Ignorare…la salute e la sicurezza sul lavoro

di Sergio Vianello*

Ogni anno, in occasione della festa del 1° maggio si parla diffusamente di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, citando i nefasti numeri di incidenti e morti accaduti l’ anno preedente.

Dal 1° gennaio di quest’anno sono accaduti incidenti che hanno provocato circa 280 morti sui luoghi lavoro (in tutto il 2017 sono stati 634), ai quali si aggiungono i circa 180 decessi occorsi sulla strada, di cui la maggior parte accaduti in itinere.

Le cause, più o meno, sono sempre le stesse: difetti tecnici e organizzativi, scarsa gestione del rischio, gravi lacune nelle procedure di sicurezza, sistemi di controllo di macchine e attrezzature non sufficienti, mancata formazione specifica e/o addestramento necessari per fronteggiare in sicurezza le emergenze.

È bene ricordare che la responsabilità dell’imprenditore per gli infortuni è esclusa soltanto in caso di dolo o rischio elettivo del lavoratore, cioè di rischio generato da un’attività che non abbia rapporti con lo svolgimento dell’attività lavorativa o che non possa far riferimento ad essa in modo razionale, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore (comportamento abnorme). Ma se la “colpa” viene praticamente sempre ascritta al datore di lavoro, perché lo stesso non fa qualcosa per limitare questo rischio? Forse perché non vuole spendere? Forse perché non gli importa nulla dei lavoratori e pensa solo al profitto? Forse perché gli adempimenti di sicurezza sono solo pura burocrazia generatrice di carta?

In alcuni casi forse è vero, ma sono queste le prevalenti cause d’infortunio?

Molto spesso la causa è “l’ignoranza”, sostantivo usato in queste brevi note, non in senso offensivo, ma per evidenziare che i datori di lavoro, i lavoratori e in alcuni casi lo Stato stesso, “ignorano” il problema.

Negli articoli 36 e 37 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, Testo unico della sicurezza, il legislatore richiama il datore di lavoro ad assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione e informazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza; orbene, questo preciso obbligo nei confronti del lavoratore, non esiste per il datore di lavoro che essere in grado di adottare tutte le cautele necessarie per impedire infortuni, ha la necessità di conoscere e approfondire le tematiche di sicurezza che lo vedono coinvolto sempre in prima persona.

Quanti datori di lavoro sono a conoscenza dell’obbligo di nominare uno o più preposti o dirigenti con l’obbligo di formazione?

Quanti datori di lavoro sono a conoscenza che la nomina dei propri addetti e/o consulenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro non li esime da responsabilità per “culpa in eligendo” qualora gli stessi fossero stati designati solo per comodità o per le favorevoli condizioni economiche?

Quanti datori di lavoro si preoccupano di recuperare i libretti di uso e manutenzione dei propri macchinari e delle attrezzature da mettere a disposizione dei propri lavoratori, illustrandone i contenuti e formandoli sull’utilizzo, personalmente o con l’ausilio di terzi?

Purtroppo pochissimi, quasi sempre perché ignorano il problema, pensando che mettendo in atto l’obbligatoria struttura di sicurezza aziendale costituita da lavoratori addetti e consulenti questa sia per loro esimente dal punto di vista della responsabilità, ignorando, che più e più volte le sentenze della Corte di cassazione hanno condannato il datore di lavoro per “culpa in vigilando”, cioè per non aver sufficientemente vigilato sull’efficienza del servizio; se fossero a conoscenza compiutamente di quali sono i compiti e le responsabilità di questo adempimento obbligatorio, non commetterebbero simili errori!

Veniamo ora ai lavoratori, che molto spesso si sentono Superman e rifiutano il fatto che qualcun’altro, magari in giacca e cravatta, gli indichi le misure di prevenzione da assumere. “Ho sempre fatto così e non mi è mai successo niente!”: questa è l’affermazione classica di un lavoratore che viene solo invitato a comportamenti più sicuri senza essere “energicamente” obbligato; cambiare abitudini è faticoso e uscire dalla propria zona di comfort è sempre molto difficile.

