Riflessioni sulle conciliazioni e transazioni in sede protetta (Art. 2113 del Codice Civile ed artt. 410 e seguenti del Codice di Procedura Civile) – I Parte

di Stefano Ferri* 

L’esigenza di tutelare il lavoratore dipendente, parte debole del rapporto di lavoro, in particolare nel momento in cui pone in essere rinunzie o transazioni, affonda le sue radici nel tempo; già la legge impiegatizia del 1924 aveva affrontato il problema: “Le disposizioni del presente decreto saranno osservate malgrado ogni patto in contrario, salvo il caso di particolari convenzioni od usi più favorevoli all’impiegato e salvo il caso che il presente decreto espressamente ne consenta la deroga consensuale”. Con tale disposizione veniva stabilita l’inderogabilità della normativa a favore dell’impiegato, consentendo solo i patti difformi a questi favorevoli e prevedendo la nullità per quelli sfavorevoli; ovviamente, per evitare che venga facilmente aggirata la normativa posta a tutela, è indispensabile prevedere che i diritti del lavoratore siano irrinunziabili e intransigibili onde evitare che questi sia sottoposto a pressioni datoriali insostenibili.

Al contempo, però, la giurisprudenza di inizio secolo comprese che le iniziative economiche, in particolare in quel periodo caratterizzato da forti pulsioni imprenditoriali, avevano la necessità di definire con certezza ed in tempi brevi i rapporti giuridici con i propri dipendenti, onde evitare di essere esposte a richieste anche giudiziali per periodi di tempo troppo lunghi.

A tal fine la giurisprudenza dell’epoca giunse ad un compromesso consentendo, in estrema sintesi, le rinunce e le transazioni al lavoratore solo dopo la cessazione del rapporto, dichiarando invece la nullità delle stesse se poste in essere in costanza del rapporto di lavoro.

La ratio di tale posizione è ovvia: stante la mancanza, in quel periodo, di efficaci normative che limitassero i licenziamenti, si presumeva che il dipendente che abdica ai suoi diritti fosse forzato a farlo mentre tale tutela perde ogni significato dopo la cessazione del rapporto, con il lavoratore libero di valutare l’opportunità della transazione.

In tale presupposto storico deve essere calato l’articolo 2113, facente parte del codice civile del 1942, che costituisce un notevole passo avanti e regolamenta con maggiore chiarezza tali fattispecie e che, proprio per la sua efficacia, ritengo utile riportare nell’attuale stesura testualmente di seguito.

“Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide.

L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.

Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-qua- ter del codice di procedura civile.”

Le tematiche meritevoli di essere affrontate in materia di articolo 2113 sono molto numerose e sull’argomento la Dottrina ha realizzato una voluminosa ed estremamente approfondita analisi, anche alla luce delle sempre più numerose sentenze in materia, con particolare rilevanza per la Giurisprudenza della Corte di Cassazione: il presente articolo si limiterà, anche per ovvie ragioni di spazio, a qualche riflessione sull’ultimo comma del citato articolo, quindi sulle rinunce e transazioni valide in relazione con le correlate disposizioni del Codice di Procedura Civile.

Infatti l’articolo 410 del Codice di Procedura Civile al terzo e quarto comma prevede testualmente che “Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro.

La commissione è composta dal direttore dell’ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale.

Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal di- rettore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rap- presentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.” .

Una chiarissima, risalente ad oltre dieci anni or sono ma sempre attualissima, sentenza del- la Cassazione (n. 17785 del 2002) sottolinea l’importanza della sede principale di perfezionamento di rinunce e transazioni del lavoratore: la Commissione di Conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente. Nella citata sentenza infatti si chiarisce che, con riguardo alla speciale impugnativa della transazione tra datore di lavoro e lavoratore prevista dall’art. 2113, 3° comma, del Codice Civile, l’intervento dell’Ufficio Provinciale del Lavoro è in sé idoneo a sottrarre il lavoratore a quella condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro che rende sospette di prevaricazione da parte di quest’ultimo le transazioni e le rinunce intervenute nel corso del rapporto in ordine a diritti previsti da norme inderogabili, sia allorché detto organismo partecipi attivamente alla composizione delle contrastanti posizioni delle parti, sia quando in un proprio atto si limiti a riconoscere, in una transazione già delineata dagli interessati in trattative dirette, l’espressione di una volontà non coartata del lavoratore: consegue che anche in tale ultimo caso la transazione si sottrae alla impugnativa suddetta.

La Commissione è stata definita efficacemente dalla dottrina quale organo paritetico sindacale dietro la forma dell’organo pubblico: la presenza di un funzionario esperto (direttore D.T.L. o suo delegato) che presiede la stessa con autorevolezza e competenza, nonché i sindacalisti presenti, garantiscono efficace tutela ed informativa al lavoratore, che viene quindi messo in condizione di poter validamente ab- dicare ai propri diritti.

Sempre l’articolo 410 del codice di rito, rinviando all’articolo 413 c.p.c., individua quale competente la Commissione di Conciliazione della Direzione Territoriale del Lavoro:

  • del luogo ove è sorto il rapporto (forum contractus);
  • ovvero nella cui circoscrizione si trova l’azienda;
  • ovvero si trova una qualsiasi dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la qua- le egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.

