Il recesso per mancato superamento del periodo di prova in tempo di pandemia: casi di nullità per violazione del blocco dei licenziamenti secondo i Tribunali di Roma e Milano

di Paolo Galbusera e Andrea Ottolina* 

Il patto di prova, normato dall’art. 2096 cod. civ. e dalla contrattazione collettiva, è una clausola che può essere apposta al contratto di lavoro, con la quale si subordina il carattere definitivo dell’assunzione al superamento di un periodo, espressamente risultante da atto scritto, durante il quale entrambe le parti possono valutare il proprio interesse alla prosecuzione del rapporto e, in caso negativo, hanno la facoltà di recedere dal contratto stesso, senza obbligo di preavviso o di indennità sostitutiva.

Come ampiamente precisato dalla giurisprudenza, per quanto riguarda il recesso del datore di lavoro nel corso o all’esito del periodo di prova, esso, diversamente da quanto richiesto per le altre tipologie di licenziamento assoggettate alla legge 15 luglio 1966, n. 604 “Norme sui licenziamenti individuali”, non prevede alcun onere di giustificazione, se non, appunto, il mancato superamento della prova.

Proprio per la sua natura discrezionale, è pacifico che il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova non rientra nell’ambito del blocco dei licenziamenti attualmente in essere e introdotto ormai più di un anno fa dalla normativa emergenziale (art. 46 del decreto-legge 17 marzo 2020, n.18 “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” e successive proroghe). Detto blocco, infatti, riguarda espressamente i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo rientranti nell’ambito dell’art. 3 legge 604/1966, cioè quei licenziamenti, altresì detti economici, motivati da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

Con due recentissime decisioni, tuttavia, i Tribunali del Lavoro di Roma e Milano hanno avuto modo di dichiarare la nullità di alcuni recessi per mancato superamento del periodo di prova, proprio perché intimati in violazione del blocco dei licenziamenti in essere. Stiamo parlando, nello specifico, della sentenza del Tribunale di Milano, Giudice del Lavoro la Dr.ssa Colosimo, del 5 febbraio 2021 e di quella del Tribunale di Roma, Giudice del Lavoro il Dr. Coco, del 25 marzo 2021.

In entrambe le sentenze, i Giudici, dopo aver esaminato le circostanze di fatto, hanno ritenuta raggiunta la prova del fatto che i recessi in questione, pur essendo formalmente motivati dal mancato superamento del periodo di prova, erano in realtà stati intimati per ragioni economiche connesse alla pandemia in atto.

Il caso oggetto della sentenza del Tribunale di Milano riguardava cinque lavoratori, assunti tra gennaio e febbraio 2020, e tutti licenziati l’11.03.2020 per asserito mancato superamento del periodo di prova contrattualmente previsto.

Nel corso della causa era emerso che, oltre ai cinque ricorrenti, nello stesso mese di marzo 2020 la datrice di lavoro aveva licenziato per mancato superamento del periodo di prova altri tredici lavoratori, tutti assegnati a progetti differenti e in diverse realtà territoriali. Ebbene, secondo il Giudice milanese, considerate le tempistiche, le modalità e le forme dell’agire del datore di lavoro, questi, nell’apparente esercizio di una legittima facoltà di legge, aveva in realtà utilizzato lo strumento del licenziamento per mancato superamento del periodo di prova per recedere, con effetto immediato, da una molteplicità di rapporti di lavoro appena formalizzati per prestazioni di cui, a causa delle misure adottate dal Governo per il contenimento della pandemia in atto, non avrebbe potuto beneficiare.

Il caso oggetto della sentenza del Tribunale di Roma, invece, riguardava una lavoratrice assunta in data 1 marzo 2020 per svolgere mansioni di Hotel Manager presso una struttura alberghiera che, a seguito dell’insorgere dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, era stata costretta a chiudere al pubblico il successivo 11 marzo. In conseguenza di ciò, la datrice di lavoro aveva comunicato a tutti i propri dipendenti, compresa la ricorrente, l’attivazione in loro favore del Fondo di integrazione salariale a far data dal 16 marzo 2020. La lavoratrice in questione, tuttavia, non poteva accedere al FIS, in quanto assunta dopo il 23 febbraio 2020, e pertanto veniva inizialmente posta in smart working e quindi, in data 16 aprile 2020, veniva licenziata con la motivazione del mancato superamento del periodo di prova.

Anche in questo caso, come in quello di Milano, il Giudice del Lavoro di Roma ha ritenuto che, alla luce delle circostanze di fatto, la risoluzione del rapporto di lavoro non fosse stata in realtà determinata da motivi legati all’espletamento della prova, bensì da ragioni di natura economica, essendosi trovata la datrice di lavoro nella necessità di eliminare una posizione di lavoro divenuta troppo onerosa e sostanzialmente inutilizzabile a causa della pandemia in corso, come era stato peraltro confermato dall’iniziale volontà di includere a lavoratrice nel FIS a zero ore.

Entrambi i Giudici, sulla base di indizi considerati gravi, precisi e concordanti, hanno quindi ricondotto i recessi in questione a motivazioni di carattere economico e ne hanno di conseguenza dichiarato la nullità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418, 1344 e 1345 cod. civ., in quanto intimati con l’illecita finalità di eludere una norma imperativa, nello specifico il blocco dei licenziamenti introdotto dal d.l. 18/2020.

Alla  luce dei principi fissati dalle due sentenze qui esaminate, emerge senza dubbio la necessità da parte dei datori di lavoro di considerare attentamente, in tempi di pandemia, la decisione di procedere con un licenziamento per mancato superamento del periodo di prova. Se è vero che, come ricordato sopra, tale tipologia di recesso ha natura discrezionale e che addirittura alcune interpretazioni giurisprudenziali ritengono che la valutazione della convenienza anche economica del rapporto sia coerente con le finalità del patto d prova (cfr. Cassazione sent. n. 402/1998; Corte d’Appello di Milano sent. del  27.05.2003), nell’attuale periodo di vigenza del blocco dei licenziamenti è quanto mai opportuno esaminare attentamente tutte le circostanze di fatto, in modo da assicurarsi che le ragioni del recesso siano effettivamente connesse all’espletamento della prova e non possano invece essere ricondotte a motivi di natura economica e/o riorganizzativa.

* Avvocato in Milano – Galbusera & Partners

 

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