Lavoro a tempo determinato. Brevi considerazioni sulla Circolare del Ministero del Lavoro 18/2014 Del 30 Luglo 2014

di Salvatore Catarraso*

La circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 18 del 30 luglio 2014 ha come oggetto il decreto legge n. 34/2014 (convertito dalla legge n. 78/2014) recante “disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese” – contratto a tempo determinato, somministrazione di lavoro e contratto di apprendistato – indicazioni operative per il personale ispettivo.

La circolare in esame illustra, tra l’altro, alcuni concetti del D.L. 34/2014 e suggerisce comportamenti da adottare per alcune tipologie di rapporti a tempo determinato, chiarendo anche il meccanismo di calcolo del numero complessivo di contratti a tempo determinato che possono essere stipulati da ciascun datore di lavoro.

Fissato il limite del 20% , in assenza di una diversa disciplina contrattuale aziendale o nazionale (CCNL), da non eccedere nel rapporto tra numero dei lavoratori a tempo determinato e numero dei lavoratori a tempo indeterminato (in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione) precisa che – nel calcolo – non vanno computati i lavoratori a chiamata a tempo indeterminato privi di indennità di disponibilità, i rapporti di natura autonoma o di lavoro accessorio, i lavoratori parasubordinati e gli associati in partecipazione mentre viceversa vanno conteggiati i lavoratori part-time, i dirigenti a tempo indeterminato e gli apprendisti (la verifica con- cernente il numero dei lavoratori a tempo indeterminato va effettuata in relazione al totale dei lavoratori complessivamente in forza a prescindere dall’unità produttiva do- ve gli stessi sono occupati); non concorrono al superamento dei limiti quantitativi le assunzioni di disabili con contratto a tempo determinato. Rilevante è la questione dei lavoratori part-time che vanno conteggiati in proporzione dell’orario contrattuale a full- time. Quindi, se due lavoratori a tempo in- determinato hanno un part-time al 50%, questi lavoratori verranno conteggiati come una unità. Conseguentemente anche i lavoratori assunti a tempo determinato verranno conteggiati in base alla percentuale di part- time stabilito nel contratto individuale. Si ha che se due lavoratori a tempo determinato hanno un part-time al 50%, questi lavoratori verranno conteggiati come una unità.

La circolare suggerisce, inoltre, che per la sussistenza di specifiche ragioni giustificatrici quali quelle di carattere sostitutivo o di stagionalità sia opportuno, ai soli fini di trasparenza, che i datori di lavoro continuino a far risultare nell’atto scritto la ragione che ha portato alla stipula del contratto a tempo determinato anche perché il datore di lavo- ro, ai sensi dell’art.2 comma 29 della legge 92/2012, non è tenuto al versamento del contributo addizionale dell’1,4%. Tale tipo- logia di contratti (sostitutivi e stagionali), inoltre, non entrano nel computo del limite dei 36 mesi (durata massima del contratto a tempo determinato, comprensiva anche di eventuali proroghe). I contratti a tempo de- terminato di tipo sostitutivo non presentano particolari problemi per la correlazione fra le due risorse lavorative: il lavoratore X a tempo determinato sostituisce il lavoratore Y a tempo indeterminato con diritto alla conservazione del posto nell’organico aziendale. I contratti a tempo determinato per ragioni di “stagionalità” sono quelli le cui attività sono elencate nel DPR 1525/1963. Ulteriori ipotesi possono essere rintracciate nell’ambito del contratto collettivo applicato, anche aziendale (il legislatore rinvia infatti al citato DPR ma non in via esclusiva). Ciò anche in relazione alla assunzione di lavoratori a termine per far fronte ad incrementi di produttività che potranno rientrare nelle ragione “di stagionalità” solo se così è prevista dalla contrattazione collettiva.

Dalla lettura di quanto precede ed in considerazione di una moltitudine di aziende del terziario sotto i 10 dipendenti è possibile ritenere che un contratto aziendale fra dato- re di lavoro e tutti i dipendenti che include una propria tipologia di “stagionalità” rientri nel concetto generale riconosciuto dal Legislatore (extra DPR 1525/1963). Considera- to che la “stagionalità” assume diversi significati, è necessario fotografare quella “stagionalità aziendale” giuridicamente valida e questa sia un sinallagma fra attività da svolgere ed attività istituzionale dell’azienda. La verifica di questa metodologia è possibile (anche) attraverso uno specifico interpello proposto dal Consiglio Nazionale dei Dot- tori Commercialisti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che abbia come presupposti fondamentali:

  • il sinallagma fra attività da svolgere di tipo “stagionale” ed attività istituzionale dell’azienda

e

  • la durata del contratto di tipo “stagionale” (3 mesi / 6 mesi / 9 mesi).

In un momento di forte crisi economica come quella attuale, il contratto a tempo determinato di tipo stagionale può costituire un valido supporto sia per le aziende, che saranno liberate da tutti quei vincoli e limitazioni tipiche del contratto di lavoro a tempo determinato acausale, sia per i lavoratori che potranno avere una chance in più prima di accedere al fatidico contratto di lavoro a tempo indeterminato (anche se a tutele crescenti) ovvero reperire risorse economiche per il sostentamento familiare.

* Odcec di Roma

 

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