L’unione fa la forza

di Paolo Soro* 

La crisi economica che ha pesantemente colpito l’Unione Europa (UE) nel 2008 non sembra ancora vedere un’effettiva ripresa, anche per l’assenza di un reale progetto comune tra i paesi dell’Unione. Sebbene la genesi della crisi sia di natura esogena ed affondi le sue radici nella c.d. bolla americana dei Subprime del 2007, che ha determinato un collasso economico senza precedenti negli Stati Uniti d’America (USA), culminato con il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers (settembre 2008), le ripercussioni sul Vecchio Continente sono state consistenti ed inevitabili, a causa sia dei legami che esistono tra gli USA e l’Unione Europa sia dei crescenti rapporti di interconnessione economico/ finanziaria del mercato globale. Ma se dove la crisi ha avuto origine la situazione tende a migliorare, tanto che per l’anno in corso è previsto anche il rialzo del tasso d’interesse gestito dalla Federal Reseve (Fed), l’unione Europea continua a viaggiare a scartamento ridotto, con alcuni paesi, come l’Italia, che registrano tassi di crescita incompatibili con il mantenimento dei livelli di benessere sociale raggiunto pochi anni or sono.

I report pubblicati in merito all’andamento economico nei vari paesi membri da parte della Commissione UE, da un lato, continuano a mostrare come i risultati positivi manifestatisi in taluni anni siano effimeri, essendo in genere dovuti a circostanze di carattere eccezionale, temporaneo e comunque settoriale, piuttosto che a una reale inversione di tendenza; da altro verso, dimostrano la permanenza di un’ottica nazionale incompatibile con il disegno unitario europeo. Insomma, nonostante il trattato di Maastricht del 1992, e il passaggio dalla CEE (Comunità Economica Europea) all’Unione Europea, i problemi di scarsa coesione tra i paesi membri restano!

A partire dagli anni ’90 del XX secolo nell’Unione europea sono state progressivamente eliminate le frontiere, abolite le barriere doganali, consentita la libera circolazione delle persone e dei lavoratori ed è entrato in uso l’euro, ossia la moneta unica europea, in gran parte dell’Unione. Allo stesso tempo, però, è mancato un paritetico cammino di integrazione politica, previsto dai Padri Fondatori, e la crisi economica e finanziaria iniziata nel 2008 ha reso evidente tale anomalia. D’altronde, tra i paesi membri dell’UE esistono delle differenze economiche e sociali che non hanno ancora consentito di raggiungere il livello di unità e coesione atteso, soprattutto a causa della flessione della volontà politica di alcuni governi nazionali, eccessivamente preoccupati dalla percezione dei propri cittadini (elettori) del processo di integrazione politica, con la conseguente riduzione della sovranità nazionale a favore di organismi europei. Possiamo dire che la crisi del 2008 abbia “messo a nudo” la ridotta volontà comune di proseguire il processo di unificazione, peraltro già di per sé stesso ostacolato dalle naturali disomogeneità esistenti, e i problemi di debito pubblico di alcuni paesi come la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo la Grecia e, ahinoi, l’Italia, non hanno aiutato. In questo conteso, la Banca Centrale Europea (Bce) ha rappresentato un vero e proprio baluardo a difesa dell’integrità dell’Unione Europea, non solo di quella economica e finanziaria, ma per sconfiggere in maniera definitiva la crisi economica occorrono non solo interventi che rientrano nelle competenze di altre istituzioni ma la volontà dei paesi membri, per una vera e propria politica economica europea.

