Esonero contributivo e controlli dell’Inps: rischi per datori di lavoro e professionisti

di Filippo Mengucci* 

L’Inps in questi giorni ha spedito a molti datori di lavoro, tramite posta elettronica certificata, delle richieste di regolarizzazione per gli sgravi indebiti sulle nuove assunzioni agevolate. Atteso che le somme richieste, ove non versate nei termini indicati, saranno riscosse tramite avviso di addebito avente valore di titolo esecutivo che sarà consegnato all’Agente della Riscossione per l’avvio delle attività di recupero coattivo, occorre valutare attentamente le eventuali richieste ed il contenuto dei calcoli delle maggiori somme che vengono indicate in calce alla missiva dove, peraltro, viene fornito l’elenco nominativo dei lavoratori per i quali è stata calcolata la diversa contribuzione dovuta, con le relative sanzioni per il periodo di riferimento. Per beneficiare dell’esonero contributivo previsto dalla Legge di Stabilità 2015 e capire se le richieste dell’Istituto siano effettivamente legittime, i datori di lavoro sono chiamati a (ri)verificare l’esistenza delle condizioni che consentono di usufruire del benefizio in questione, ossia l’assenza di un rapporto a tempo indeterminato nei 6 mesi precedenti l’assunzione, intrattenuto con qualsiasi datore di lavoro, e l’inesistenza di un’assunzione presso lo stesso datore di lavoro comprese le società controllate o collegate nell’ultimo trimestre. 

Per la verifica di detti requisiti, in taluni casi, ed in assenza di un diverso obbligo del legislatore, è stata utilizzata una dichiarazione di responsabilità del singolo lavoratore circa l’assenza di un rapporto a tempo indeterminato nei 6 mesi precedenti. Può essere che detta dichiarazione, allo stato, non risponda all’effettivo “status lavorativo” tracciato per la risorsa in questione, come diversamente rilevato in sede di verifica, e l’Istituto proceda a rettifica attingendo dai dati dei Centri per l’Impiego, ovvero dalle comunicazioni SIL/UNILAV inviate dalle aziende che hanno riscontro proprio negli archivi dell’Inps. Ancor più difficile è rilevare se il datore di lavoro precedente abbia magari già fruito del beneficio contributivo che inficia la nuova attribuzione e, per questo, in assenza di uno specifico servizio online dell’Inps, occorre fare i dovuti accertamenti del caso. Ma non basta.

Si ricorda che la fruizione dell’esonero contributivo triennale è subordinata al rispetto dei principi disciplinati attraverso la legge 92/2012 (e ripresi dall’art. 31 d.lgs. n. 150/2015) e delle norme poste a tutela delle condizioni di lavoro e dell’assicurazione obbligatoria dei lavoratori. 

L’esonero contributivo triennale è stato previsto dall’articolo 1 commi da 118 a 124 della Legge di Stabilità 190/2014, “al fine di promuovere forme di occupazione stabile” per i datori di lavoro che provvedevano ad attivare nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato dal 1 gennaio 2015 al 31 Dicembre 2015. L’importo massimo previsto è di 8.060 euro annui (massimo mensile 671,66). Coloro che ne possono beneficiare sono, quindi, tutti i datori di lavoro privati ad eccezione del datore di lavoro domestico. Sono pertanto esclusi dall’esonero contributivo i premi Inail, il contributo al fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del privato dei trattamenti di fine rapporto, il contributo ai fondi di solidarietà della legge 92/2012. In agricoltura non si ha diritto all’esonero per quei lavoratori che siano stati assunti a tempo indeterminato nell’anno 2014 o che come lavoratori a tempo determinato nel 2014 abbiano avuto un numero di giornate non inferiore a 250. La non spettanza dell’esonero è quindi motivabile in diverse maniere.

Dalla lettera inviata dall’Inps, a ben vedere, non è dato capire con certezza quali siano le ragioni precipue del disconoscimento. Ciò lede inevitabilmente il diritto ad una possibile difesa dell’azienda anche per quelle condotte non dolose o colpose che l’Istituto tende a ricomprendere, in via generalizzata, nei c.d. comportamenti elusivi.

