire in modo regolamentato, ma in questo periodo le guerre, la povertà e altri eventi stanno “spingendo” verso l’Europa migliaia di persone ogni mese e l’Italia é, per motivi geografici, una delle porte di accesso. C’è chi sostiene che il flusso migratorio dai paesi dell’Africa e del sud est asiatico sia destinato a crescere nei prossimi anni, quindi, oltre agli aspetti lavorativi, il nostro Paese deve gestire anche il più ampio fenomeno dell’accoglienza che, se correttamente gestita, può favorire non solo l’integrazione ma anche l’economia. Un fulgido esempio al riguardo arriva da Riace, un piccolo paese della Calabria ai piedi dell’Aspromonte fin ora famoso per il ritrovamento dei famosi Bronzi, dove il lavoro degli immigrati ha favorito la ripresa economica di una zona a dir poco depressa.

Dal 1998 sono sbarcati a Riace migliaia di immigrati che grazie all’impegno dell’amministrazione locale e, in particolare del sindaco Mimmo Lucano, sono stati coinvolti in varie attività che nel tempo sono evolute in botteghe artigiane, aziende agricole, strutture commerciali e centri di assistenza, nelle quali gli immigrati si sono integrati con i residenti, dando vita ad un sistema economico virtuoso. In una zona condizionata da una delle organizzazioni criminali più potenti del mondo, l’amministrazione di Riace ha realizzato o favorito una serie di iniziative utili all’integrazione mediante il lavoro, come l’utilizzo da parte degli immigrati di immobili abbandonati dai cittadini a loro volta emigrati nel nord Italia o all’estero, l’istituzione di strutture scolastiche ad hoc, l’impiego di mediatori culturali, il finanziamento di micro attività e la realizzazione di laboratori, bar e negozi e perfino l’attivazione di un servizio di raccolta differenziata porta a porta dei rifiuti, garantita da due ragazzi extracomunitari con l’impiego di asini. Per queste iniziative, sulle quali non sono mancate critiche, Mimmo Lucano nel 2016 è entrato al 40° posto della classifica di Fortune dei 50 leader più influenti del mondo, insieme a papa Francesco, Angela Merkel, Aung San Suu Kyi e al cantante Bono degli U2, solo per fare degli esempi, e forse avrebbe meritato una citazione anche tra gli italiani coraggiosi di cui ha parlato Maurizio Centra in un altro articolo di questa rivista.

Se è vero che i problemi esistono per essere risolti, proviamo infine a sintetizzare gli argomenti sui quali dovremmo impegnarci tutti (amministratori pubblici, economisti, imprenditori, professionisti, ecc.) per favorire la ripresa economica, anche mediante il corretto impiego di lavoratori immigrati:

  1. l’Italia continua a essere “afflitta” dall’elevata incidenza degli oneri fiscali e contributivi sulla retribuzione lorda, che ha effetti negativi anche sulla competitività delle imprese nazionali sui mercati internazionali. Al riguardo gli interventi sui vitalizi e sulle “pensioni d’oro”, di cui ha parlato il Prof. Boeri, pur non essendo “la soluzione” produrrebbero un indubbio beneficio sociale e, soprattutto, potrebbero generare risparmi utilizzabili sia per la riduzione del cuneo fiscale sia per interventi di politica economica a favore della piccola e media imprenditoria, che costituisce l’asse portante dell’economia nazionale;
  2. la posizione geografica del nostro Paese comporta inevitabilmente un afflusso di migranti (regolari e irregolari) che non ha eguali negli altri territori dell’Unione Europea, è quindi necessario che l’Italia si doti di strumenti che favoriscano il lavoro regolare, il quale contribuisce alla sana competizione tra le imprese, e sanzionino efficacemente le irregolarità di ogni tipo, comprese quelle degli imprenditori che – sfruttando il lavoro degli immigrati – operano in concorrenza sleale, tramite politiche di dumping;
  3. appare evidente che l’Italia non possa bloccare il processo di globalizzazione in atto, di cui i flussi migratori sono solo un aspetto, è quindi necessario che il nostro Paese cerchi da un lato di trarre vantaggio dagli elementi positivi che questo processo comporta, come ha saputo fare decenni addietro in altre fasi di cambiamento degli assetti economi e politici, e dall’altro di favorire l’integrazione dei lavoratori immigrati regolari, i cui benefici in termini economici e sociali sono stati autorevolmente dimostrati.

* Odcec Roma

 

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