È noto che la Germania e tutti i paesi che ruotano attorno al suo asse economico, come gli Stati scandinavi, i Paesi Bassi, l’Austria e alcune delle realtà più avanzate dell’Europa dell’est, abbiano conosciuto una discreta crescita, che ha avuto un rallentamento, in pratica, solo nel 2012. A favorire il buon andamento dell’economia tedesca, in particolare, sono state fuor di dubbio le esportazioni verso l’estero di tecnologie avanzate. Più difficile, invece, la situazione economica di un paese come la Francia, altra nazione fondamentale nel processo di avanzamento e consolidamento dell’Unione Europea: l’economia francese vanta un buon andamento dei consumi interni, ma è gravata da un debito pubblico in costante aumento. Un discorso a parte merita, poi, la c. d. periferia d’Europa: Spagna, Irlanda, Portogallo, Italia e Grecia. Si tratta di paesi che hanno sofferto più di altri della crisi economica e finanziaria di questi ultimi anni. Prima l’Irlanda e poi il Portogallo hanno dovuto, per esempio, ricorrere ad aiuti economici di salvataggio messi a disposizione dalla BCE e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). D’altronde, trattasi di nazioni con sistemi bancari fragili e molto dipendenti dalla Banca Centrale Europea.

Relativamente a Spagna e Italia, occorre in particolare registrare il forte aumento del debito pubblico, soprattutto, nel corso del 2011 e del 2012. In questi due paesi la situazione è stata affrontata principalmente con una politica di contenimento dei costi e di aumento della tassazione: senonché, a giudicare dai dati riepilogati nelle relazioni tecniche dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), che smentiscono clamorosamente le analisi statistiche nazionali, il nostro paese non è mai riuscito a diminuire la spesa pubblica, la quale ha continuato ad aumentare ogni anno; oltre a ciò, l’assoluta mancanza di un’uniformità tributaria a livello europeo e la spropositata pressione fiscale hanno portato alla chiusura di molte aziende e a una spinta sui processi di internazionalizzazione delle imprese maggiormente in salute, con disastrose conseguenze a livello di gettito erariale e, soprattutto, di occupazione interna.

Relativamente alla questione fiscale, valgano per tutti, a titolo di esempio, le problematiche connesse ai due principali progetti che, da alcuni anni la Commissione UE sta faticosamente cercando di portare avanti: la base imponibile societaria consolidata comune nota come Common Consolidated Corporate Tax Base (CCCTB), sul versante delle imposte dirette, e l’IVA unica europea, su quello dei c. d. tributi armonizzati. Per la CCCTB è stata presentata nel 2011 una proposta di direttiva che prevede alcuni indubbi vantaggi a livello unitario:

  • la riduzione dei costi di conformità;
  • l’eliminazione dei problemi legati al transfer pricing;
  • la compensazione e il consolidamento globale dei profitti e delle perdite;
  • la scomparsa pressoché totale dei casi di doppia imposizione;
  • l’eliminazione delle numerose ipotesi di discriminazione e delle restrizioni.

Ebbene, dopo oltre quattro anni di discussioni tra i vari governi senza che la direttiva in questione vedesse mai la luce, nel mese di giugno 2015 la Commissione Europea ha comunicato al Parlamento Europeo e al Consiglio Europeo, un nuovo action plan “for a fair and efficient corporate tax system in the EU”. Uno dei pilastri di tale action plan è stato proprio il rilancio della proposta di direttiva CCCTB, la quale, però, risultava stravolta rispetto al progetto iniziale giudicato, in tale forma, non praticabile, posto che non avrebbe mai trovato l’accordo di tutti i paesi membri. La proposta di CCCTB del 2015 non riguarda più le aliquote dell’imposta sul reddito delle società, che resterebbero una questione di sovranità nazionale: per esempio, l’aliquota al 12,5% di Irlanda e Cipro, o quelle di Lussemburgo, Olanda e Belgio, non subirebbero modifiche. Ciò nonostante, persistono ancora svariati vincoli affinché si possa trovare l’accordo sperato. Così, nel 2016, la Commissione ha finalmente presentato le sue due ultime distinte proposte di direttiva:

  • quella sulla Common Corporate Tax base – CCTB (documento n. COM/2016/0685);
  • quella sulla Common Consolidated Corporate Tax Base – CCCTB (documento n. COM/2016/0683).

Con la prima (CCTB), vengono definite norme, condivise fra i paesi membri, che si limitano soltanto a presiedere alla determinazione della base imponibile comune ai fini delle imposte sul reddito delle società. Conclusa tale fase, si procede con l’introduzione del consolidamento delle basi imponibili, oggetto della seconda proposta (CCCTB).

