Rassegna di Giurisprudenza

a cura dell’avv. Bernardina Calafiori*

Rapporto di lavoro subordinato – Orario di lavoro – Lavoro a tempo parziale- Diritto di precedenza.

Il concetto di maggiori carichi familiari, ai fini della composizione della graduatoria per la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno ed all’interno di una disciplina diretta alla maggior tutela dei lavoratori, non può basarsi unicamente ed astrattamente sul numero dei figli, indipendentemente dal carico economico che ciò comporta e dunque dalle condizioni economiche e patrimoniali del nucleo familiare, bensì con riferimento anche a quest’ultimo. Per carichi familiari devono quindi intendersi i carichi secondo la disciplina fiscale. Il caso deciso con la sentenza in epigrafe riguardava un’ipotesi di applicazione dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs n. 61/2000, come noto oggetto di diverse modifiche nel corso degli anni.

Il testo originario della norma prevedeva espressamente che:

in caso di assunzione di personale a tempo pieno il datore di lavoro è tenuto a riconoscere un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive site entro 100 km dall’unità produttiva interessata dalla programmata assunzione, adibiti alle stesse mansioni od a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l’assunzione, dando priorità a coloro che, già dipendenti, avevano trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. A parità di condizioni, il diritto di precedenza nell’assunzione a tempo pieno potrà essere fatto valere prioritariamente dal lavoratore con maggiori carichi familiari (…)” Successivamente il testo normativo era sta- to modificato, per effetto delle modifiche apportate dal D.lgs. n. 276/2003, come segue: “il contratto individuale può prevedere, in caso di assunzione di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive site nello stesso ambito comunale, adibiti alle stesse mansioni od a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l’assunzione”.

Va infine dato atto che la norma in questione è stata abrogata dall’articolo 55, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81. Il diritto di precedenza del lavoratore part-time è ora disciplinato dall’art. 8, comma 6, del D.lgs n. 81/2015 (e sussiste solo in una specifica ipotesi espressamente contemplata): “il lavoratore il cui rapporto sia trasformato da tempo pieno in tempo parziale ha diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l’espletamento delle stesse mansioni o di mansioni di pari livello e categoria legale rispetto a quelle oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale”.

Il caso deciso con la sentenza in epigrafe riguardava un caso al quale era applicabile ratione temporis la disciplina originaria della norma (la prima sopra riportata), che in caso di nuove assunzioni a tempo pieno prevedeva un diritto di precedenza per tutti i lavoratori part-time, con priorità per i lavoratori con maggiori carichi familiari.

Nel caso di specie il lavoratore part-time aveva agito in giudizio contro il datore di lavoro, dolendosi della violazione del suo diritto di precedenza nella trasformazione in rapporto di lavoro full-time, in quanto gli era stato preferito un collega che aveva semplicemente un maggior numero di figli, non considerando invece il numero di familiari “a carico” sotto il profilo fiscale, e quindi non considerando gli importi delle relative detrazioni fiscali.

Le domande del lavoratore venivano rigettate in primo grado, ma poi accolte in appello dalla Corte di merito, secondo la quale per stabilire i “maggiori carichi di famiglia” occorreva “fare riferimento alla nozione, evincibile dalla disciplina fiscale, sia del numero dei figli, sia della situazione patrimoniale della famiglia”.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione il datore di lavoro. La Su- prema Corte ha rigettato il ricorso affermando che l’espressione adoperata dal legislatore intende individuare i soggetti “a carico” del lavoratore stesso secondo la disciplina fiscale e non già solo quelli che fanno parte del nucleo familiare.

La Corte ha ribadito che tale è la nozione di carichi di famiglia anche con riferimento all’analoga disposizione di cui all’art. 5 del- la legge n. 223/1991, in materia di criteri di scelta dei lavoratori da licenziare in ipotesi di licenziamento collettivo (e richiama nella motivazione altro precedente conforme, in cui era stata affermata la nozione corretta di carico di famiglia, qui accolta, con riferimento ad un’ipotesi di licenziamento collettivo: v. Cass. 21 luglio 2015, n. 15210, con la precisazione tuttavia che in ipotesi di licenziamento collettivo la nozione legale può subire deroghe in sede di accordo sindacale, il quale può prevedere quale criterio in deroga a quello legale il criterio del nu- mero dei componenti del nucleo familiare).

Cass. Civ. Sez. lav., 12 gennaio 2016, n. 276

Rapporto di lavoro subordinato – Indennità sostitutiva delle ferie – Natura retributiva e risarcitoria

In relazione al carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito anche dall’art. 36 Cost., e dall’art. 7, della direttiva 2003/88/CE, ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva che ha, per un verso, carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un bene (il riposo con recupero delle energie psicofisiche, la possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali, l’opportunità di svolgere attività ricreative e simili) al cui soddisfacimento l’istituto delle ferie è destinato e, per altro verso, costituisce erogazione di indubbia natura retributiva, perché non solo è connessa al sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro, quale rapporto a prestazioni corrispettive, ma più specificamente rappresenta il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali, restando indifferente l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato godimento delle stesse.

