Novità in materia di mutamento delle mansioni

di Ermelindo Provenzani* 

L’art.3 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n.81 “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, entrato in vigore il 25 giugno 2015, ha apportato modifiche sostanziali all’art. 2103 del codice civile e, in particolare, ha disciplinato ex novo il muta- mento delle mansioni del lavoratore. Il d.lgs. 81/2015, pur facendo propri alcuni principi giuridici consolidati, li ha tuttavia rielaborati ed aggiornati, “superando” anche gli interventi di modifica succedutisi negli ultimi anni, precisamente nel 1970, 1985 e 1986. La novità più rilevante dal punto di vista della gestione del rapporto di lavoro, la troviamo nello ius variandi. L’articolo 2103 del codice civile, infatti, regolava l’esercizio dello ius variandi, ovvero della facoltà del datore di lavoro di variare le mansioni del lavoratore rispetto a quelle indicate al momento della assunzione, in modo decisamente rigido. La norma sanciva che il lavoratore doveva essere adibito alle mansioni per le quali era stato assunto ovvero a quelle corrispondenti alla categoria superiore che avesse successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Non si può dubitare che l’estensore della norma avesse come obiettivo quello di tutelate la parte debole del rapporto di lavoro subordinato, tanto da prevedere anche la nullità di ogni patto contrario. Lo ius variandi (ante d.lgs. 81/2015) consentiva solo di configurare mutamenti in senso orizzontale, con attribuzione di mansioni equivalenti a quelle per le quali il dipendente era stato assunto, o in senso verticale, nel caso di assegnazione di mansioni di carattere superiore con contestuale diritto per il lavoratore al trattamento corrispondente all’attività svolta. Escludeva, invece, a pena di nullità, la possibilità che il dipendente potesse essere demansionato sia per atto unilaterale del datore di lavoro sia in base ad accordi, anche in sede protetta (es. tribunale, direzione territoriale del lavoro, ecc.). Con il passare del tempo questa situazione è apparsa non più garantista neppure per il lavoratore il quale, ad esempio, accertata l’impossibilità di poterlo adibire ad altri compiti senza la modifica delle mansioni, si pensi all’autista al quale è stata revocata la patente di guida, e preso atto che, al riguardo, “ogni patto contrario è nullo” poteva solo essere licenziato! A valle di una elaborazione durata cinquant’anni, alla fine degli negli anni ’90 del secolo scorso sono arrivati i primi “spiragli” della giurisprudenza, la quale, nei conclamati casi di crisi aziendale, ha iniziato prudentemente a considerare ammissibile il demansionamento disposto con il consenso del lavoratore al solo fine di evitare il licenziamento, nell’ottica di privilegiare il diritto all’occupazione, rispetto ai diritti derivanti dall’art. 2103 del codice civile, e di salvaguardare il posto di lavoro, basando le sue considerazioni anche sulla gradazione di diritti parimenti tutelati e sulla portata di norme di legge che – in casi specifici – avevano nel frattempo previsto tale possibilità, come eccezione al divieto dello stesso art. 2103 del codice civile. Si pensi ai casi in cui un accordo sindacale, concluso nell’ambito della consultazione sindacale relativa ad una procedura di licenziamento per riduzione di personale (cfr. mobilità ex legge 223/1991), preveda che il licenziamento possa essere evitato mediante l’impiego del lavoratore in esubero a mansioni diverse anche inferiori alle precedenti, senza il mantenimento del livello retributivo precedente, se più elevato.