L’adozione del doppio regime CCTB/ CCCTB determinerebbe l’istituzione di un unico corpus di norme per calcolare il reddito delle società nell’ambito dell’UE. La base imponibile comune consolidata sarebbe, quindi, ripartita tra i membri di un gruppo in funzione di fattori quali: lavoro, asset materiali immobilizzati e fatturato, in modo da garantire che i redditi vengano tassati dove effettivamente sono realizzati. Le società avrebbero, inoltre, il vantaggio di interfacciarsi con una sola Amministrazione fiscale nell’UE, c.d. principal tax authority, individuata nello Stato membro di residenza ai fini fiscali della società madre, c.d. one-stop-shop. Dunque, non proprio l’unitarietà sperata, ma almeno il primo importante step di un cammino che peraltro appare ancora lungo. Come naturale corollario alle appena delineate proposte di direttive CCTB e CCCTB, nell’aprile del 2016, la Commissione UE ha, poi, licenziato il piano d’azione che propone la creazione di un’unica IVA europea, al fine di rendere l’imposta: più semplice da utilizzare per le imprese, capace di combattere i crescenti rischi di frode, diventare maggiormente efficiente, e soprattutto essere basata su una maggiore fiducia. Il documento sembra ripercorrere da un punto di vista IVA a livello comunitario, mutatis mutandis, quanto predisposto dall’OCSE col piano BEPS. La prima fondamentale questione concerne il passaggio dell’imposizione dal principio di origine a quello di destinazione dei beni: una vera e propria rivoluzione di carattere concettuale, dunque. Le iniziative svolte includono:

– un meccanismo di reazione veloce, c.d. Quick Reaction Mechanism, per combattere l’improvvisa e vasta crescita di frodi IVA;

– l’implementazione di una nuova fonte di leggi, in linea con i principi generali, nel luogo di destinazione, per le telecomunicazioni, la programmazione radiotelevisiva e per i servizi elettronici forniti al consumatore finale con il One Stop Shop, onde semplificare gli adempimenti fiscali;

– un nuovo sistema di governance più trasparente per il sistema IVA dell’UE, nel quale tutti i portatori di interesse sono coinvolti in maniera maggiore.

La Commissione presenterà poi una proposta di legge per modernizzare e semplificare l’IVA per l’e-commerce transfrontaliero, specialmente con riguardo alle piccole e medie imprese (Pmi). Occorre, quantunque, evidenziare come (sempre secondo i dati ufficiali a disposizione) le frodi IVA non colpiscano in maniera uguale tutti i Paesi dell’UE: il gap varia da meno del 5% a oltre il 40%. Per tale motivo, alcuni paesi membri hanno richiesto l’autorizzazione per applicare il Temporary Generalised Reverse Charge System, ovverossia un sistema temporaneo di sanzioni che deroga rispetto ai principi generali della Direttiva in materia IVA. Detto sistema, non essendo in linea con la VAT-Directive, richiede una modifica legislativa. La Commissione ritiene che al riguardo sia doverosa un’analisi approfondita, onde valutare seriamente le implicazioni politiche, legali ed economiche, di modo che, tali deroghe non finiscano per danneggiare sproporzionalmente il corretto funzionamento del mercato unico. Quindi, anche in tema di IVA europea unica, vale a dire di uno dei tributi armonizzati per i quali è pacifica la sovranità dell’UE, gli attriti contro l’emanazione della direttiva sono fortissimi e si giocano, sostanzialmente, sul timore che i rimedi vagliati per sconfiggere il maggior livello di evasione esistente in alcune giurisdizioni e/o comparti lavorativi, finiscano col ripercuotersi negativamente sulle regioni confinanti o comunque su altri settori, semplicemente “spostando” i problemi ma non risolvendoli a livello di Unione Europea.

