Il contratto di apprendistato tra conferenza Stato – Regioni-Province autonome D.L. N. 34/2014

 di Vittorio De Luca*

La recente approvazione definitiva da parte della Camera del decreto sul lavoro n. 34/2014 ha promosso a legge novità nelle quali sono riposte le aspettative di rilancio dell’occupazione.Ancora una volta ha trovato conferma l’interesse che riveste il contratto di apprendistato, tipologia che dovrebbe rappresentare lo strumento privilegiato per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, ma che da sempre appare “bloccato” dalle complicanze burocratiche che si dipanano in un dedalo di discipline regolate a livello regionale.

Da questo punto di vista, appare condivisibile la decisione assunta dalla Conferenza Stato-Regioni-Province Autonome nella seduta del 20 febbraio 2014 che – proprio nella dichiarata volontà di conferire omogeneità alle discipline regionali – ha dettato le linee guida per la disciplina del contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, per far fronte alla “necessità di adottare una disciplina (…) maggiormente uniforme su tutto il territorio nazionale”.

La prospettiva di applicazione del predetto timido quanto indispensabile intervento ha perso consistenza, in quanto, pochi giorni dopo la decisione della Conferenza Stato Regioni, è entrato in vigore il D.L. n. 34/2014 che, con riferimento alla tipologia contrattuale in esame, agiva con l’evidente auspicio di limare i profili più ostici della disciplina e rendere, in questo modo, il contratto di apprendistato più appetibile.

Il legislatore aveva ritenuto, in un primo momento, di dover ridurre gli adempimenti burocratici legati alle assunzioni in apprendistato, limitando la forma scritta al contratto ed al patto di prova, non richiedendola più per il piano formativo individuale, la cui elaborazione era già stata limitata alla sola formazione specialistica dalla Conferenza Stato, Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano del 17 ottobre 2013 (art. 2, comma 1, D.L. n. 34/2014 che interviene a modifica dell’art. 2, D. Lgs. 167/2011).

La semplificazione di cui sopra risultava sin da subito solo apparente, in quanto, nonostante il venir meno dell’obbligo legale di formalizzazione scritta del piano formativo, restavano comunque in vigore le previsioni contrattuali che stabiliscono un obbligo di formalizzazione in conformità ai modelli introdotti dalla stessa contrattazione collettiva. Al riguardo, occorre sottolineare che, la normativa (art. 7, comma 1, D.Lgs. 167/2011) continuava a prevedere l’attività di vigilanza del personale ispettivo sulla regolare erogazione della formazione, con ciò rendendo perlomeno opportuna la redazione scritta del piano formativo, unico parametro di riferimento per la verifica della formazione, in quanto il controllo sull’adempimento formativo si concentra sulla corrispondenza, appunto, tra piano formativo individuale e apprendimento formale.

Ed è così che, come ci si auspicava, nella fase di conversione in legge, la riforma ha abbandonato la (forse troppo semplicistica) “deburocratizzazione” reintroducendo la previsione di un piano formativo in forma scritta, seppur “in forma sintetica”, che, come in passato, può essere “definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali”.

La versione definitiva della riforma è intervenuta anche reintroducendo l’onere della stabilizzazione in servizio di una determinata percentuale di apprendisti quale limite a nuove assunzioni con questa tipologia contrattuale (onere già in precedenza previsto sia dalla legge sia dalla contrattazione collettiva e che la prima versione del Decreto Lavoro aveva cancellato).

Il reintrodotto onere è stato tuttavia limitato ai soli datori di lavoro che occupino almeno 50 dipendenti e prevede una riduzione dal precedente 50% al 20%.

Confermata in fase di conversione e destinata a “stuzzicare” l’interesse di parte datoriale è poi la limitazione delle ore di formazione retribuibili per il contratto di apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, tipologia che ad oggi ha destato poco interesse anche a causa della previsione di un maggior onere formativo a carico del datore di lavoro. In questo caso le ore formative saranno retribuite “almeno” (secondo l’integrazione apportata nel testo definitivo) nella misura del 35% (ovviamente saranno integralmente retribuite le ore di lavoro prestate), ferma restando la possibilità, accentuata ulteriormente dall’integrazione evidenziata, della contrattazione collettiva di prevedere limiti percentuali differenti (art. 2, comma 1, lett. b), D.L. n. 34/2014 che introduce all’art. 3 del D. Lgs. N. 167/2011 il comma 2-ter).

In merito a quanto precede, è opportuno segnalare che le Regioni hanno regolato in maniera eterogenea il monte ore complessivo della formazione da garantire a questa categoria di apprendisti, con l’evidente conseguenza che la limitazione retributiva introdotta dal D.L. n. 34/2014 implicherà un trattamento differenziato tra gli apprendisti a seconda dell’ambito regionale in cui operano.

