Soci accomandanti, il lavoro aziendale e ispezioni in materia di lavoro

di Stefano Ferri* 

Nel presente articolo affronterò un argomento che nella pratica professionale quotidiana si è recentemente presentato già diverse volte: le ipotesi di lavoro aziendale da parte di soci accomandanti di società in accomandita semplice e le problematiche che sorgono in sede ispettiva qualora questi non siano inquadrati quali dipendenti della società.

Accade infatti sovente che, soprattutto nelle piccole s.a.s., per effetto di un picco di lavoro, o anche semplicemente per migliorare la situazione economica dell’azienda, il socio accomandante svolga attività lavorativa a seguito della mera denuncia all’INAIL quale socio lavoratore.

Tale posizione assicurativa corrisponde all’attuale legislazione in materia previdenziale, che prevede l’assicurabilità nella gestione IVS-ART del solo socio accomandatario, in quanto avente la piena responsabilità dell’impresa; per il socio accomandante è prevista l’assicurazione come coadiuvante solo se parente entro il terzo grado del socio accomandatario.

Nel caso qui in esame, che non vi sia parentela con il socio accomandatario, stante il disposto dell’art. 1 della Legge 27/11/1960 n. 1397 e successive modifiche e integrazioni e dell’art. 2 della Legge 22/07/1966 n. 613 nonché viste le Circolari INPS n. 249 del 1981 e n. 1595 del 1978, l’accomandante non può essere assicurato come coadiuvante di questi e la società spesso, quindi, provvede solo ad assicurarlo all’INAIL.

La circolare INPS n. 80 del 1993 prevede poi, per i soci accomandanti di una s.a.s. che “non sono assicurabili come artigiani (art. 3 legge 443 citata); nel campo commerciale, se non sono iscrivibili come coadiutori, potrebbero essere assicurati come dipendenti. La sussistenza del rapporto di lavoro deve peraltro essere valutata con attenzione, visto che il datore di lavoro è una società di persone della quale l’interessato è socio. Si veda in proposito la circ. n. 179 dell’8.8.1989”.

In queste fattispecie, qualora sopraggiunga visita ispettiva in materia di lavoro, con ogni probabilità gli ispettori cercheranno di riclassificare questa attività come lavoro dipendente, con tutte le conseguenze anche contributive e sanzionatorie correlate; si è letto in vari verbali che “il sig. … svolge la propria attività in modo continuativo per l’intera durata di apertura giornaliera dell’azienda, rispettando l’orario fisso determinato dall’esercizio proprio dell’impresa e cioè dalle …. alle …. e dalle ….. alle ….., pertanto, non in maniera autonoma, usufruisce del periodo di ferie corrispondente alla chiusura per ferie dell’attività; esegue prestazioni meramente tecniche occupandosi esclusivamente dei lavori di … e demandando l’attività gestionale al socio accomandatario, sig. … . Per quanto sopra, nonché sulla base degli accertamenti svolti presso il sistema banche dati, non ricorrendo i presupposti di una diversa qualificazione della sua attività lavorativa, questa non può non essere riconosciuta la veste di lavoratore dipendente così come prevista dall’art. 2094 del c.c. e, pertanto, assoggettata alla normale contribuzione sociale obbligatoria prevista per i lavoratori subordinati.” 

Già da una prima lettura di tali contestazioni sorgono alcune riflessioni.

In primo luogo appare ovvio che il socio lavori quando l’azienda è operativa (e sarebbe ben singolare e paradossale che avvenisse il contrario) circostanza questa che spinge gli ispettori a connotare come non autonoma la prestazione, senza osservare che questi non deve osservare orari o turni imposti da altri. In secondo luogo è altrettanto evidente che il socio accomandante non amministra la società, essendogli attività vietata dagli articoli 2318 e 2320 del Codice Civile.

Ebbene, partendo dalla constatazione che il socio accomandante non risulta assicurato in altra gestione, gli ispettori ne fanno discendere, come conseguenza, che il rapporto fra questi e la s.a.s. a cui partecipa è da intendersi come rapporto di lavoro dipendente, come se esistesse nell’ordinamento una presunzione di applicazione dell’articolo 2094 del Codice Civile quando non sono applicabili altre forme assicurative.