Dover organizzare una possibile difesa del datore di lavoro è, quindi, impresa alquanto ardua. Ciò anche perché occorre tentare, in primis, di accertare quale fatto potrebbe aver determinato il disconoscimento dell’esonero contributivo sulle nuove assunzioni e, quindi, di fare comprendere all’Inps che alcuni disconoscimenti sono dovuti ad errori non colpevoli. Errori, in parte, che si sarebbero potuti evitare se solo si fosse messa a disposizione dei datori di lavoro una specifica modalità e/o funzione di controllo tramite portale telematico all’atto della valutazione dei costi/benefici delle tanto sbandierate “nuove assunzioni con sgravio”.

In particolare, si pensi al fatto che l’assunzione potrebbe avere riguardato lavoratori licenziati nei 6 mesi precedenti, da parte di un datore di lavoro che al momento del licenziamento presentava elementi di relazione con il datore di lavoro che assume, senza la necessaria presenza di assetti amministrativi o proprietari coincidenti, alcune aziende, anche se non partecipi ad un gruppo potrebbero essere state ricondotte nell’ambito delle restrizioni di gruppo solo per la presenza di elementi di influenza dominante. Oppure, ancora, al caso di assunzioni a tempo indeterminato conseguenti a riqualificazione di co.co.co o altro in seguito ad accertamento ispettivo. E’ fatto poi noto che l’agevolazione, invece, non spetta se il datore di lavoro o l’utilizzatore (nel caso di somministrazione) ha in atto sospensioni dal lavoro con cassa integrazione, a meno che non si tratti di assunzioni per l’acquisizione di professionalità diverse da quelle dei lavoratori interessati dalle sospensioni o presso unità produttive diverse da quelle interessate dalla Cig. Ma anche detta circostanza è difficile da dimostrare a posteriori. Senza dimenticare il fatto che, per aver diritto all’esonero, il datore di lavoro deve essere in regola con il possesso del DURC. E sappiamo quante volte per errori incolpevoli dell’azienda viene segnalato il c.d. “semaforo rosso” che impedisce il rilascio della regolarità contributiva.

Al fine di verificare le corrette condizioni per poter godere del beneficio a solo pochi mesi dalla fruizione dell’esonero contributivo, sono stati inoltre segnalati dai competenti organi ispettivi dei comportamenti elusivi. Sul concetto di elusione in campo previdenziale si potrebbe scrivere parecchio ma, a ben vedere, l’Inps in tal senso ha chiarito dette specifiche circostanze nella sua circolare n. 57 del 29 marzo 2016 alla quale occorre, oggi, fare riferimento per cercare il bandolo della matassa e tentare di capire le origini del disconoscimento dei benefici per singolo lavoratore. Si sono evidenziati casi in cui, ad esempio, i lavoratori sono stati assunti senza la qualità della subordinazione (si assume un socio, un familiare o un autonomo), casi di simulazione di trasferimenti d’azienda, casi in cui si crea un appalto fittizio (una nuova società subentra nell’appalto, assume a tempo determinato per 6 mesi e poi trasforma il rapporto di lavoro a tempo indeterminato con esonero) o casi in cui il rapporto di lavoro non esiste proprio (assunzione di un parente, per il rilascio del permesso di soggiorno, o al fine di percepire malattia o maternità). Ma è pur vero che le casistiche possono essere anche altre, sicuramente altrettanto pregiudizievoli. L’attività di vigilanza quindi, si occupa di contrastare le condotte elusive che violano nella sostanza i principi contenuti nella stessa legge 190/2014, che è finalizzata appunto “a promuovere forme di occupazione stabile”, con lo scopo di preservare l’importante ruolo incentivante che l’esonero ha avuto nella ripresa occupazionale.

