Un futuro da cime abissali

di Antonio Maria Orazi* 

Negli ultimi tempi si sta accendendo il dibattito sulla nuova stagione dell’innovazione tecnologica che, con le sue caratteristiche distruttive rischia di farci vivere una nuova stagione appassionante ma, per molti versi, anche preoccupante, per l’occupazione in genere e per quella intellettuale in modo particolare. Come spesso avviene quando si cerca di immaginare il futuro, si contrappongono le tesi degli entusiasti e degli scettici o, peggio, dei catastrofisti che, come Hawking, temono la rivoluzione delle macchine intelligenti o, quanto meno, mettono in guardia da evoluzioni tecnologiche fantascientifiche. Certo è che, anche in base alla famosa legge di Moore (1965) sulla microelettronica, la tecnologia in genere ha assunto un andamento di crescita esponenziale che ci avvicina a quella, fausta o infausta, mitica intelligenza artificiale di cui Kubrick, con il supercomputer HAL9000 del film 2001-Odissea nello spazio (1968), ci mostrava la pericolosità e soprattutto, ci avvicina ad uno scenario in cui saremo circondati da oggetti intelligenti. Mentre sono in corso studi per la realizzazione di interfacce cervello-computer. Così queste cime tecnologiche possono portare tutta l’umanità verso l’abisso, perché le macchine potranno non soltanto lavorare manualmente per noi, affrancandoci completamente dalla fatica, ma potranno anche pensare per noi e, con le magie degli algoritmi, potranno imparare a mano a mano che imiteranno i nostri gesti ed emuleranno i nostri processi lavorativi.

La precedente rivoluzione industriale ha determinato un grosso risparmio di mano d’opera e determinato una evoluzione delle professionalità operative, ma quella in corso, detta quarta, si prevede che coinvolgerà anche le professionalità intellettuali e, secondo taluni studi, potrebbe salvare soltanto le professioni ideative, creative, innovative. Perciò bisogna che i liberi professionisti pensino a come attrezzarsi per fronteggiare questa evenienza, da un lato sfruttando ciò che la tecnologia mette a loro disposizione, ad esempio in termini di acquisizione, elaborazione, gestione dei dati e di gestione dei rapporti con i clienti e i collaboratori, mediante i sempre più sofisticati ed efficienti sistemi di connessione, e, dall’altro lato, assumendo come parola d’ordine: il servizio al cliente!

Il crescente logorio della vita moderna, nel confronto continuo con la complessità, fa sì che tutti, siano operatori economici o meno, desiderino, come dispersi in un deserto, trovare oasi di serenità in cui dissetarsi, con argomentazioni convincenti, ma soprattutto in cui trovino chi possa fornire un servizio completo. Del resto la complessità, o le semplici complicazioni, in molti casi, delle materie professionali rendono difficile, se non impossibile, per ogni professionista padroneggiare tutto lo scibile della sua stessa professione, perciò per dare il giusto e buon servizio, che è sempre più richiesto dagli operatori, specialmente economici, è pensabile che o lo studio professionale diventi una vera e propria impresa di servizi professionali, o che si crei una rete professionale interdisciplinare. Un po’ come sta facendo l’industria che sta realizzando delle produzioni di serie personalizzate, così il professionista potrebbe fornire una assistenza professionale specialistica ma polivalente. Questa può essere una delle strade, forse l’unica, per fronteggiare l’intelligenza artificiale, che potrà anche suggerire tutte le diverse prognosi della malattia e i vari medicinali adatti alla cura del malato, come sta già avvenendo con Watson, uno degli ultimi supercomputer, ma sarà sempre il medico a decidere la cura e, soprattutto, a parlare con il paziente prima, durante e dopo, se la cura è efficace.

Un futuro soddisfacente, forse più soddisfacente del passato, si può trovare quindi nella rete professionale, nella rete interprofessionale e nella rete che può comprendere anche le associazioni di diversi operatori, sempreché si tratti di associazioni che pensino alla soddisfazione del cliente (rappresentato), piuttosto che alla loro rappresentanza.

* Esperto HR e consulente di Conflavoro Pmi

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