Rammentiamo, per mero tuziorismo, che il citato articolo 2094 così definisce il lavoro subordinato: “È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.”

Si osserva che, nell’esaminare la posizione del socio, di prassi gli ispettori non si curano di accertare la corresponsione della retribuzione come contropartita del lavoro prestato, anche perché si tratterebbe di ricerca destinata all’insuccesso poiché di consueto il socio presta attività per il buon andamento della società e in vista di percepire utili, non per una retribuzione fissa mensile; inoltre spesso gli ispettori non si curano minimamente di provare l’esercizio del potere direttivo e disciplinare (anche questo spesso insussistente stante l’affectio societatis) che è elemento fondamentale per qualificare il rapporto, ma limitano ad osservare che la gestione della s.a.s. è demandata al socio accomandatario, come peraltro ovvio e previsto dal Codice Civile, e che la prestazione avviene durante gli orari di attività dell’azienda.

Tali elementi non sono sufficienti a provare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e tale forma giuridica del rapporto non può essere affermata per la circostanza che il socio accomandante non risulta assicurato in altra gestione: la circostanza di attività lavorativa non protetta da una assicurazione pensionistica non è infrequente e si può citare l’esempio del titolare di impresa artigiana che ha superato il numero dei dipendenti per il mantenimento dell’iscrizione all’Albo Artigiani.

Stessa mancanza di assicurazione può essere riscontrata nei soci di una società a responsabilità limitata che svolgono attività artigianale e che non hanno esercitato la facoltà di iscrizione all’Albo Artigiani; gli stessi soci accomandatari non erano iscrivibili nella gestione assicurazione artigiani fino al 5 giugno 1997.

Per tutte queste attività esiste solo la protezione dell’INAIL, e non è prevista alcuna forma pensionistica, ma tale vuoto normativo non è motivo per affermare che si instaurino rapporti di lavoro dipendente con le società con cui collaborano.

Rammento che, da una anche sommaria analisi storica, risulta evidente che il rapporto di lavoro dipendente esisteva ben prima dell’estensione delle tutele pensionistiche ai lavoratori autonomi, ma non si è mai tentato di ricondurre l’attività degli autonomi nel rapporto disciplinato dall’art. 2094 del Codice Civile nei periodi anteriori nei quali non esistevano le tutele pensionistiche del settore autonomo.

Si può invocare la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente solo ed esclusivamente quando vengano dimostrati e provati tutti gli elementi caratterizzanti del rapporto e non per mera esclusione in quanto non risulta applicabile altra forma assicurativa.

Come ben noto, elemento determinante ed essenziale ai fini dell’inquadramento del rapporto di lavoro dipendente è la “subordinazione”, intesa come vincolo che assoggetta il lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro; in tale ipotesi il potere del datore di lavoro deve essere tale da inerire di volta in volta all’intrinseco svolgimento della prestazione e non deve concretarsi in semplici direttive generali, programmatiche ed in un controllo estrinseco, essendo tali elementi compatibili anche con la prestazione di lavoro autonomo. Anche nel contratto d’opera, infatti, il committente può impartire disposizioni ed istruzioni, ma queste attengono esclusivamente alle modalità ed alle caratteristiche dell’opera commissionata e non riguardano il modo e il tempo dell’esplicazione dell’attività lavorativa e il controllo del committente sull’esecuzione dell’opera non manifesta un vincolo di subordinazione, ma discende dalla facoltà prevista dall’art. 2224 del Codice Civile. Si ha subordinazione solo quando il potere direttivo e di controllo inerisce all’intrinseca esecuzione della prestazione con conseguente limitazione della libertà del prestatore d’opera.

Sulla stessa linea è l’INPS che con la Circolare 12/2008 ha così precisato in materia di assicurazione dei soci accomandanti:

“2) – Soci accomandanti di Società in accomandita semplice (S.a.s.) 

Per quanto attiene gli obblighi assicurativi e contributivi dei soci accomandanti di Società in accomandita semplice, si conferma quanto già disposto con le circolari n. 1595/2 del 3 gennaio 1978 e la successiva n. 249 del 9 dicembre 1981, nonché con il messaggio n. 14163 del 15 marzo 1993, con cui è stato specificato che tali soggetti sono iscrivibili alla Gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali ove concorrano le due seguenti condizioni: 

  • un rapporto di parentela ovvero di affinità entro il terzo (3°) grado con il socio accomandatario (cfr. articolo 1, comma 206 della legge n. 662/1996; circolare INPS n. 25 del 7 febbraio 1997); 
  • l’effettivo svolgimento dell’attività istituzionale della Società con carattere di abitualità e di prevalenza. 