Il riformato art. 2103 del codice civile prevede oggi che “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore …” il datore di lavoro possa modificare unilateralmente le mansioni del lavoratore coinvolto dalla modifica organizzativa, senza la necessità di dover ricorrere ad accordi sindacali o ad apposite previsioni dei contratti collettivi. Dopo anni divieto, oggi l’art. 2103 del codice civile stabilisce che il lavoratore “… può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale”. Il solo limite del datore di datore di lavoro che intenderà operare uno o più demansionamenti è quello di comunicare per iscritto la modifica, a pena di nullità, sottraendo al lavoratore la possibilità di scelta in meri- to alla conservazione del posto di lavoro. Di contro è fatto salvo per il lavoratore il diritto al mantenimento della retribuzione ad eccezione degli eventuali elementi retributivi direttamente discendenti da specifiche modalità di svolgi- mento della precedente prestazione lavorativa (es. indennità di trasferta). L’obbligo della adeguata formazione del lavoratore può anche venir meno stante che il mancato adempimento della prestazione lavorativa non determina la nullità della nuova mansione assegnata.

Talune ulteriori ipotesi di demansionamento, secondo la nuova formulazione della norma, possono essere previste dai contratti collettivi o discendere da accordi individuali, stipulati “nelle sedi di cui all’art. 2113, quarto comma, del codice civile o avanti alle commissioni di certificazione, attribuendo al lavoratore soltanto il diritto di farsi assistere da un rappresentante sindacale.

Rimane confermata la norma riformata a beneficio del lavoratore che nel caso di assegnazione a mansioni superiori ha diritto alla corrispondente maggiore retribuzione; essa di- venta pertanto definitiva salvo il caso che tale ruolo professionale non sia stato disposto in sostituzione di un collega assente e comunque quando tale ruolo professionale verrà mantenuto dal lavoratore per un tempo superiore a mesi sei contro i 3 previsti dalla precedente normativa. In ultimo, l’art. 3 del d.lgs. 81/2015 prevede anche che il lavoratore possa essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra nel caso di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.

Riepilogando, per comodità di lettura, il novellato art. 2103 del codice civile fa, dunque, emergere due sostanziali novità che intervengono sul superamento della nozione di equi- valenza e sulla adibizione unilaterale a mansioni inferiori. Precisamente: al primo comma dispone che il lavoratore debba essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto, a quelle corrispondenti all’eventuale inquadra- mento successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento di quelle da ultimo svolte. La nuova definizione legale di riconducibilità allo stesso livello e categoria in sostituzione di quella di equivalenza, che in assenza di una precisa definizione normativa la giurisprudenza prevalente aveva interpreta- to quale strumento utile nel caso che le nuove mansioni avessero consentito al lavoratore di arricchirsi, perfezionarsi o, quantomeno, non gli avessero fatto disperdere il proprio patrimonio professionale acquisito nel corso della pregressa fase del rapporto di lavoro. Ciò poneva il giudice nella imprescindibile necessità di accertare in ciascuno dei casi quale fosse il contenuto professionale delle nuove mansioni rispetto a quello delle precedenti. Con la nuova formulazione questo accertamento non è più necessario, stante che è sufficiente la semplice ricognizione della declaratoria del contratto collettivo applicato. Per rilevare dunque se le diverse mansioni siano riconducibili allo stesso livello sarà bastevole verificare se le qualifiche oggetto del suo esame siano contemplate nella stessa declaratoria col sorgere di nuove potenziali difficoltà; infatti le declaratorie professionali dei contratti collettivi nazionali di lavoro, non sempre individuano con chiarezza le mansioni riconducibili ad un determinato livello, spalmando talvolta le stesse mansioni in più livelli. La seconda novità concerne la possibilità per il datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni inferiori nelle ipotesi del ricorrere di determinate condizioni in caso di modifiche degli assetti organizzativi. Conseguentemente, le mansioni che potranno essere assegnate al lavoratore dovranno appartenere al livello di inquadramento immediatamente inferiore a quello cui si riferiscono quelle da ultimo svolte e dovranno rientrare nella medesima categoria legale.

La norma così ridisegnata offre alla contratta- zione collettiva di prevedere specifiche ipotesi al ricorrere delle quali il lavoratore potrà essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore.

* ODCEC di Palermo

 

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