La durata massima del Patto di Prova
di Paolo Galbusera*e Andrea Ottolina*
Come noto, la disciplina del patto di prova non si esaurisce nell’art. 2096 cod. civ., che ne regola alcune caratteristiche quali la necessità della forma scritta e la facoltà di recesso delle parti, ma trova altresì la propria fonte nella legge sull’impiego privato, nella contrattazione collettiva e nella giurisprudenza.In particolare i vari Contratti Collettivi regolano la durata massima del patto di prova, solitamente diversificandola a seconda del livello di inquadramento dei lavoratori subordinati impiegati nello specifico settore regolamentato.
Le previsioni della contrattazione collettiva, tuttavia, devono essere integrate con quanto previsto, nello specifico, da una legge ormai datata ma tuttora in vigore, il regio Decreto legge n. 1825 del 13.11.1924, il cui art. 4, al comma 4°, prevede che “il periodo di prova non può in nessun caso superare: mesi sei per gli institori, procuratori, rappresentanti a stipendio fisso, direttori tecnici o amministrativi ed impiegati di grado e funzioni equivalenti; mesi tre per tutte le altre categorie di impiegati”.
Per quanto riguarda gli impiegati, quindi, la possibilità di fissare un periodo di prova della durata di 6 mesi è prevista dalla norma esaminata per coloro che abbiano funzioni equivalenti al personale direttivo (dirigenti ed institori), cioè per quegli impiegati che la giurisprudenza ha definito come impiegati di prima categoria con funzioni direttive, i cui tratti caratteristici consistono nella preposizione a un ramo o servizio dell’impresa “e nell’attuazione, con poteri di supremazia gerarchica, di determinazione e di autonomia esecutiva, delle direttive generali dell’imprenditore o del dirigente di una parte autonoma dell’impresa” (cfr. Cass. sent. 9640 del 16.6.2003). Stiamo parlando, quindi, di impiegati che siano a capo di singoli servizi o sezioni d’azienda, capi ufficio e capi reparto.
Ed è proprio su questo specifico aspetto che, potenzialmente, possono sorgere problematiche applicative. Molti contratti collettivi, infatti, nel diversificare la durata massima del patto di prova a seconda delle categorie professionali, prevedono un limite massimo di 6 mesi non solo per i Quadri, ma anche per quei lavoratori inquadrati in livelli o categorie che, in base alle specifiche declaratorie, includono varie tipologie di funzioni, non tutte necessariamente direttive.
Si vedano ad esempio il Ccnl del Terziario (durata massima del periodo di prova di 6 mesi non solo per i Quadri, ma anche per gli impiegati di I livello), il Ccnl Metalmeccanica Industria (periodo di prova di 6 mesi per gli impiegati di 6^, 7^ e 8^ categoria), il Ccnl Studi Professionali (periodo di prova di 180 giorni per quadri e impiegati di I livello), il Ccnl Chimica Industria (periodo di prova di 6 mesi per gli impiegati di categoria A, B, C e D).
Ebbene, considerato che, secondo l’orientamento pressoché unanime della Corte di Cassazione, l’art. 4 del RDL 1825/1924 è considerata norma imperativa non derogabile dalla contrattazione collettiva (cfr. Cass. sent. 21874 del 27.10.2015), bisognerà necessariamente porre molta attenzione, in fase di assunzione di un nuovo dipendente, alla fissazione della durata massima del periodo di prova e, in particolare, sarà necessario considerare non solo l’inquadramento riconosciuto al lavoratore, ma anche le specifiche funzioni che egli andrà a ricoprire, in modo da evitare di prevedere un periodo di prova di 6 mesi anche per quegli impiegati che, pur essendo inquadrati ad un livello per il quale lo specifico Ccnl prevede tale durata massima, di fatto non ricoprono funzioni direttive ai sensi del co. 4 della norma in esame.
Infatti, l’eventuale violazione del limite massimo di durata del patto di prova, così come fissato dall’art. 4 RDL 1825/1924, comporterebbe la nullità del patto stesso, con conseguente illegittimità dell’eventuale licenziamento comminato per il mancato superamento della prova.
*Avvocato in Milano – Galbusera&Partners
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