Eliminato anche il quarto intervento del D.L. n. 34/2014, che trasformava l’obbligo di integrare la formazione professionalizzante con quella pubblica in una mera possibilità di scelta da parte del datore di lavoro. Tale modifica avrebbe consentito al datore di lavoro di occuparsi della sola formazione “tecnica”, sotto la sua esclusiva responsabilità, non essendo invece più necessario sottoporre l’apprendista ad una formazione pubblica di base e trasversale gestita dalle Regioni.

A parere di alcuni autori, non appariva tuttavia chiaro se la natura facoltativa della formazione di base e trasversale si riferisse al datore di lavoro o alle Regioni. La richiesta di quanti si auspicavano, in fase di approvazione finale, che venisse adottata una formulazione più chiara che non lasciasse dubbio alcuno sulla sua possibile interpretazione è stata soddisfatta con il ripristino della formazione “combinata” a quella pubblica, con l’ulteriore precisazione che le Regioni hanno 45 giorni di tempo per comunicare all’azienda le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica, delle sedi e del calendario.

Pertanto, torna ad avere rilievo la portata riformatrice della Conferenza Stato-Regioni- Province Autonome del 20 febbraio 2014 che concentrava il proprio intervento proprio sul tema della formazione, di “competenza esclusiva delle Regioni e Province Autonome”, che, appunto, “disciplinano l’offerta formativa pubblica per l’acquisizione di competenze di base e trasversali in termini di durata, contenuti e modalità di realizzazione”.

Allo stato attuale, pertanto, le Regioni devono attivarsi per recepire le direttive della Conferenza, dotandosi di una normativa interna in materia di formazione pubblica, anche se la prospettiva di un’altra “tornata” di interventi regionali non può che accrescere la preoccupazione di quanti (operatori del settore e non) ormai da troppo tempo devono fare i conti con una disciplina frammentata ed eterogenea, che limita fortemente l’appetibilità di questo strumento.

A questo proposito è sufficiente segnalare che – a quasi 2 anni e mezzo dall’entrata in vigore del testo unico – non tutte le regioni hanno ancora dato completa attuazione al testo unico sull’apprendistato. In generale gli interventi risultano concentrati solo su singole tipologie o su specifici aspetti, stratificati nel tempo e di difficile ricostruzione, al punto da far sentire degli estranei quanti, varcato il confine della propria regione, decidano di avventurarsi in altre realtà locali.

Nel complesso è possibile affermare che il maggiore interesse sembrerebbe essere stato riservato sino ad ora alla tipologia dell’apprendistato professionalizzante o di mestiere, in assoluto la più utilizzata, quasi trascurando le altre tipologie (tra queste soprattutto l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale che la recente riforma cerca di rilanciare). A titolo esemplificativo si segnalano la Provincia Autonoma di Trento che addirittura non ha ad oggi dato attuazione ad alcuna tipologia e le regioni Valle d’Aosta e Lazio, entrambe regolamentazione regionale. A questo proposito è utile ricorrere nuovamente all’esempio della regione Lazio, in quanto in data 1 agosto 2013 è stata stipulata presso la Regione una Convenzione quadro per l’attivazione, in via sperimentale, dei percorsi di alta formazione e ricerca le cui parti firmatarie sono l’Università degli Studi di Roma Tre, l’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale e Unindustria, CGIL,CISL e UIL.

In altri casi, le Regioni sono intervenute solo con “primi provvedimenti attuativi del Testo Unico”, con riserva di emanare una futura normativa di dettaglio o le modalità di avvio dei progetti. È questo il caso delle Marche per l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale o della Basilicata per l’apprendistato di alta formazione e ricerca.

Con tutto ciò non si vuole certo dire che non via siano regioni che – sia al nord che al sud – hanno prontamente recepito il testo unico normando su tutte e tre le tipologie di apprendistato (tra queste Piemonte, Lombardia, Toscana, Molise, Campania e Puglia). La questione è un’altra: la principale esigenza che si registra è quella di una semplificazione della disciplina che limiti il più possibile gli interventi regolamentari delle realtà locali, che oltre ad essere eterogenei sono anche estremamente frammentari, non accorpati in un unico provvedimento ma distribuiti tra una “costellazione” di atti normativi di varia natura. Peraltro, la normativa regionale dovrebbe rispondere a specifiche esigenze che si intendono tutelare a livello locale e mai ad una mera logica di particolarismi di cui sfugge la ragion d’essere.

In conclusione, alla luce del breve excursus che precede, ci si augura che la stratificazione normativa, la frammentarietà e l’eterogeneità che caratterizzano la disciplina della tipologia contrattuale in esame possano trovare una soluzione grazie agli attuali interventi legislativi nazionali (e con i relativi chiarimenti e correttivi), che, riducendo drasticamente il ruolo della formazione pubblica, potrebbe avere l’effetto di ridurre l’interesse locale, coinvolto molto meno attivamente rispetto al passato.

*Avvocato giuslavorista del Foro di Milano e componente esterno della Commissione Lavoro ODCEC Milano 

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