Ammortizzatori sociali Covid a pagamento diretto un ginepraio tra scadenze e criticità

di Francesca Forloni*

 La gestione degli ammortizzatori Covid a pagamento diretto in alcuni casi non è una scelta.

E’ il caso della Cassa integrazione in deroga, salvo l’eccezione per le aziende multilocalizzate, introdotta con il decreto- legge 19 maggio 2020, n. 34, “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, Decreto Rilancio. Per gli altri ammortizzatori, Cassa integrazione ordinaria Cigo e Assegno ordinario Fis, il datore di lavoro ha invece facoltà di anticipare il trattamento o chiederne il pagamento diretto.

A causa della pandemia molti datori di lavoro si sono trovati in condizione di scarsa liquidità che ha determinato la scelta di optare per il pagamento diretto, fin dai primi ammortizzatori Covid.

Si sono susseguite diverse indicazioni anche di prassi da parte dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) che si è trovato a dover adattare la normativa sugli ammortizzatori al caso specifico delle misure Covid, inclusa la diatriba sugli assegni familiari dapprima previsti solo per Cigo e Cassa in deroga e poi estesi anche all’assegno ordinario Fis.

È stata in seguito introdotta la possibilità di chiedere, all’atto della presentazione della domanda, un’anticipazione del 40% da parte dell’Inps. In tal caso occorre tuttavia anticipare la trasmissione dei dati generalmente contenuti nei modelli SR41 per tutti i lavoratori ed in particolare:

  • Codice fiscale
  • Iban
  • Ore stimate di cassa per ogni singolo lavoratore

Tale opzione è stata poco utilizzata soprattutto nei casi in cui vi era incertezza sul monte ore di fruizione o in caso di assenze a rotazione, per evitare di dover trattenere al lavoratore le somme anticipate dall’Inps per giornate non effettivamente fruite.

La procedura Inps di controllo dei flussi SR41 è stata nel corso di questi mesi perfezionata. Dapprima l’incongruenza di uno dei dati sopra indicati per un solo lavoratore comportava lo scarto dell’intero flusso. Successivamente, l’Istituto processava i pagamenti dei lavoratori con i dati congrui e completi, mandava in domiciliazione postale i pagamenti per i lavoratori con assenza di Iban o Iban errato e richiedeva indicazioni alle aziende in caso di incongruenza con le ore presenti nella domanda.

In molti casi l’istituto si è reso disponibile alla correzione del monte ore denunciato per errore inferiore all’effettiva fruizione, ma non per le casse in deroga. Questo ha determinato notevoli problemi nei casi in cui la segnalazione perveniva decorsi i termini di presentazione delle domande, con l’impossibilità di integrarle.

L’evoluzione normativa con continue modifiche non ha affatto semplificato la gestione dei termini di trasmissione, determinando un notevole dispendio di tempo per monitorare le singole situazioni. In particolare il decreto-legge 16 giugno 2020, n. 52, “Ulteriori misure urgenti in materia di trattamento di integrazione salariale, nonché proroga di termini in materia di reddito di emergenza e di emersione di rapporti di lavoro”, entrato in vigore il 17 giugno 2020, ha stabilito termini decadenziali con conseguenze molto pesanti in caso di mancato rispetto per l’invio dei modelli SR41.

Attualmente l’inoltro de modelli SR41 è previsto per la fine del mese successivo al termine del periodo di sospensione, oppure entro 30 giorni dalla notifica dell’autorizzazione, se questa perviene dopo il termine ordinario.

Nel susseguirsi i decreti hanno introdotto una serie di ‘sanatorie’ per i periodi pregressi con un ginepraio di termini, sempre diversi.

