Le aziende alla prova del COVID-19: ruolo dell’organismo di vigilanza a supporto della gestione del rischio contagio

di Michele Delrio* e Mattia Sgarbarossa** 

L’avvento della pandemia ha profondamente mutato le abitudini di vita di ciascuno, interferendo con particolare gravità nella sfera lavorativa.

Si è potuto sperimentare, nel corso degli ultimi mesi, come l’azienda non sia, come insegna il dettato codicistico, un mero “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”, bensì l’insieme dei beni e degli spazi, costituenti un vero e proprio contesto sociale, nel quale il singolo, lavorando, esprime una parte rilevante della propria personalità; personalità che, appunto, l’emergenza sanitaria ha compresso e stravolto ormai da molti mesi.

Non è un caso che le imprese più strutturate, che abbiano deciso di organizzare la propria azienda con un’attenzione particolare all’impatto sociale della stessa, abbiano ormai da anni adottato Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo e provveduto a nominare Organismi di Vigilanza per monitorarne l’efficacia e la concreta attuazione divenendo così compliant. Compliant non solo nei confronti delle normative di settore (sicurezza dei luoghi di lavoro e dell’ambiente, antiriciclaggio, anticorruzione e trasparenza, privacy etc.), ma soprattutto alle aspettative di tutti coloro che oggigiorno pretendono di relazionarsi (come lavoratori, fornitori, clienti, stakeholders) con imprese attente all’impatto sociale che l’azienda crea.

Compliant non solo per evitare, un domani, di incorrere nelle sanzioni che la legge prevede, oramai non più solo nei confronti del singolo – superato l’antico principio secondo cui societas delinquere non potest – bensì anche nei confronti dell’ente a vantaggio o a interesse del quale l’illecito è stato perpetrato da parte di un membro della stessa organizzazione; ma specialmente per dotarsi degli strumenti utili a gestire i rischi connessi all’operatività dell’azienda ed evitare, quindi, che quella stessa operatività possa essere pregiudicata dal loro avveramento.

Non v’è chi non vede come la diffusione del virus Covid-19 abbia generato all’interno dell’azienda, quale luogo di socialità, il serio rischio di contagio, con grave pregiudizio alla salute non solo del lavoratore, ma anche della sua famiglia e dei suoi affetti.

Detto rischio di contagio non solo deve essere gestito dall’imprenditore al fine di salvaguardare l’operatività della propria azienda, evitando che il lavoratore contagiato possa dar seguito a un focolaio in un certo reparto produttivo o in un certo ufficio direzionale, bloccandone quindi l’operatività, ma deve essere altresì affrontato in ottemperanza ai doveri di solidarietà sociale, ai principi di tutela della salute, della sicurezza e della dignità dell’individuo, sanciti dalla nostra Costituzione agli articoli 2, 32 e 41.

Le imprese già meglio strutturate, che avessero prima dell’avvento della pandemia adottato ed efficacemente attuato un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo, hanno potuto contare, per la gestione di questo nuovo, inatteso rischio, sul supporto dei propri Organismi di Vigilanza.

Il focus sulla gestione del rischio contagio da Covid-19 è stato, negli scorsi mesi, e continua attualmente a essere, la principale preoccupazione dell’Organismo di Vigilanza, in particolare nella misura in cui, il contagio del lavoratore nel contesto aziendale, potrebbe far sorgere una responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 “Disciplina della responsabilita’ amministrativa delle persone giuridiche, delle societa’ e delle associazioni anche prive di personalita’ giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”.

Come noto, l’art. 25 septies del d.lgs. 231/2001 prevede la responsabilità da reato dell’ente in caso di lesioni o morte con violazione delle norme sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

In particolare, si definisce lesione l’insorgenza di una malattia, nel corpo o nella mente, che sia eziologicamente connessa con la condotta criminosa: nel caso di specie, l’omissione del datore di lavoro nel predisporre gli opportuni presidi previsti dal Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” nonché dall’art. 2087 del c.c..

Va da sé pertanto che la condotta del datore di lavoro, che ometta di assumere quei presidi necessari a scongiurare o comunque contenere la diffusione del morbo all’interno della propria azienda, potrebbe, in caso appunto di contagio di un lavoratore all’interno del contesto lavorativo, dar seguito anche a una responsabilità dell’ente stesso.

A maggior ragione, il Legislatore, all’art. 42 comma II d.l. 18/2020, ha disposto che, nei casi accertati di infezione da Coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore rediga il consueto certificato di infortunio e lo invii telematicamente all’Inail al fine di attuare le tutele proprie dei casi di infortunio sul lavoro.

Le linee guida dell’Inail, sul punto, sono chiare: deve considerarsi causa violenta di infortunio sul lavoro anche l’azione di fattori microbici e virali che penetrando nell’organismo umano ne determinano l’alterazione dell’equilibrio anatomico- fisiologico, sempre che tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo lasso di tempo, sia collegabile allo svolgimento di attività lavorativa (Circolare Inail 23 novembre 1995 n. 74).

Se è vero che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio si risolve nel giudizio di ragionevole probabilità dell’infezione nel contesto lavorativo (al di là di ogni diversa valutazione circa la riconducibilità del contagio – e quindi dell’evento lesione o morte – a una omissione del datore di lavoro), è altrettanto vero che l’assoluta mancanza o la manifesta inidoneità di ogni misura di contenimento e prevenzione della diffusione del morbo nel contesto aziendale non potrà di certo deporre a favore dell’imprenditore o dell’impresa, né in sede civile né in sede penale o amministrativa.

