Smart Working: modello tradizionale o procedura semplificata?

di Giada Rossi*

 Da ormai tre anni, dall’entrata in vigore della legge n. 81 del 22 maggio 2017, lo Smart Working, quale modalità di esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno delle sedi aziendali, è stato trasversalmente introdotto ed implementato nelle realtà imprenditoriali italiane, dalle piccole aziende alle multinazionali.

La novità legislativa, accolta con curiosità ed interesse dalle imprese e dai lavoratori per i numerosi benefici, fra i quali la riduzione dei costi e dei tempi di viaggio ed il miglior contemperamento delle esigenze di vita e lavoro, ha portato ad una graduale apertura verso questo nuovo strumento, adottato da un numero crescente di aziende, pur non mancando delle resistenze, soprattutto nelle realtà medio-piccole.

Lo scenario è drasticamente cambiato nel corrente anno, nel pieno della pandemia COVID-19, quando lo Smart Working, da modalità alternativa di esecuzione della prestazione lavorativa, è divenuto il prevalente – ed in taluni casi esclusivo – mezzo per svolgere le proprie mansioni.

Al fine di avviare la prestazione in modalità agile, la legge 81/2017 impone la sottoscrizione di un accordo individuale fra datore di lavoro e lavoratore, il quale deve volontariamente acconsentire all’adozione dello Smart Working, nonché la predisposizione di apposita informativa, da fornire al lavoratore dipendente, sui rischi generici e specifici, dell’attività in Smart Working.

La necessità di rendere accessibile lo Smart Working a tutte le realtà economiche, tenuto conto delle restrizioni conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza e ai provvedimenti emergenziali, in primis di lockdown, ha portato il governo a consentire l’avvio dello Smart Working mediante una modalità semplificata, in assenza di accordo individuale e previo invio al lavoratore di una informativa sui rischi e sulle precauzioni da adottare durante il lavoro agile, il cui modello è stato reso disponibile dall’Inal.

La previsione è stata confermata ad ogni proroga dello stato di emergenza, da ultimo mediante decreto legge 7 ottobre 2020 n. 125, che ne ha esteso la durata sino al 31 gennaio 2021 e ha confermato la procedura semplificata di avvio dello Smart Working sino al 31 dicembre 2020, salve eventuali modifiche che saranno apportate in sede di conversione.

Sino alla fine dell’anno le imprese potranno dunque attivare il lavoro agile mediante adempimenti semplificati, che consistono (i) nella comunicazione al Ministero del Lavoro, mediante specifico file Excel, dei nomativi dei lavoratori autorizzati allo Smart Working nonché delle date di inizio e di fine del lavoro agile; (ii) nell’invio ai lavoratori e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza dell’informativa sui rischi, anche utilizzando il modello Inail sopra menzionato, che andrà dai destinatari restituita firmata.

Una ulteriore semplificazione attiene gli strumenti utilizzati per svolgere la mansione: nel modello tradizionale di Smart Working è il datore di lavoro a dover fornire e garantire la sicurezza degli strumenti utilizzati (di norma pc e/o telefono), mentre la normativa emergenziale consente anche l’utilizzo di dispositivi personali del lavoratore.

Numerose aziende stanno in ogni caso prevedendo di mantenere nel lungo periodo, anche posteriormente alla cessazione dello stato di emergenza, la possibilità per il personale dipendente di lavorare, almeno in parte, in Smart Working.

Un’indagine condotta da AIDP (Associazione Italiana dei Direttori del Personale), pubblicata nel mese di settembre 2020, ha evidenziato come oltre il 68% del campione coinvolto nella survey abbia dichiarato di voler mantenere lo Smart Working anche al rientro alla normalità, coinvolgendo una percentuale dei lavoratori dipendenti fra il 50% e il 90%. Solo il 26% delle aziende del campione ha dichiarato di voler concludere l’esperienza del lavoro agile nel corrente anno.

