A chi serve il commercialista?

di Domenico Calvelli* 

La stessa domanda posta nel titolo di questo articolo potrebbe porsi per qualunque altra libera professione ma, nel caso dei commercialisti, la risposta può essere cercata nel contesto giuridico ed economico in cui si trova il nostro Paese.La professione di commercialista, un unicum rispetto ad altre nazioni, può paragonarsi al setaccio di un cercatore d’oro; la sabbia delle norme, spesso incomprensibili, viene ripulita e resa “brillante” e fruibile (con il limite del brocardo ad impossibilia nemo tenetur…). Purtroppo tutti sappiamo che il sistema normativo nazionale è a dir poco contorto, in qua- si ogni materia. C’è sempre bisogno insomma, non solo per mettere in pratica la Legge ma anche solo per comprenderla, di “interpreti di prima linea” che rendano la complessità semplice e soprattutto vivibile. Tra questi, i commercialisti. Il motivo profondo di questa complessità risiede nell’italianità (e purtroppo non più tanto nella romanità giuridica) dell’apparato legislativo. Manca, nelle prassi e nelle intenzioni, la capacità di legiferare in modo strutturale: si producono norme sempre più spesso di indirizzo congiunturale e, quel che è peggio, sull’onda emozionale e mediatica del momento.

Un vero e proprio passaporto per complicare la vita al Paese.
Si arriva spesso (con leggi, decreti, circolari, comunicati stampa…) all’ultimo minuto, assistendo così a pietose (quanto ahimè indispensabili) suppliche di proroghe da parte di varie categorie professionali.

Gli adempimenti sono spessissimo contorti e contraddittori (per non dire oggettivamente inutili, fatto salvo il gettito che potrebbero produrre in quanto inevitabilmente ed agevolmente sanzionabili). Se poi vogliamo addentrarci nel linguaggio del Legislatore, si dovrebbe abbondare in “segni blu” che, se ci trovassimo in una normale scuola superiore, sancirebbero la bocciatura senza appello del redattore.

Insomma, la certezza del diritto è piuttosto un miraggio. In fondo basterebbe prendere una direzione unica e condivisa da tutti e mantenerla nel lungo periodo: ricorrere a codici e testi unici che accorpino tutte le norme inerenti una determinata materia, utilizzare un linguaggio corretto, chiaro e coordinato con altre disposizioni che dia il meno possibile adito ad interpretazioni contrastanti, invertire il fenomeno dell’inflazione normativa, avere ben chiari gli obiettivi ed i beni giuridici da tutelare, ascoltare le categorie professionali che possono dare un utile contributo in quanto conoscitrici della materia, non farsi guidare unicamente da politiche di bilancio e di gettito, abbracciare in modo completo il principio di buona fede in tutti i rapporti tra Stato e cittadini. Lasciatemi coltivare questa speranza.

*Presidente Odcec di Biella

 

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