Il caso deciso con la sentenza in epigrafe riguardava il caso di un lavoratore che non aveva goduto le ferie per diversi anni. Al momento della risoluzione del rapporto il datore di lavoro non gli liquidava l’indennità sostitutiva delle ferie adducendo, tra gli altri argomenti, che la mancata fruizione delle ferie era imputabile al medesimo lavoratore che non aveva collaborato, omettendo di presentare il proprio piano ferie, e comunque si era rifiutato di fruire delle ferie. Il lavoratore, al contrario, sosteneva di ave- re richiesto più volte la fruizione delle ferie e che la stessa gli era stata negata ripetuta- mente per contingenti esigenze aziendali e di servizio. I giudici di merito accoglievano le domande condannando la Società al pagamento dell’intero importo richiesto a titolo di indennità sostitutiva delleferie. Il datore di lavoro proponeva ricorso in Cassazione, con numerosi motivi di ricorso, sostenendo che la sentenza impugnata aveva accolto erroneamente la domanda sulla base della considerazione che l’indennità per mancato godimento delle ferie aveva natura retributiva, con conseguente ritenuta inapplicabilità del principio del ridimensionamento del risarcimento riconducibile all’art. 1227 c.c.. Il datore di lavoro sosteneva invece la sussistenza del concorso di colpa del lavoratore, rappresentato dalla corresponsabilità dello stesso dipendente nella determinazione del danno, “che non aveva nemmeno tentato di recuperare le ferie prima della cessazione del rapporto”. La Suprema Corte ha respinto anzitutto l’argomento in base al quale all’indennità sostitutiva delle ferie possa attribuirsi natura meramente risarcitoria, riaffermando, con la massima qui riportata in epigrafe, il consolidato orientamento secondo il quale l’indennità in questione ha natura “mista”, e quindi risarcitoria e retributiva al contempo. Nel respingere il ricorso del datore di lavoro, ed escludendo quindi l’applicabilità tout court alla specie dei principi civilistici di riduzione del danno, la Corte ha tuttavia precisato che rimane “salva l’ipotesi del lavoratore che abbia disattesa la specifica offerta della fruizione del periodo di ferie da parte del datore di lavoro”.

Cass. Civ. Sez. lav., 14 gennaio 2016, n. 496

Inidoneità sopravvenuta alle mansioni – Impossibilità di utilizzazione in mansioni equivalenti compatibili con lo stato di salute – Assegnazione di mansioni inferiori come alternativa al licenziamento- Legittimità

In tema di inidoneità fisica al lavoro, l’impossibilità di utilizzazione in mansioni equivalenti, in ambiente compatibile con il suo stato di salute, deve es- sere provata dal datore di lavoro, sul quale incombe anche l’onere di contrastare eventuali allegazioni del prestatore di lavoro, nei cui confronti è esigibile però una collaborazione nell’accertamento di un possibile “repechage” in ordine all’esistenza di altri posti di lavoro nei quali possa essere ricollocato.

Se dunque l’impossibilità di utilizzazione del lavoratore deve essere provata dal datore di lavoro, costituendo uno degli elementi che costituiscono il presupposto di fatto ed il requisito giuridico per la legittimità dell’esercizio del potere di assegnazione delle mansioni nel caso di inidoneità lavorativa del lavoratore, peraltro, al datore di lavoro non può chiedersi una prova assoluta ed inconfutabile, atteso che la concreta possibilità di diverso impiego del dipendente può emergere solo nel contraddittorio con le parti. Se dunque il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziali, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse compatibili, tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavorato- re una collaborazione nell’accertamento di un possi- bile repechage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti. 

Il caso deciso con la sentenza in epigrafe riguardava il caso di un macchinista al quale, in seguito ad un infortunio sul lavoro in itinere che aveva comportato l’inidoneità allo svolgimento delle mansioni e l’incompatibilità delle stesse con il suo stato di salute, erano state assegnate mansioni inferiori rispetto a quelle di inquadramento. Ciò in ragione dell’impossibilità di assegnargli mansioni equivalenti compatibili con il suo stato di salute e dell’indisponibilità del lavoratore a spostarsi presso altre sedi, dove pure sarebbero state disponibili altre mansioni equivalenti compatibili con il suo stato di salute.

Il lavoratore agiva in giudizio lamentando di essere stato demansionato e chiedendo il risarcimento del danno. Le domande del lavoratore venivano rigettate, e nessun risarcimento gli veniva riconosciuto, salvo che per un limitato periodo.

La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito, ribadendo il principio consolidato in base al quale la valutazione della legittimità delle mansioni assegnate deve essere effettuata in relazione
1) alla compatibilità delle mansioni con la salute del dipendente;
2) all’esistenza di alternative concretamente disponibili;
3) alla possibilità di demansionamento come alternativa al licenziamento.

La sentenza in epigrafe quindi conferma il consolidato principio in base al quale in caso di inidoneità sopravvenuta alla mansione è legittima l’assegnazione di mansioni inferiori, in assenza di altre mansioni equi- valenti a quelle precedentemente svolte e compatibili con lo stato di salute e quale alternativa al licenziamento.

Nelle motivazioni della sentenza la Corte si sofferma a lungo anche sugli oneri processuali incombenti sulle parti, esprimendo la massima riportata in epigrafe.

In particolare la Corte chiarisce che è onere del datore di lavoro provare l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse equivalenti alle precedenti e compatibili con lo stato di salute, tuttavia tale onere non deve interpretarsi in modo rigido, essendo comunque onere del lavoratore allegare l’esistenza di altre mansioni e posti di lavoro nei quali avrebbe potuto essere utilizzato (conseguendone poi l’onere del datore di lavoro di provare l’inutilizzabilità nei predetti posti).

* socio fondatore dello Studio Legale Daverio e Florio

 

 

 

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