Inps e Fisco: circolare n. 140 e chiusura liti fiscali pendenti

di Stefano Ferri* 

La recente Circolare INPS n. 140 del 2 agosto 2016 si è posta il meritevole obiettivo di chiarire le conseguenze previdenziali degli accertamenti fiscali, uniformando le prassi dopo anni nei quali si erano riscontrati comportamenti diversi delle varie sedi periferiche.

Nel presente articolo ci si soffermerà su quanto indicato al punto B) lettera 2 della citata circolare in materia di chiusura delle liti fiscali pendenti; in tale punto testualmente si legge:

2. La Chiusura agevolata delle liti fiscali pendenti. Al fine di deflazionare il contenzioso in seno alle Commissioni tributarie, con il comma 12 dell’art. 39 D.L. n. 98 del 6 luglio 2011 è stata introdotta per i contribuenti la possibilità di risolvere le liti giudiziarie con l’Agenzia delle Entrate, di valore non superiore a 20.000 euro, già pendenti alla data del 31 dicembre 2011.

La norma consente di definire tutte le liti fiscali aventi ad oggetto tributi originati da avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, che presuppongono la rettifica delle dichiarazioni dei redditi. L’istituto in esame non assume rilevanza rispetto alle originarie pretese dell’Amministrazione fiscale, ma semplicemente consente la definizione agevolata del processo tributario mediante il versamento di una somma forfettaria di 150 euro per valori di lite fino a 2mila euro ed in percentuale variabile dal 10 al 50% per importi tra 2mila e 20mila euro.

2.1 Rilevanza ai fini previdenziali. Per effetto di quanto appena esposto, non può ritenersi che la definizione della lite nella modalità in trattazione determini la quantificazione di un reddito inferiore rispetto a quello oggetto dell’accertamento.

Quindi, in relazione agli accordi di chiusura agevolata delle liti fiscali pendenti, gli stessi non avranno efficacia sulle azioni di recupero promosse dall’Istituto il quale procederà alla riscossione degli importi da versare a titolo di contributi calcolati sull’intero ammontare originariamente accertato.

In definitiva, i contributi richiesti dall’Istituto con Avviso di Addebito (o cartella esattoriale) non dovranno essere oggetto di annullamento (sgravio) e dovranno essere versati dal contribuente per l’intero ammontare originariamente quantificato dall’Agenzia delle Entrate.

Permane, tuttavia, la questione sollevata in recenti sentenze di merito inerente all’onere probatorio che grava sull’Istituto, se chiamato in giudizio, relativamente alla sussistenza di una pretesa contributiva a fronte di un accertamento ispettivo compiuto da altro Ente.

In presenza di contenzioso, le circostanze alla base della pretesa creditoria dovranno essere provate e le Sedi dovranno fornire ogni elemento utile alla difesa dell’Istituto allegando i dati di dettaglio relativi all’accertamento fiscale (ad es. anno di riferimento, gestione, sintesi dell’accertamento svolto, reddito dichiarato ed accertato). Occorrerà inoltre specificare i fatti in base ai quali è stato accertato il maggior reddito e produrre l’atto di accertamento nonché tutta la documentazione da cui origina la pretesa creditoria.

Quanto esposto nel citato passaggio della Circolare 140/2016 impone tuttavia una riflessione attenta.

Si rammenta infatti che al provvedimento di chiusura liti fiscali pendenti, introdotto dal comma 12 dell’art. 39 D.L. n. 98 del 6 luglio 2011, hanno aderito anche numerosi contribuenti che avevano ottenuto in sede di Commissione Tributaria Provinciale l’annullamento dell’accertamento fiscale: anzi in tali casi l’onere per definire la lite fiscale era modesto (pari al 10% del valore della lite) e ciò ha comportato una massiccia adesione all’istituto da parte di costoro.

L’INPS, almeno a Reggio Emilia e in altre Sedi sulle quali opero, anche dopo la definizione delle liti fiscali, inviava avvisi di addebito a coloro che avevano aderito, calcolando la contribuzione sulla pretesa iniziale dell’Ufficio tributario e senza tener conto delle eventuali revisioni totali o parziali degli avvisi di accertamento effettuate dalle commissioni tributarie.

Nella mia esperienza, e in altre analoghe riscontrate presso Colleghi, i tentativi di ottenere totale o parziale autotutela da parte dell’INPS non sortivano effetti: occorreva dunque, onde evitare la definitività delle pretese contributive, ricorrere al competente Giudice del lavoro.

Le ragioni dei clienti erano evidenti: la cartella esattoriale oggetto del contenzioso costituisce un provvedimento del tutto infondato, in quanto calcolato sul maggior reddito scaturente da un accertamento che la Commissione Provinciale Tributaria aveva motivatamente annullato. Ne consegue che la cartella di pagamento con cui l’INPS chiede il pagamento dei contributi e somme aggiuntive sulla base dell’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate dei presunti maggiori ricavi del ricorrente è pretesa illegittima essendo l’accertamento che sta alla base già dichiarato infondato dalla magistratura tributaria.

In tale direzione è una chiarissima Sentenza del 19 settembre 2014 della Sezione Lavoro del Tribunale di Bologna, che ha accolto le ragioni del ricorrente osservando che la sentenza della Commissione Tributaria di Bologna ha modificato l’originario avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, variando l’entità dei ricavi accertati, e modificando di conseguenza il reddito dell’impresa accertato. La successiva definizione della controversia tributaria ha comportato la rinuncia all’ulteriore impugnazione dell’avviso di accertamento e la conseguente definitività dello stesso nella misura stabilita dalla suddetta sentenza della Commissione Tributaria di Bologna del 2012: a parere dello scrivente appare la soluzione più logica ed aderente ai principi di legge.

Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Reggio Emilia, invece, in una Sentenza (n. 104 del 1/4/2014) a me ben nota in quanto ero difensore del ricorrente, ha assunto una linea che ha in piccola parte accolto anche le pretese dell’INPS. Infatti, sostanzialmente equiparando la chiusura delle liti fiscali pendenti all’accertamento con adesione, tenuto conto che la definizione per il mio assistito vittorioso in Commissione Tributaria Provinciale è stata perfezionata versando una somma pari al 10% del valore della lite insorta con l’impugnazione dell’avviso di accertamento, ha dedotto che il credito contributivo spettante all’INPS nei confronti della parte ricorrente ammonta al 10% dell’importo determinato nella cartella di pagamento a titolo di contributi previdenziali, sgravando il restante 90% e con esclusione quindi delle sanzioni e degli interessi pretesi nella cartella di pagamento.

Tale pronuncia prende le mosse dall’articolo 10 comma 1 del D. Lgs. n.241/1997 che così dispone: “I soggetti iscritti all’INPS per i propri contributi previdenziali individuati con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri del tesoro e della previdenza sociale, e all’INAIL devono determinare l’ammontare dei contributi e dei premi dovuti nella dichiarazione dei redditi. La determinazione del contributo dovuto deve essere effettuata sulla base degli imponibili stabiliti con riferimento ai redditi e ai volumi di affari dichiarati per l’anno al quale il contributo si riferisce…”.

Successivamente il Giudice ha rigettato la tesi in base alla quale, siccome la norma sulla definizione delle liti fiscali pendenti (art. 39 comma 12 D.L. 98/2001) non dispone nulla in proposito agli obblighi contributivi, anzi prevede la definizione con il pagamento della sola somma determinata sulla base della citata norma, il silenzio legislativo in materia di contributi debba essere interpretato come mancanza di un debito contributivo nella definizione in questione.

Al contempo viene dal magistrato rigettata anche la tesi antitetica, sostenuta in giudizio dai legali dell’INPS, secondo i quali la richiesta di definizione della lite comporterebbe l’accettazione incondizionata dell’accertamento con la conseguenza che la definizione della lite fiscale pendente precluderebbe la possibilità di contestare, sotto il profilo contributivo, l’accertamento di maggior reddito effettuato dall’Amministrazione finanziaria, e pertanto, l’INPS potrebbe pretendere i contributi previdenziali calcolati sull’avviso di accertamento originario.

Di conseguenza il Tribunale di Reggio Emilia giunge alla conclusione che con la chiusura delle liti fiscali pendenti il contribuente riconosce e accetta non l’accertamento nella sua veste originaria, ma soltanto la quota stabilita dal legislatore al fine di potere pervenire alla definizione della lite fiscale, nella fattispecie pari al 10%.

Il tutto in linea con altra sentenza del Tribunale di Trento dell’11 febbraio 2014, che valuta non necessaria ulteriore prova a carico dell’istituto di dimostrare l’esistenza di un maggior reddito la cui prova richiede l’esercizio di poteri di accertamento dei quali lo stesso istituto è privo, costituendo una peculiare prerogativa dell’Amministrazione finanziaria e sarebbe singolare esigere dall’INPS, solo perché la lite fiscale è stata definita, l’assolvimento di un onere probatorio che mai gli viene richiesto, quando è l’Amministrazione finanziaria ed accertare la debenza dei contributi previdenziali come previsto dall’articolo 1 comma 1 del D. Lgs. 462/1997.

A mio parere la tesi del Giudice del Lavoro di Reggio Emilia, ancorché pregevole e molto ben argomentata, giunge a conclusioni non del tutto condivisibili, tanto che a fronte dell’appello dell’INPS è seguito mio appello incidentale, entrambi ora all’esame della Corte d’Appello di Bologna.

In sintesi, infatti, l’equiparazione tra il provvedimento delle liti fiscali pendenti e l’istituto dell’accertamento con adesione a mio giudizio non può essere effettuato, avendo natura giuridica molto diversa tra loro. Infatti l’accertamento con adesione è una forma di conciliazione introdotta in via ordinaria nel nostro ordinamento e rientra nell’ottica di rafforzare la collaborazione ed il rapporto di fiducia tra lo Stato ed i cittadini, anticipando una forma di contraddittorio nel rispetto del principio di legalità, nonché deflazionando il contenzioso; viceversa il citato provvedimento di chiusura delle liti fiscali pendenti appare come un istituto straordinario attuato in situazioni di emergenza per ridurre il contenzioso, sfoltire i ruoli delle commissioni tributarie e favorire in tempi rapidi un buon gettito per l’Erario.

I principi applicati dal Tribunale di Bologna appaiono più in linea con le citate normative e con una corretta lettura degli istituti coinvolti.

La citata Circolare n. 140 del 2016 nel passaggio riportato, pare riproporre posizioni “radicali” dell’INPS, che sembrerebbe intenzionato a richiedere i contributi sull’intero imponibile contestato nell’avviso di accertamento originario, anche se questo è stato dichiarato motivatamente in tutto o in parte illegittimo dalla competente commissione tributaria e successivamente si è definita la lite fiscale con la norma indicata. A questo punto non resta che attendere la concreta applicazione da parte delle Sedi periferiche e la reazione della giurisprudenza sia dei tribunali locali che delle corti d’appello e della più autorevole Cassazione, auspicando che, in uno scenario nel quale si esplorano sempre più soluzioni conciliative e stragiudiziali, la Circolare non costituisca un passo indietro tale da costringere i contribuenti al ricorso alle vie giudiziarie, con rilevanti oneri e tempi lunghi, nonché rischiando di riempire le aule giudiziarie di vertenze del tutto evitabili.

*ODCEC Reggio Emilia

 

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