Violazione dell’ ordine provvisorio di riammissione in servizio del lavoratore licenziato: la sentenza della Corte Costituzionale n. 86 del 23 Aprile 2018

di Cristina Carati* e Daniele Colombo* 

Con la recente sentenza in commento la Consulta si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, 4° comma dello Statuto dei lavoratori (come sostituito dalla cd. Riforma Fornero) con riferimento all’art. 3 della Costituzione. Tale questione di legittimità è stata sollevata con ordinanza dal giudice monocratico del Tribunale ordinario di Trento, sezione Lavoro, in merito alla natura dell’indennità che il datore di lavoro che si rifiuti di riammettere il lavoratore in servizio in seguito a sentenza di annullamento del licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo o giusta causa è tenuto a pagare al dipendente. Com’è noto, a norma dell’art. 18, 4° comma riformato, ove non ricorrano gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento per l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore, ovvero perché il fatto rientra, secondo il Ccnl o il Codice disciplinare applicabile, tra le condotte punibili con sanzione conservativa (e non già espulsiva) il Giudice annulla il licenziamento intimato e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Con la sentenza de qua la Corte costituzionale si è pronunciata sul tema della natura dell’indennità gravante sul datore di lavoro che si sia rifiutato di reintegrare il dipendente in seguito a pronuncia giudiziale di annullamento del licenziamento, confermandone di fatto la natura risarcitoria.

Le posizioni in giurisprudenza

Nel sollevare la questione di legittimità costituzionale il giudice monocratico del Tribunale di Trento ha richiamato la sentenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite civili n. 2925 del 13 aprile 1988, secondo cui il datore di lavoro che non aveva ottemperato all’ordine di reintegrazione in servizio del lavoratore licenziato ma aveva pagato a quest’ultimo le retribuzioni nel periodo successivo all’ordine giudiziale di reintegrazione, non poteva ripetere le retribuzioni corrisposte,facendo applicazione dell’art. 2126 Codice civile secondo cui la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione e pertanto non travolge le retribuzioni corrisposte. Ebbene, nel ricostruire l’iter normativo e giurisprudenziale in materia la Corte costituzionale ha evidenziato che l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori nella sua formulazione originaria poneva a carico del datore di lavoro che non avesse ottemperato all’ordine giudiziale di reintegrazione, l’obbligo ulteriore di corrispondere al lavoratore le retribuzioni dovutegli dalla sentenza di annullamento sino all’effettiva reintegra nel posto di lavoro, ma rammentava la Consulta che tale norma è poi stata modificata dapprima dalla legge 108 del 1990 e successivamente dalla legge 92 del 2012 ed è risultata non più in linea con la successiva e poi consolidatasi giurisprudenza della Corte di cassazione. (Ex plurimis, sezione lavoro sentenza 21 novembre 2016 n. 26345; 30 giugno 2016 n. 13472; 25 gennaio 2016 n. 1256; 3 febbraio 2012 n. 1639; 11 febbraio 2011 n. 3385).

Inoltre, con la sentenza in commento la Corte costituzionale ha evidenziato che l’orientamento consolidatosi in giurisprudenza, successivamente alla sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite succitata, ha sancito il principio secondo cui il rapporto di lavoro affetto da nullità può rientrare nella sfera di applicazione dell’art. 2126 Codice civile solamente nel caso in cui il rapporto di lavoro stesso abbia avuto materiale esecuzione. Secondo la Consulta, ciò è in linea con la nozione di retribuzione che si ricava dalla Carta costituzionale nonché dal Codice civile, con la conseguenza che il diritto alla corresponsione della retribuzione sussiste solo in ragione della effettiva esecuzione della prestazione lavorativa. Secondo la Consulta, dunque, sebbene l’ordine di reintegrazione ripristini la lex contractus, se il datore di lavoro non ottempera all’ordine di reintegrazione, ciò configurerebbe una situazione in cui si protraggono le conseguenze dannose del licenziamento illegittimo, dal quale deriva un’obbligazione risarcitoria del danno nei confronti del dipendente non riammesso in servizio. Neppure il riferimento dell’art. 18, 4° comma “all’ultima retribuzione globale di fatto” ai fini della commisurazione dell’indennità de qua stessa contraddice, secondo la Consulta, la qualificazione “risarcitoria” dell’indennità stessa. Tale riferimento sarebbe coerente con il principio del risarcimento del “lucro cessante” derivante dapprima dal licenziamento e poi dalla mancata riammissione in servizio del lavoratore. Infine, neppure ravvisa la Consulta un contrasto dell’art. 18, 4° comma dello Statuto dei lavoratori novellato con l’art. 3 della Carta costituzionale sotto il profilo della pretesa disparità di trattamento tra il datore di lavoro ottemperante all’ordine di reintegrazione e quello inottemperante a tale ordine. Ciò atteso che il datore di lavoro adempiente, a fronte del pagamento delle retribuzioni al lavoratore reintegrato, riceve da quest’ultimo la prestazione lavorativa, diversamente dal datore di lavoro inadempiente. Infine la Consulta pone in evidenza come il datore di lavoro inottemperante all’ordine del Giudice, ove messo in mora dal lavoratore, potrà essere destinatario di una richiesta risarcitoria, sulla scorta dei principi generali delle obbligazioni, per il danno connesso alla mancata riammissione del dipendente in servizio, a far tempo dalla pronuncia giudiziale di annullamento del licenziamento e sino alla riforma della stessa.

Le conclusioni della Consulta

Con la sentenza in commento e per le motivazioni suesposte la Consulta sancisce dunque la legittimità costituzionale del novellato art. 18, 4° comma Statuto dei Lavoratori, ravvisando la coerenza della natura “risarcitoria” dell’indennità a carico del datore di lavoro con il contesto della fattispecie esaminata, qualificato dalla inottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di reintegrazione del lavoratore licenziato e dunque compatibile con una situazione fattuale in cui il lavoratore non ha materialmente prestato l’attività lavorativa.

*Avvocato in Milano

 

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