Riflessioni sugli incentivi all’occupazione

di Maria Luisa De Cia* 

É da quando il Gruppo Odcec Area lavoro ha mosso i primi passi che i Commercialisti non hanno perso occasione per ribadire la necessità di un intervento serio e strutturato sul costo del lavoro. Già con gli emendamenti presentati alla Camera nel 2014, a cura del Consiglio Nazionale della Categoria, è stata chiesta una politica concreta e reale di riduzione del costo del lavoro. Da allora, indubbiamente, ci sono stati interventi volti a ridurre il cuneo fiscale, già l’intera deducibilità ai fini IRAP (se pur complessa nella sua applicazione) del costo del lavoro per i lavoratori assunti a tempo indeterminato è un passo in avanti che premia l’occupazione stabile, ma non basta: la differenza tra il compenso netto erogato al lavoratore e il costo effettivo che il datore di lavoro sostiene per la sua prestazione è eccessiva, soprattutto se confrontata con l’analoga differenza che pure esiste nei paesi europei competitor dell’Italia. Come si può “sopportare” che il compenso netto che si eroga ad un lavoratore corrisponda, per i redditi medio bassi, almeno al doppio di costo aziendale? La frustrazione è per entrambi: per il datore di lavoro che sostiene un costo che non gli consente di essere competitivo sul mercato di riferimento e per il lavoratore che ha un salario modesto, che non gli consente di progettare serenamente il futuro, vincolandolo ad un presente sempre più precario.

Nel 2015, con la legge 190 del 23 dicembre 2014 (Legge di stabilità), gli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori “precari” hanno indubbiamente dato una sferzata all’occupazione stabile e certamente molti lavoratori con contratto a progetto o contratti di lavoro a tempo determinato reiterati all’infinito od anche “sballottati” da un’azienda all’altra, nonostante il limite dei 36 mesi (ma per ciascuna azienda), hanno ora un futuro più sicuro. Ma è proprio così? Questa norma agevolatrice non ha previsto una durata minima del rapporto di lavoro così come, invece, previsto dalla norma sulla stabilizzazione dei contratti di lavoro atipici dal 2016 (art. 54 del d.lgs. n. 81/2015), pertanto i lavoratori assunti in vigenza del nuovo contratto a tutele crescenti potranno essere licenziati, ovviamente ricorrendo le condizioni previste dalla legge, a fronte di un’indennità proporzionata alla durata del rapporto di lavoro.

Va da sé che nell’ambito della ricerca di una nuova identità del mercato del lavoro italiano, il Jobs Act – nonostante gli aspetti criticabili- andava fatto.

Per tornare alle misure adottate dal legislatore per incrementare i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel 2016, con la legge 208 del 28 dicembre 2015, gli incentivi sono stati riproposti, ma in misura molto ridotta, tanto che quasi non se ne tiene più conto all’atto dell’assunzione. La riduzione da tre a due anni, l’ammontare ridotto al 40% dei contributi a carico azienda (contro il 100% del 2015), il massimale annuo usufruibile pari a € 3.250,00 (per un totale di € 6.500,00 per due anni) contro € 8.060,00 annuale del 2015 (pari a € 24.180,00 nel triennio): questa sforbiciata non ha certamente favorito l’occupazione e gli ultimi dati pubblicati pochi giorni fa lo confermano. D’altra parte, gli interventi spot non possono risollevare l’occupazione se non per un breve periodo; per contro, gli interventi volti a favorire il ricorso al rapporto di lavoro a tempo indeterminato possono determinare (e hanno sicuramente determinato) una disparità tra aziende “virtuose”, quelle che hanno salvaguardato, spesso con grandi sacrifici, la forza lavoro pre-crisi, e le altre aziende. Si pensi al diverso costo del lavoro di un lavoratore assunto con gli incentivi e il lavoratore “storico” per il quale non esiste alcuno sgravio. É ovvio che sul piano della competitività, ancora una volta chi ha voluto salvaguardare l’occupazione, intaccando anche le proprie riserve, non è stato premiato, anzi, per questi datori di lavoro la ripresa sarà lenta, in alcuni casi molto lenta ed a loro andrebbero rivolte le attenzione dei nostri politici.

É appena il caso di fare un accenno alle conseguenze del disconoscimento degli incentivi, quando un lavoratore, ad esempio presenta credenziali non veritiere al datore di lavoro, è pur sempre quest’ultimo che dovrà riversare – con sanzioni ed interessi- all’Inps o al diverso ente competente le somme di cui ha beneficiato in buona fede, con effetti negativi di “lungo periodo” e senza nessuna reale possibilità di rivalersi sul lavoratore, eccezion fatta per l’adozione di provvedimenti disciplinari, ove dimostri che ignorava la falsità della dichiarazione dello stesso. Rischi che sarebbe possibile evitare, ove le banche dati dei centri per l’impiego fossero aggiornate e accessibili dal datore di lavoro prima dell’assunzione.

Al di là delle involontarie disparità che gli incentivi “generalisti”, ossia quelli che non rientrano tra gli aiuti di stato, generano tra gli imprenditori, il mondo del lavoro ha bisogno di una normativa stabile nel tempo, che consenta di fare pianificazioni e programmi che sono imprescindibili per gli operatori economici professionali. Ad oggi, per esempio, ancora non è chiaro che cosa accadrà ai lavoratori fruitori dell’indennità di mobilità di cui alla legge n. 223/1991 e alle imprese che li hanno assunti. Come si può pensare che non si conoscano ora i costi per il 2017, oramai alle porte?

La restrizione operata dal Jobs Act sui rapporti di lavoro autonomo non genuini, ha visto un calo delle partite Iva, un bene questo quando il lavoratore autonomo di fatto non lo è, mentre è male quando è un professionista. C’è sempre una maggiore disaffezione verso il lavoro autonomo, complici indubbiamente le difficoltà burocratiche, l’elevato impatto tributario la mancanza di garanzie e di assistenza. Non va dimenticato che anche (e forse soprattutto), un professionista potrebbe trovarsi “disoccupato”. Che garanzie ha un lavoratore autonomo? Nessuna! É per questo che, unitamente a una revisione concreta e generalizzata del costo del lavoro, si rende necessario intervenire sul lavoro autonomo con una revisione che tenga conto sì dell’impatto tributario e degli aspetti economici, ma pure della necessità di un programma serio di welfare per i lavoratori autonomi.

Esiste inoltre l’incognita rappresentata dallo scenario post incentivi all’occupazione 2015/2016 (dal 2018), che potrebbe diventare addirittura un problema qualora l’economia nazionale nel suo complesso non dovesse crescere a ritmi sostenuti nel 2016 e nel 2017, cosa che per l’anno in corso è assai probabile. In pratica, cosa accadrà quando anche gli ultimi incentivi (legge 190/2014 e legge 208/2015) termineranno? Al momento non esiste la possibilità di fare previsioni realmente affidabili.

In occasione del terzo Convegno Nazionale della Commissione Commercialisti del Lavoro del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, che si terrà a Roma il 15 e 16 Settembre 2016, evento che vedrà la partecipazione del mondo politico, istituzionale e accademico italiano, ancora una volta il Gruppo segnalerà anche in quella sede le criticità rilevate, formulando proposte ed interventi di miglioramento.

*Presidente del Gruppo Odcec Area lavoro Comitato scientifico

 

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