I Licenziamenti dopo il Decreto “Dignità”

di Paolo Busso *

Con la conversione del “decreto Dignità” (decreto legge n. 87 del 12 luglio 2018 convertito con modificazioni dalla legge 96/2018), si è chiuso l’iter parlamentare per apportare eventuali modifiche a quello che molte parti politiche, ma soprattutto tecniche, consideravano un decreto mal costruito e poco efficace.

Molti gli argomenti trattati tra i quali il contratto a termine, che in questi giorni occupa la maggior parte dei dibattiti.

Poca risonanza sembra essere data alle norme che trattano l’indennità di licenziamento ingiustificato, che si pensano rivolte solo alle grandi imprese senza considerare l’impatto sulle microimprese. L’articolo 3 del d.l. 87/2018, ha modificato l’art. 3 c.1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, portando da un minimo di sei a un massimo di trentasei le mensilità di indennizzo spettanti al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Da una prima analisi si evince che per quei lavoratori dipendenti di aziende con più di 15 dipendenti (art. 18 c. 8 e 9 legge 20 maggio 1970, n. 300) assunti prima del 07/03/2015, il trattamento massimo indennizzabile sarà inferiore a quelli assunti dopo tale data, creando così una disparità di trattamento e una condizione di maggior favore per i neo assunti.

Infatti, in casi di anzianità di servizio particolarmente elevata e a seguito di illegittimità del licenziamento, salvo casi eccezionali, i primi avranno diritto ad un massimo di 24 mensilità mentre i neo assunti potranno arrivare a percepirne fino a 36.

Per le imprese che occupano meno di 15 dipendenti si è andati ad aumentare il minimo di mensilità erogabili passando da due a tre, lasciando comunque inalterata la soglia massima fissata a sei.

Questo ultimo dato ha comunque un impatto molto importante sul tessuto economico italiano. Se si pensa che i dati ISTAT attestano al 95,3% la percentuale di imprese italiane che occupano meno di 10 addetti e che in queste sono occupati circa il 47,50% degli addetti totali italiani (per arrivare quasi al 60% se si considerano le imprese fino a 19 addetti), si evince come la volontà di stabilizzazione e diminuzione del precariato del decreto dignità in realtà tocchi solo una parte della popolazione dipendente.

Rimane quindi una grossa fetta di popolazione lavoratrice, la maggioranza di fatto, per la quale i trattamenti di tutela introdotti non vanno a incrementare in modo significativo la tutela in essere con la normativa previgente. Questo a fronte di un inasprimento dei costi della gestione dei rapporti di lavoro soprattutto per le microimprese, che sono di fatto la struttura base del tessuto economico italiano.

 

Una delle soluzioni al precariato non va quindi cercata nell’inasprimento dei costi di risoluzione dei rapporti di lavoro, in quanto sarebbe oltremodo controproducente per le microimprese e conseguentemente per la struttura economica italiana, ma nel cercare di migliorare e semplificare le procedure di gestione del processo del lavoro per le micro imprese.

Una semplificazione che renda più snella la gestione del rapporto di lavoro, mantenendo la fondamentale tutela del lavoratore ma pensando contemporaneamente anche alla tutela delle microimprese affinché non si vengano a trovare imbrigliate in una burocrazia procedurale obsoleta e oltremodo onerosa, che a volte porta l’imprenditore a decisioni sbrigative e drastiche con il doppio svantaggio di pesare economicamente sulle imprese e di creare quella disoccupazione e precarietà che si vuole osteggiare.

Imprimere una svolta sulle riforme dei centri per l’impiego affinché l’incontro tra offerta e domanda di lavoro abbia, finalmente, tempi ragionevolmente brevi per realizzare le condizioni per un lavoro dignitoso.

Dare concreta realizzazione al processo di formazione finanziata necessaria per l’aggiornamento dei lavoratori alle nuove tecnologie ed utile per chi ha perso il posto di lavoro per avere la possibilità di riqualificarsi in tempi ragionevoli.

Strada che sembrava voluta anche dal governo il quale nel comunicato stampa di presentazione del decreto dignità parlava di “Più tutele per i lavoratori senza penalizzare gli imprenditori onesti”, intenzioni che ancora una volta sono state però disattese dai fatti.

*Odcec Milano

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