Provate a far indossare correttamente ai lavoratori una imbracatura anticaduta (chiamata anche impropriamente cintura di sicurezza). Molto spesso la indossano perché obbligati e perché sanno che l’uso è obbligatorio quando sussiste il pericolo di cadutadall’alto. Ilproblemaèchelautilizzano larga, usurata, in alcuni casi nemmeno allacciata; nella stragrande maggioranza dei casi ignorano che, tra l’altro, qualora anche fosse usata correttamente, in caso di caduta e di pendolamento nel vuoto in stato d’incoscienza, benché il lavoratore sia fortunatamente appeso, il tempo medio della sua sopravvivenza è di circa 15 minuti!

Vogliamo parlare dell’elmetto, icona indiscussa della sicurezza? L’uso dell’elmetto non salva la vita (se ti cade un frigorifero addosso a poco serve!), ma preserva il capo da urti e da possibili oggetti contundenti che, in alcuni casi, possono comportare gravi infortuni. Molto spesso i lavoratori accettano questo rischio, ignorando che le contusioni al capo possono provocare la “commozione cerebrale” che tradotto può voler dire perdita di coscienza, pallore, rilassamento muscolare, respirazione debole e superficiale, talvolta vomito. Eppure il diffuso mancato utilizzo non può essere solamente questione di brutte abitudini o di diffidenze. La causa principale è la non percezione del rischio, come quando in auto non si allacciano le cinture di sicurezza o si svolgono sorpassi azzardati; si pensa che l’incidente possa capitare solo agli altri.

La conclusione non può che riguardare la formazione e l’informazione: il datore di lavoro formato e informato, oltre a comprendere meglio le sue responsabilità, che solo intuisce, saprebbe come delegare in maniera corretta e responsabile parte delle sue incombenze di sicurezza. Il lavoratore formato e informato, invece, comprenderebbe meglio le tecniche in continua evoluzione per lavorare in sicurezza. Ma lo Stato, per mezzo delle leggi e delle sue istituzioni, come influisce nel processo di tutela della salute e sicurezza sul lavoro? Diciamo subito che le leggi ci sono e pure in grande quantità. Purtroppo, alcuni inutili adempimenti formali distolgono l’attenzione dal vero problema.

Pensiamo alle problematiche connesse al lavoro in spazi confinati e/o con sospetto inquinamento: è ormai risaputo che sovente muorenonsoloilprimolavoratorecheaccede in questi luoghi di lavoro, ma anche altri due, che nel tentativo di soccorrere il primo collega malcapitato, incontrano anch’essi la morte in quanto non adeguatamente attrezzati e privi delle più elementari conoscenze a riguardo. Il decreto del presidente della repubblica 14 settembre 2011, n. 177 “Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81” è praticamente ignorato da molti lavoratori e datori di lavoro, sia per totale mancanza di adeguata informazione, sia a causa di una normativa che prevede adempimenti spesso poco attuabili, con numerosi aspetti poco chiari e con costi inutili evitabili: basterebbe guardare ad altri paesi europei per “copiare” soluzioni più efficienti.

In una recente intervista, l’ex magistrato Raffaele Guariniello esprime, a parere dello scrivente, alcuni condivisibili concetti: “… Abbiamo in materia una legislazione avanzata, ma non basta se poi non la si traduce in azioni quotidiane. Servono risorse, persone e mezzi, anche per controllare che la legge non sia solo sulla carta, diversamente ripeteremo le stesse cose, a ogni tragedia all’infinito. Poi, quando si mette mano alle leggi, non sempre escono chiare come si dovrebbe….

E ancora: “…Servirebbero magistrati di procura specializzati: diversamente ogni processo in materia è sempre il primo e si riparte ogni volta da zero in termini di conoscenza del fenomeno e di rapporti con ispettori consulenti…”.

Una collaborazione fattiva fra ordini e collegi professionali, associazioni di categoria e università che promuova il confronto sulla normativa non soltanto dal punto di vista legislativo ma anche e soprattutto tecnico, eviterebbe inutili burocratizzazioni a vantaggio dell’aumento di consapevolezza da parte di tutti di quanto sia importante la salute e sicurezza del lavoro.

* Ordine Ingegneri di Milano, Osservatore esterno Commissione lavoro Odcec Milano

 

 

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