Da qui l’importanza del ruolo dell’Organismo di Vigilanza nel controllo circa l’adeguatezza delle misure adottate dall’ente per garantire una efficace gestione del rischio di contagio; misure che ben sono state riassunte nei vari Protocolli Condivisi di Regolamentazione per il Contrasto e il Contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/Covid-19, sottoscritti dal Governo e dalle Parti Sociali: da ultimo, si rammenta il più recente del 6 aprile 2021.

I suddetti protocolli hanno previsto, come noto, un insieme di regole, impegni e misure, che hanno inciso anche profondamente sull’organizzazione aziendale, prevedendo ad esempio: specifici obblighi di informazione verso i dipendenti e chiunque entri nei locali aziendali; controlli all’ingresso in azienda, anche tramite misurazione della temperatura corporea; limitazioni all’accesso dei fornitori; pulizia e sanificazione, unitamente a stringenti precauzioni igieniche personali; impiego di idonei dispositivi di protezione individuale (DPI); limitazioni all’uso degli spazi comuni, quali mense, spogliatoi, aree ristoro; introduzione dello smart working, delle turnazioni, di piani di rimodulazione dei livelli di produzione; rafforzamento della sorveglianza sanitaria da parte del medico competente.

Insomma: un’incisione molto profonda nel tessuto organizzativo dell’azienda, che ha visto stravolto il proprio ordinario funzionamento e che, paradossalmente, per far fronte a un nuovo, inatteso rischio, si è vista costretta a fronteggiarne anche di nuovi. Si pensi, a mero titolo di esempio, alle questioni relative al trattamento dei dati personali delle persone fisiche che sono sorte come conseguenza delle misure di tracciamento, o dei rischi collegati alla sicurezza informatica che possono dipendere dall’uso, a volte disinvolto, a volte per necessità improvvisato, delle nuove tecnologie impiegate nel contesto di smart working.

Rispetto a tutti i suddetti aspetti, dovere dell’Organismo di Vigilanza è quello, ora più che mai, di svolgere con particolare cura il proprio ruolo al servizio dell’impresa.

Ciò ha comportato il potenziamento dei flussi informativi aventi a oggetto l’evolversi della situazione, sia dal punto di vista dei presidi implementati, sia dal punto di vista della gestione di eventuali casi di contagio: il mantenimento di una linea comunicativa costante tra Organismo di Vigilanza, Datore di Lavoro, eventuale Delegato alla Sicurezza e Responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP), si è rivelato un ottimo presidio del rischio, contribuendo a conservare alta l’attenzione e la consapevolezza di tutte le funzioni di garanzia.

Si aggiunga, come ulteriore strumento di prevenzione, l’istituzione dei Comitati aziendali per l’applicazione e la verifica del protocollo di regolamentazione, composti da Datore di Lavoro, Delegato alla Sicurezza, RSPP, Medico competente e Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), già previsti dai protocolli condivisi del 14 marzo e del 20 aprile 2020.

Detti Comitati, si sono nella pratica dimostrati un prezioso momento di confronto in azienda per mantenere focalizzata l’attenzione sulla corretta applicazione delle misure di prevenzione, sulle regole di comportamento e sulla verifica dell’efficacia delle stesse.

Non di meno, è sorto in molte realtà aziendali il bisogno di aggiornare il proprio Documento di valutazione rischi (DVR) a seguito del DPCM 24/10/2020 che, in attuazione della Direttiva (UE) 2020/379 del 03/06/2020, ha introdotto il SARS-CoV-2 nell’elenco degli agenti biologici di cui all’allegato III della Direttiva 2000/54/CE: in poche parole, è emersa per molte aziende, che mai avevano dovuto gestire il rischio di esposizione ad agenti biologici sul luogo di lavoro, la necessità di prendere coscienza della situazione pandemica e di assumere le conseguenti contromisure.

È noto a tutti come il DVR sia forse il primo, fondamentale adempimento del Datore di Lavoro nell’ambito della salute e della sicurezza sul lavoro. Mai sarà abbastanza ribadire come costui sia tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte le misure che, in base alla natura del lavoro, all’esperienza e alla tecnica, sono indispensabili per proteggere l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Per questa ragione, l’aggiornamento è risultato per molte realtà (quasi tutte) assolutamente imprescindibile. Nella pratica, per la nostra esperienza, alla valutazione del nuovo rischio sono state associate le misure dei Protocolli anti-contagio adottati a livello aziendale, assunti quali allegati allo stesso DVR, in un’ottica certamente di semplificazione delle incombenze documentali, ma che di certo non ha comportato una menomazione del presidio, nella misura in cui di tali regole sia stata data ampia diffusione e conoscenza tra i lavoratori.

Analisi del rischio, misure di prevenzione, informazione e formazione, sono tre elementi fondamentali nella gestione di un sistema di compliance aziendale volto alla minimizzazione dei rischi di commissione, non tanto di condotte delittuose in senso stresso, ma di tutti i comportamenti in senso lato devianti rispetto agli obiettivi di gestione dell’impresa, che vuole tenere in alta considerazione l’impatto della propria attività sul contesto sociale in cui opera.

E quale miglior prova di impegno si potrebbe affrontare se non quella di confrontarsi al meglio con la gestione di un’emergenza sanitaria che, se trascurata, potrebbe compromettere non solo la produttività dell’azienda, ma anche l’integrità dei lavoratori, delle loro famiglie, della comunità intera?

In conclusione, non si può che constatare come l’Organismo di Vigilanza, in tale contesto, abbia visto rafforzato il proprio ruolo, costituendosi, in ragione delle proprie competenze nella gestione del rischio e delle proprie funzioni di vigilanza, quale punto di riferimento dell’imprenditore anche nella gestione dell’emergenza Covid-19.

*Avvocato in Reggio Emilia

** Praticante Ordine forense di Reggio Emilia

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