Gli svantaggi dell’Unione Europea priva di una politica economica condivisa, che è spesso costretta ad adottare diverse velocità pur di non fermarsi, emergono in modo chiaro sul mercato del lavoro che ne subisce le ricadute, anche in termini di disoccupazione. In Italia, ad esempio, il sistema industriale appare tecnologicamente antiquato e non più in condizione di reggere la concorrenza dei nuovi paesi emergenti prima ancora di quelli europei. Ciò comporta grossi problemi di competitività da parte delle Pmi nazionali, che perdono quote di mercato interno e, nel contempo, non riescono a incrementare le esportazioni. Il governo, come noto, ha in merito recentemente varato degli aiuti sotto forma di vantaggi fiscali per le imprese.

I principali paesi industrializzati si sono già da qualche tempo attivati a supporto dei settori industriali nazionali in modo da cogliere quest’opportunità. L’Italia ha sviluppato il Piano nazionale Industria 4.0 2017-2020 che prevede delle misure in base a tre principali linee guida:

  • operare in una logica di neutralità tecnologica;
  • intervenire con azioni orizzontali e non verticali o settoriali;
  • agire sui fattori abilitanti.

Le direttrici strategiche sono quattro:

  1. investimenti innovativi: stimolare l’investimento privato nell’adozione delle tecnologie abilitanti dell’industria 4.0 e aumentare la spese in ricerca, sviluppo e innovazione;
  2. infrastrutture abilitanti: assicurare adeguate infrastrutture di rete, garantire la sicurezza e la protezione dei dati, collaborare alla definizione di standard di inter-operabilità internazionali;
  3. competenze e ricerca: creare competenze e stimolare la ricerca mediante percorsi formativi ad hoc;
  4. awareness egovernance: diffondere la conoscenza, il potenziale e le applicazioni delle tecnologie industria 4.0, al fine di garantire una governance pubblico-privata per il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Dando una rapida occhiata in Europa, abbiamo:

  1. Germania: Industrie 4.0. Piano d’azione sponsorizzato a livello federale con il coinvolgimento di grandi player industriali e tecnologici, le cui principali manovre consistono nel:
    • finanziamento di progettualità aziendali e centri di ricerca applicata
    • agevolazioni fiscali per investimenti in startup tecnologiche
  2. Regno Unito: CATAPULT – High Value Manufacturing. Piano d’azione sponsorizzato dal Governo e dal Cambridge University’s Institute For Manufacturing, che coinvolge università e player industriali, le cui principali manovre sono connesse al finanziamento di progettualità aziendali e centri di ricerca applicata.
  3. Francia: Industrie du Futur. Piano di reindustrializzazione e di investimento in tecnologie I4.0, guidato centralmente dal governo, mediante:
    • incentivi fiscali per investimenti privati
    • prestiti agevolati per pmi e per le mid- tier
    • credito d’imposta per la ricerca
    • finanziamento progetti “industrie du futur” e “invest for the future”
  4. Olanda: Smart Industry. Approccio «network centric», in cui combinare le forze del sistema industriale tradizionale con le nuove opportunità I4.0 coinvolgendo: il Ministero degli affari Economici, la Camera di Commercio e gli altri principali organismi istituzionali del Paese.

Con riferimento all’iniziativa governativa italiana si potrebbe dire che il progetto patrocinato dal Ministero dello sviluppo economico (Mise) non si discosti molto da quelli di altri paesi dell’Unione Europea, resta, comunque, il fatto che continua a risolversi tutto in azioni individuali, i cui risultati al momento paiono ancora molto incerti e non in grado di far davvero rimettere in moto la macchina economica europea.

L’Unione Europea oggi non ha ancora quelle caratteristiche federali immaginate dai suoi Padri Fondatori, appare come una sorta di network in cui coesistono talune linee d’azione e interessi comuni, ma dove ognuno fondamentalmente mira solo a proteggere il proprio orticello, in un’ottica microeconomica inadatta a generare valore per l’intera collettività ma, senza voler scomodare Keynes, alcuni modi ci sarebbero per migliorare la situazione, ad esempio si potrebbero stabilire in modo unitario delle regole di comportamento che consentano una corretta equi-distribuzione della produttività, tale da far tornare a girare a regime adeguato il volano dell’economia e, di conseguenza, ridurre le tensioni sociali e quelle sul mercato del lavoro.

* Odcec Roma

 

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