Il decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149, “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese e giustizia, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, ultimo in ordine di legiferazione a intervenire sui termini di presentazione dei modelli SR41, ha indotto in errore molti contribuenti e intermediari che hanno interpretato la norma come estensiva del termine ultimo di invio di detti modelli al 15 novembre 2020. Per contro, il messaggio Inps n. 4222 del 11.11.2020 precisava che tale differimento riguardava solo i termini decadenziali di invio delle domande di accesso ai trattamenti collegati all’emergenza da COVID-19 e di trasmissione dei dati necessari per il pagamento o per il saldo degli stessi che, in applicazione della disciplina ordinaria, si collocavano tra il 1° e il 30 settembre 2020. Ora, i professionisti che assistono le aziende, hanno dovuto monitorare di propria iniziativa le varie fonti Inps per poter accedere alle autorizzazioni, in quanto spesso l’Istituto non ha provveduto all’invio delle comunicazioni a mezzo pec. Ne consegue che taluni invii sono risultati tardivi rispetto alla data di autorizzazione dell’ammortizzatore sociale, ma stante la mancata notifica all’azienda, tale tardività non è opponibile da parte dell’Istituto. L’Inps, infatti, con il messaggio n. 3729 del 15.10.2020, ha ribadito che “con riguardo ai termini decadenziali relativi alla trasmissione dei dati necessari al pagamento, deve ritenersi valida come data di notifica quella di invio della pec”. 

Una ulteriore criticità ancora non risolta è connessa alla gestione delle retribuzioni con il mese differito, gestione che peraltro risulta all’Istituto a seguito degli invii degli uniemens. Infatti, se il termine di presentazione dei modelli SR41 è la fine del mese successivo a quello in cui è collocato il periodo di integrazione salariale, chi opera con il mese differito, quindi considerando le variabili del mese precedente, potrà disporre delle informazioni solo a ridosso della scadenza se non addirittura dopo tale data. In tal senso si auspica un intervento normativo che tenga conto di queste particolari gestioni molto diffuse soprattutto nelle medio-grandi aziende.

In caso di invio tardivo dei modelli SR41, i datori di lavoro dovranno farsi carico della mancata erogazione della prestazione e degli oneri ad essa connessi.

A tale proposito l’Istituto, richiamando la giurisprudenza di Cassazione, afferma che “la mancanza di un provvedimento autorizzativo (o il suo annullamento o il rigetto della domanda) mentre non fa sorgere alcun diritto soggettivo del lavoratore alla integrazione salariale, allo stesso tempo non consente di qualificare gli importi corrisposti ai dipendenti come anticipazioni di integrazioni salariali, con la conseguenza della loro qualificazione come retribuzione imponibile e del loro assoggettamento alla normale contribuzione obbligatoria.” (circ. Inps 267 del 23/11/1987). 

Ad oggi, l’Istituto ha già comunicato alle imprese che hanno tardivamente inviato gli SR41, la non erogazione delle integrazioni salariali ai lavoratori. Tali oneri ricadono sul datore di lavoro che, oltre a dover garantire il trattamento  corrispondente alla integrazione salariale non erogata, dovrà versare anche gli oneri contributivi determinati sulla retribuzione piena e non su quella ridotta corrispondente all’ammortizzatore sociale.

Ai fini contributivi gli ammortizzatori sociali generano, in capo ai lavoratori, contribuzione figurativa con oneri a carico dello Stato. Il venir meno della erogazione delle integrazioni salariali determina anche l’obbligo di “copertura” previdenziale per i lavoratori con versamento dei contributi non su valori figurativi ma pieni, quindi sulla retribuzione che il lavoratore avrebbe avuto diritto di percepire se avesse prestato normale attività lavorativa.

Negli ultimi giorni, alcuni intermediari segnalano l’impossibilità di trasmissione dei flussi SR41 a partire dai primi mesi di gennaio 2021 per la presenza del seguente errore “Anno decorrenza detrazioni fiscali errato”, anche in assenza di detrazioni, verosimilmente a causa del cambio anno. In tal senso l’Istituto è stato allertato e si attendono indicazioni.

Cosa augurarci quindi per il futuro? Si auspica un intervento normativo risolutivo, che possa sanare le trasmissioni tardive, assolutamente involontarie, eliminando possibilmente i termini decadenziali perentori, volto a dare maggior respiro al lavoro dei professionisti che assistono

le aziende, già provati dalla frenesia e dal caos di provvedimenti normativi continui spesso confusi e contrastanti tra loro oltre che tardivi.

*Odcec Milano

 

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