In difetto di uno o di entrambi i precedenti requisiti da parte del socio accomandante, qualora nell’ambito della società il medesimo svolga attività lavorativa con le caratteristiche del lavoro subordinato dovrà essere obbligatoriamente iscritto come lavoratore dipendente nel Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD).” 

La citata circolare riguarda l’assicurazione nella gestione IVS-COM, ma il principio è ben evidenziato e valido anche per la gestione IVS-ART: il socio accomandante va iscritto nel Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD) solo se svolge attività lavorativa con le caratteristiche del lavoro subordinato, ma tale circostanza va rigorosamente accertata e provata e l’onere relativo grava sugli ispettori. E, a mio giudizio, a nulla vale la citazione, che si rinviene spesso nei verbali, degli articoli da 2313 a 2324 del codice civile esaminando i quali appare evidente che dagli stessi non scaturisce alcun obbligo assicurativo pensionistico, limitandosi gli articoli citati a disciplinare il funzionamento delle società in accomandita semplice.

Alla luce di quanto sopra, esistono quindi serie ragioni da far valere, prima in fase amministrativa e poi eventualmente in fase giudiziale, per richiedere l’annullamento dell’eventuale rapporto di lavoro subordinato contestato, in assenza dei necessari requisiti, dagli ispettori tra il socio accomandante e la società in accomandita semplice per assoluta inesistenza e mancanza di prova degli elementi caratterizzanti il rapporto previsto e disciplinato dall’art. 2904 del Codice Civile. Ovviamente prima di iniziare ogni rapporto è necessario valutare se è opportuno o necessario instaurare un rapporto di lavoro subordinato e, comunque, prima di ogni iniziativa giudiziaria è necessario effettuare valutazione prognostica della fattispecie e prestare attenzione all’evolversi della giurisprudenza in materia, soprattutto dei Tribunali locali e poi della Corte di Cassazione.

* ODCEC Reggio Emilia

 

2 commenti
  1. mario lucifora
    mario lucifora dice:

    commento e richiesta: pur avendo letto con attenzione alla fine pongo questo quesito:
    un lavoratore subordinato che presta regolarmente la sua opera alle dipendenze di una sas (con versamento di contributi e busta paga ecc. ) può diventare socio accomandante con un piccola quosta del capitale di una sas ( attività commerciale )?

    grazie per l’attenzione e nell’attesa di cortese risposta porgo distinti saluti

    Rispondi
    • goal
      goal dice:

      Per correttamente impostare il tema di cui al presente quesito è necessario richiamare la definizione di socio accomandante così come definito dal Codice Civile all’articolo 2320 che testualmente recita “i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società”…”i soci accomandanti possono tuttavia prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori…”.

      Stanti le prerogative giuridiche proprie del ruolo di tale tipologia di socio, l’INPS ha escluso l’obbligo di iscrizione alla gestione IVS.

      Venendo all’aspetto cardine del quesito, l’INPS, dapprima con la ben nota Circolare n. 179 del 1989 e poi con successivi interventi, ha consentito che venga instaurato un rapporto di lavoro subordinato tra la società in accomandita semplice ed il socio accomandante a condizione che non si concretizzi lo status di dipendente di se stesso; pertanto è necessario esaminare gli elementi discretivi che possono consentire l’instaurazione di tale rapporto di lavoro e in dettaglio:

      1) il socio in questione deve essere effettivamente assoggettato a potere gerarchico e disciplinare;

      2) non deve essere titolare di poteri amministrativi;

      3) non deve essere il socio di maggioranza;

      4) il suo nome non deve figurare nella ragione sociale.

      In estrema sintesi è consentito il rapporto di lavoro dipendente tra il socio accomandante e la società qualora siano riscontrabili gli elementi di una effettiva subordinazione; viceversa si tratterà di una fattispecie di lavoro dipendente simulato e potrà essere disconosciuta in sede di eventuali ispezioni.

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