Con riferimento alla prima ipotesi, la Cassazione, con la ben nota sentenza n. 4116 del 28 aprile 1987, ha chiarito che il forum contractus, ai fini della determinazione della competenza territoriale in ordine alle controversie di lavoro, deve identificarsi con quello in cui hanno avuto inizio le prestazioni lavorative quando non sia individuabile un precedente momento e luogo d’incontro delle volontà negoziali delle parti e la controversia abbia ad oggetto lo stesso accertamento della natura subordinata di un rapporto di lavoro in relazione al suo concreto atteggiarsi, anche indipendentemente dalla figura negoziale cui le parti (o una di esse) abbiano fatto formalmente riferimento. Tale principio è applicabile anche quando, trattandosi di attività stagionale, il relativo contratto di lavoro a termine avrebbe dovuto essere stipulato per iscritto, in quanto la mancata adozione di tale forma incide solo sulla validità dell’apposizione del termine.

In analogia con tale posizione, passando alla seconda alternativa, sempre secondo la Suprema Corte (sentenza n. 590 del 1985) è determinante, ai fini dell’individuazione del foro dell’azienda ex articolo 413 c.p.c., il luogo in cui, per la presenza degli organi di direzione e di amministrazione della società, si realizza l’effettivo svolgimento dell’attività sociale, ancorché il complesso dei beni aziendali organizzati per l’esercizio dell’impresa sia situato altrove.

A tal proposito è ancor più chiara la sentenza 812 del 1990 (che si innesta nel solco della sentenza 5560 del 1989) che afferma che nelle controversie individuali di lavoro, l’attore è libero di scegliere tra i fori alternativi previsti dal secondo comma dell’art. 413 del Codice di Procedura Civile, ma ha l’onere di dimostrare che di quello prescelto ricorrono gli elementi di fatto della fattispecie legale: pertanto il lavoratore che abbia convenuto la società di capitali datrice di lavoro avanti al giudice del luogo in cui è la sede legale della società stessa, ha l’onere di dimostrare che tale sede coincide con quella di effettivo svolgimento dell’attività sociale per la presenza degli organi direttivi e di amministrazione, atteso che nel caso delle predette società il criterio di collegamento del luogo dell’azienda, previsto dall’art. 413 citato, non coincide con quello previsto in via generale dall’art. 19, primo comma, del Codice di Procedura Civile per le persone giuridiche, ma fa riferimento alla sede effettiva della società. La giurisprudenza si è preoccupata inoltre di definire i confini del concetto di “dipendenza dell’azienda”, la cui ubicazione consente di interessare per la transazione la locale Direzione Territoriale del Lavoro, stabilendo (Sentenza n. 1771 del 12/02/1993) che costituisce “di- pendenza dell’azienda”, ai fini dell’individua- zione del relativo foro, in applicazione dell’art. 413 Codice di Procedura Civile, relativamente a controversia di lavoro, una struttura organizzativa di ordine economico e funzionale ubicata in luogo diverso dalla sede dell’azienda e ravvisabile in un complesso di beni decentrati, avente una propria individualità tecnica, pur se di modesta entità, a condizione che risulti direttamente e strutturalmente collegato con l’azienda medesima, in quanto destinato al proseguimento degli scopi imprenditoriali, ma senza necessità che sussista anche autonomia funzionale – che è propria della diversa nozione di “unità produttiva” di cui all’art. 35 della legge 20 maggio 1970, n. 300 – o esplicazione, nel medesimo nucleo decentrato, di un potere decisionale e di controllo riferibile all’organizzazione centrale.

Il successivo articolo 411 del Codice di Procedura Civile prevede che se si raggiunge un accordo, anche limitatamente ad una parte del- la domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della Commissione di conciliazione che, su istanza di parte interessata, viene dichiarato esecutivo dal giudice con decreto.

Si occupa di conciliazione anche l’articolo 412- ter del codice di rito, che allarga il campo delle possibilità di conciliazione nelle materie di cui all’articolo 409, stabilendo che possono essere perfezionate altresì presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative: tale tema, che abbisogna di lunga ed approfondita analisi, non può essere trattato nel presente articolo per ovvie ragioni di spazio, anche perché, almeno nell’esperienza dello scrivente, meno frequente nella pratica in quanto i funzionari sindacali tendono spesso a suggerire ai loro assistiti il ricorso alla citata Commissione D.T.L. per formalizzare rinunce e transazioni; a maggior ragione Commercialisti e organizzazioni imprenditoriali, anche per evitare ogni prospettiva di vizio dell’intesa intercorsa e chiudere definitivamente la transazione ad ogni prospettiva di impugnazione, indirizzano pressoché sempre parte datoriale verso la Commissione stessa, nella quale la presenza dell’Autorità fornisce maggiori garanzie.

Il presente articolo ha l’intento di fornire solo qualche breve spunto di riflessione nel vastissimo panorama delle conciliazioni e transazioni in sede protetta; su una materia così importante per il Commercialista che si occupa di Lavoro diverse altre valutazioni potranno essere oggetto di futuri approfondimenti.

*Odcec Reggio Emilia

 

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