In quest’ottica, ma anche al fine di sfruttare a pieno le potenzialità dello Smart Working, che negli ultimi mesi è stato in realtà spesso ridotto a mero Home Working, non mancano le realtà aziendali che stanno predisponendo veri e propri regolamenti aziendali nonché contratti individuali, da sottoporre ai dipendenti, così da poter proseguire senza soluzione di continuità con prestazioni agili indipendentemente da nuovi interventi legislativi o dalle proroghe delle prescrizioni oggi in vigore.

Il modello tradizionale di Smart Working, quindi con sottoscrizione di apposito accordo fra le parti da depositarsi presso il Ministero, presenta inoltre il vantaggio di consentire una più precisa regolamentazione del rapporto, in punto di diritti e doveri di entrambe le parti, che meglio può sposarsi con le esigenze dei lavoratori e delle imprese.

La disciplina della prestazione lavorativa può infatti prevedere orari più flessibili (ma anche fasce di “reperibilità”, ove fosse necessario coordinarsi con un team di lavoro o con la clientela), limitazioni ai luoghi in cui sia possibile svolgere la prestazione agile (ad esempio a tutela della riservatezza dei dati aziendali) o al tipo di connessioni internet utilizzabili (può dunque essere vietato l’uso delle cosiddette reti pubbliche, più vulnerabili ad attacchi esterni).

L’accordo individuale prevede inoltre l’indicazione delle modalità di esercizio del potere direttivo nonché dei controlli adottati, sulla performance (eventualmente introducendo criteri di misurazione della stessa) o sui dispositivi, onde garantirne il corretto funzionamento. Possono inoltre essere individuate apposite condotte disciplinarmente rilevanti, così che siano sanzionabili nel rispetto dello Statuto dei Lavoratori.

A tutela del lavoratore, vengono inoltre indicati i tempi di riposo nonché le misure tecniche e organizzative per assicurare la disconnessione del lavoratore.

In ogni caso, sia che si scelga di utilizzare la versione emergenziale dello Smart Working sia che si decida di avvalersi del modello tradizionale, valgono le disposizioni di legge tese a fronteggiare l’emergenza sanitaria e le necessità di cura e assistenza dei figli. Pertanto, in caso di compatibilità con le mansioni, mantengono il diritto allo svolgimento delle prestazioni in modalità di lavoro agile i lavoratori fragili, ovverosia quelli maggiormente esposti al rischio di contagio in ragione dell’età e delle condizioni di rischio derivanti da immunodepressione, patologie oncologiche e terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una situazione di maggior rischio accertato dal medico competente, oppure il genitore di figli conviventi di età inferiore a 14 anni, in caso di quarantena disposta dal dipartimento prevenzione dell’Asl a seguito di contatto verificatosi all’interno dell’istituto scolastico, in alternativa al congedo retribuito dall’Inps nella misura pari al 50% della retribuzione.

Aspetto di rilievo nel rapporto di lavoro è inoltre il diritto o meno ai buoni pasto durante la prestazione agile, tematica fortemente discussa visto l’ampio ricorso allo Smart Working, rispetto a cui – in assenza di diversa disciplina prevista nei Ccnl – si è data prevalentemente risposta negativa, escludendone il diritto. Resta salva la facoltà per le imprese di conservare il diritto ai buoni pasto, quale previsione di miglior favore per i propri dipendenti.

In conclusione, nell’attuale contesto sanitario ed economico, pur con l’auspicio che non vi sia un ritorno a restrizioni estreme quali il lockdown, onde contenere l’impatto negativo dell’emergenza sanitaria, è bene che le imprese valutino, ove possibile, l’implementazione di un vero sistema di Smart Working, slegato dai provvedimenti emergenziali, che permetta, nel contesto nazionale e internazionale connotato da forti incertezze, di salvaguardare maggiormente la continuità dell’attività aziendale e la salute dei lavoratori dipendenti.

*Avvocato in Milano

 

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