I voucher al capolinea

di Marialuisa De Cia* 

Come un vento di primavera, è calato sull’Italia che lavora il decreto legge 17 marzo 2017, n. 25 “Disposizioni urgenti per l’abrogazione delle disposizioni in materia di lavoro accessorio nonché per la modifica delle disposizioni sulla responsabilità solidale in materia di appalti” che ha cancellato dal nostro ordinamento l’intero impianto del lavoro accessorio con gli interventi succedutesi negli anni compreso il recentissimo d.lgs. 185/2016. Nulla è rimasto di uno strumento, sicuramente abusato, che ha consentito di veicolare fuori dal c.d. lavoro nero molte prestazioni sommerse.L’intervento urgente del Governo in materia di voucher, al di là di considerazioni sociali o politiche, fa emergere la latitanza di chi avrebbe potuto e dovuto intervenire quando il campanello d’allarme ha iniziato a suonare. Non è un mistero per nessuno che il lavoro accessorio è stato utilizzato smodatamente. Quando venne introdotto, nel lontano 2003 con la c.d. Legge Biagi, il Legislatore voleva dare l’opportunità a persone non inserite stabilmente nel mondo del lavoro, di svolgere attività saltuarie a fronte di una remunerazione “tracciata”. Arduo è stato il percorso per arrivare all’effettivo utilizzo dei voucher, impressionanti i risultati, infatti, solo nell’agosto del 2008 è stato avviato l’intero sistema. Dai circa 536.000 voucher venduti nel 2008, si è passati a circa 140.000.000 venduti nel 2016 (Fonti Inps). Un fenomeno che di sicuro andava monitorato e analizzato tempestivamente. Si poteva intervenire? Era proprio necessario arrivare all’abrogazione totale dell’intera previsione normativa? Così come per le dimissioni on line, nate per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco, di cui per altro non sono note le dimensioni, anche per il lavoro accessorio anziché punirne l’abuso si è preferito adottare misure drastiche, in questo caso l’abolizione. Ma è corretto in una società evoluta che l’abuso di qualcuno debba essere pagato da tutti? Non sarebbe stato possibile istituire limiti per le aziende in relazione alla tipologia di attività e/o al numero dei lavoratori subordinati in forza, stabilire importi massimi di utilizzo non solo in capo al singolo lavoratore ma soprattutto al datore di lavoro e, soprattutto, potenziare i controlli? Sui voucher i Commercialisti, come su altre materie che rientrano nella loro competenza professionale, hanno elaborato studi e ricerche, avanzato proposte, suggerito correttivi e messo a disposizione dei soggetti preposti l’esperienza maturata in anni di assistenza ai datori di lavoro.

Comunque sia, i voucher sono arrivati al capolinea e solo chi ne ha acquistati un po’ potrà spenderli (sito Inps permettendo) entro il 31 Dicembre 2017. E poi? O meglio, e ora? In attesa che i nostri politici possano coniare i nuovi mini jobs (restyling dei voucher?) o qualche forma alternativa degli stessi che accontentino tutti, che cosa rimane? C’è poco da girarci intorno, o il lavoro subordinato o… il lavoro nero!

Il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è indubbiamente quello che auspicano sia i lavoratori sia i datori di lavoro, ma se la prestazione è realmente sporadica e il rapporto non continuativo? Si può ricorrere al lavoro a chiamata, ma si consideri che, tolti gli under 24 e gli over 55, questa tipologia contrattuale è applicabile solo per le attività previste dal Regio Decreto n.2657/1923, ma come si può pensare che un elenco di attività tipiche di quasi un secolo fa rispecchi le esigenze dell’attuale mercato del lavoro, vista anche l’assenza e/o l’inadeguatezza della contrattazione collettiva in materia. Quello che potrebbe essere uno strumento alternativo al lavoro accessorio, quindi, è di fatto inapplicabile. L’alternativa potrebbe essere il contratto a tempo determinato, ma in questo caso si deve prestare particolare attenzione ai vincoli imposti dal d.lgs. 81/2015 e dai contratti collettivi nazionali di lavoro, che rendono questa via non facile da percorrere. Che cosa rimane? La cara e vecchia prestazione occasionale sembra l’unica alternativa, ma anche qui le conseguenze intrinseche non possono essere sottovalutate. Questo tipo di rapporto che è privo dell’obbligo (e della possibilità) di preventiva comunicazione alle autorità competenti e che è soggetto solo a ritenuta d’acconto, viene sovente considerato lavoro nero, con le pesanti conseguenze sanzionatorie che ne derivano.Se si vuole analizzare l’abrogazione dei voucher dal punto di vista del lavoratore, non va dimenticato che proprio gli studenti e i giovani erano i principali destinatari dei voucher, ora cosa faranno? Ma se il problema era la contribuzione a favore dei lavoratori accessori, non era più semplice individuare un sistema di accredito dei contributi sulle posizioni individuali magari con un aumento del valore del singolo voucher? Tante cose si potevano fare, ma il countdown del referendum era inesorabile e quindi è stato più semplice abrogare che intervenire seriamente.

Un’ultima considerazione va fatta sui contraccolpi economici dell’abolizione dei voucher per l’Inps, l’Inail e i rivenditori, considerando che ai 140.000.000 di voucher venduti nel 2016 corrispondono 1.400.000.000 euro lordi, quindi, considerando il valore nominale di 10 euro di cui 1,30 euro destinati al contributo Inps, 0,70 euro al premio Inail e 0,50 euro alla gestione del servizio, il minor introito annuale è stimabile in euro 182.000.000 per l’Inps, euro 98.000.000 per l’Inail ed euro 70.000.000 per i rivenditori. Non sembrano numeri da poco!

* Presidente del Gruppo Odcec Area lavoro, Comitato scientifico

 

1 commento
  1. Lino
    Lino dice:

    Condivido in pieno bravissimo Presidente.. INPS INAIL e Buromostro comunque insensibili ed inattaccabili.anche contro i loro stessi miracolosi introiti aggiuntivi. non ci resta che piangere .. bravi (fessi) anche i Sindacati in primis l’impresentabile Vamusso ed i suoi prodi(?)

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