L’Inps ha iniziato ad inviare alle aziende ritenute “sospette” (a mezzo pec) una preventiva richiesta di restituzione delle somme dovute, a titolo di contributi e sanzioni civili calcolate ex legge 388/2000 con termine per adempiere di 30 gg. dal ricevimento della comunicazione, allegando il modello F24 precompilato per procedere alla c.d. “regolarizzazione spontanea”. Di sicuro organizzare una possibile difesa nei soli 30 gg. a disposizione per non incorrere nel successivo avviso di addebito esecutivo è per gli addetti ai lavori impresa quanto mai difficoltosa e delicata. Atteso che la comunicazione ha anche valore interruttivo della prescrizione di legge e non preclude la possibilità di ulteriori controlli sulle posizioni datoriali sospette, si specifica che la regolarizzazione delle posizioni individuali ritenute non legittime, ove non fosse operata, costituisce allo stato “indebito sgravio contributivo” trattabile, nel caso, anche alla stregua dell’evasione per taluni casi più gravi.

Chi assume (o ha assunto), purtroppo non ha dati oggettivi per controllare se per il dipendente sia già stato fruito l’esonero contributivo: pertanto la verifica sul Bonus assunzioni è estremamente complicata. Né l’eventuale dichiarazione del lavoratore o del datore di lavoro precedente è sufficiente a fugare il rischio di applicazione di sanzioni ove l’agevolazione risulti effettivamente non spettante. I datori di lavoro, devono pertanto, come già specificato, fare attenzione nel verificare il rispetto dei paletti posti dalla legge ossia:

  • l’assenza di un rapporto a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti l’assunzione, intrattenuto con qualsiasi datore di lavoro;
  • l’inesistenza di un’assunzione presso lo stesso datore di lavoro (in procinto di assumere) comprese le società controllate o collegate o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto, nell’ultimo trimestre del 2014 (bonus 2015) o del 2015 (bonus 2016). Se il rapporto di lavoro intrattenuto con lo stesso datore di lavoro è cessato prima del semestre precedente la nuova assunzione, è opportuno che l’interruzione sia effettiva, mentre se si tratta di un’azienda diversa, ma operante nello stesso ambito produttivo, si dovrà provare che tra le due imprese non c’è alcun nesso societario.

Esiste un elemento che è di non facile individuazione: si tratta dell’impossibilità di applicare lo sgravio quando, anche in assenza di una delle due cause di esclusione sopra citate, è esistito un rapporto lavorativo (che si può collocare ben oltre il semestre antecedente la data della nuova assunzione) e il precedente datore di lavoro abbia magari già usufruito dello sgravio (esonero contributivo); indifferentemente quello del 2015 o del 2016. Il punto ora, è quindi quello di capire come il datore di lavoro, che abbia assunto oppure stia assumendo, possa verificare anche tale circostanza. Lo sgravio è di competenza del datore di lavoro e per questo motivo il lavoratore non può certificarne, in luogo del datore dell’epoca, la relativa fruizione. Impossibile anche dedurlo dalla scheda rilasciata dal Cpi salvo procedere con richiesta di una certificazione storica analitica (Mod. Certificato Storico presso Cpi di residenza) e fare richiesta al precedente datore sperando di avere una sua risposta in merito alla eventuale fruizione dello sgravio.

Il lavoratore potrebbe anche farsi parte attiva per la richiesta in oggetto, oppure potrebbe raccogliere in alternativa una dichiarazione di responsabilità del datore di lavoro presso cui ha lavorato in precedenza. Quest’ultima soluzione però é soddisfacente solo in parte in quanto, se si rilevasse mendace, il recupero della facilitazioni contributive, con l’aggiunta degli oneri accessori, avverrebbe in ogni caso. Non esiste allo stato dell’arte una possibile esimente che metta in condizione il datore di lavoro, o il suo consulente, di non subire ingiusti trattamenti sanzionatori.

Il problema, peraltro, riguarda anche l’esonero previsto dalla legge di Stabilità 2016 che, per quanto presenti meno attrattiva, lavora sulle medesime logiche del precedente e mantiene le stesse condizioni di accesso. Visto che i datori di lavoro corrono un grosso rischio e sono nell’impossibilità di effettuare la puntuale verifica, visto che non esiste alcun servizio dell’Inps che consenta di effettuate tale verifica, potrebbe essere d’ausilio la richiesta di accesso agli atti amministrativi ex legge 241/90.

Accesso, questo, che potrebbe consentire di approcciare una diversa difesa in sede giudiziale, ove mai si chiedesse al Giudice del Lavoro di valutare la fattispecie in esame, per accertare che non trattasi di operazione elusiva e per la conseguente disapplicazione delle sanzioni comminate dall’ente accertatore.

Per concludere, in caso di ricezione di inviti a regolarizzare da parte dell’Inps occorre una attenta disamina. Preliminarmente, conviene accertarsi di non avere compiuto errori di valutazioni e/o essere stati involontariamente indotti a commetterne sulla scorta delle dichiarazioni di parte. In secondo luogo bisogna accertarsi della regolarità della posizione aziendale e del lavoratore (presenza DURC – presenza per ogni risorsa assunta del Codice 6Y – presenza del Codice Uniemens L.444 per ciascun lavoratore interessato a mezzo cassetto previdenziale).

Nel caso di indebite richieste per impugnare i provvedimenti Inps si segnala che nel termine dei 30 giorni dalla ricezione dell’avviso è possibile procedere con le modalità fissate dalle disposizioni vigenti di cui alla legge 88/1989; ovvero presentando degli scritti difensivi o un ricorso gerarchico amministrativo esclusivamente on line a mezzo del portale dell’Istituto di previdenza (sezione “Servizi Online” – “Ricorsi Online”); il tutto agendo in proprio quale azienda oppure direttamente tramite gli intermediari abilitati in relazione alla materia oggetto del ricorso stesso.

Rimane da fare un amara considerazione finale. Il professionista che ha curato gli adempimenti di assunzione agevolata e non ha potuto verificare tutte le succitate variabili pre-assuntive, per mancanza di strumenti idonei allo scopo, ma ha dato seguito alla applicazione dello sgravio sulla scorta delle informazioni acquisite dal datore di lavoro, è esposto a possibili rivendicazioni per il risarcimento del danno cagionato in modo involontario.

L’avere considerato, ad esempio, il minore costo del lavoro dei nuovi assunti nel budget annuale del datore di lavoro potrebbe avere indotto quest’ultimo ad assumere degli impegni che a causa della restituzione degli sgravi indebiti, non potrà più onorare. Come dire che sopportare un maggiore onere di alcune risorse potrebbe oggi anche comportare scelte impreviste, quali quelle di rinunciare alle nuove assunzioni di quei lavoratori che, per effetto di quel budget, avevano trovato una opportunità di impiego a tempo indeterminato. L’eventuale licenziamento di per motivi economici con il Job Act a fronte del contenimento dei maggiori costi del lavoro è, probabilmente, un effetto che si potrebbe dover valutare ma che si sarebbe, con molto poco, potuto evitare se fosse stato possibile accedere alle informazioni del Centro per l’Impiego, nel rispetto nella normativa sulla privacy ovviamente. Senza dimenticare, poi, che in materia di colpa professionale, il termine decennale per chiedere il risarcimento del danno decorre sempre dalla data in cui si manifesta l’errore, vale a dire dal momento in cui la condotta colposa del professionista diviene riconoscibile da parte del cliente.

Questo boom delle assunzioni agevolate, pur avendo avuto un impatto positivo sul mercato del lavoro, potrebbe diventare un boomerang per i datori di lavoro, per i professionisti che li assistono e per tutti i cittadini coinvolti. I soliti pasticci all’italiana…

* ODCEC Roma

 

1 commento
  1. piero
    piero dice:

    Sono andato a inciampare in una sanzone forse grazie anche al mio consulente ma anche e sopratutto grazie al inps che oggi già inserendo i dati di un operaio nei dati inps dovresti sapere se hai diritto a sgravi , e non ritrovarti dopo due anni in una sanzione siamo ancora a l età della pietra

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