Il contratto di appalto e l’appalto illecito

di Isabella Marzola* 

L’esigenza delle aziende di ridurre i costi fissi aziendali insieme al crescente desiderio di flessibilità produttiva, spinge sempre più gli imprenditori alla ricerca di nuovi modelli di organizzazione del lavoro, spesso attraverso l’esternalizzazione di parti più o meno consistenti del ciclo produttivo (cd. outsourcing).

Il nostro attuale ordinamento giuridico regolamenta l’esternalizzazione attraverso precisi modelli contrattuali come ad esempio il distacco, la somministrazione di lavoro, il contratto d’opera, ecc., ma sicuramente la tipologia contrattuale più utilizzata è il contratto d’appalto. Da sempre il nostro Legislatore vede con so- spetto il contratto d’appalto quando prevede un grosso impiego di manodopera (c.d. labor intensive), il motivo è evidente: è una tipologia contrattuale che si presta con facilità a finalità elusive sia dal punto di vista legislativo che da quello contrattuale, in quanto, attraverso la dispersione della responsabilità e la disparità di trattamento tra lavoratori del committente e quelli dell’appaltatore, rende spesso difficolto- sa la corretta imputazione del rapporto di lavo- ro e degli obblighi ad esso correlati.

Definizione di contratto d’appalto 

Ai sensi dell’art. 1655 del Codice Civile “L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. Da tale ampia definizione deriva la definizione contenuta nell’art. 29, comma 1, del D.Lgs. 276/2003, in virtù del quale: “il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa” .

Dalla lettura della norma è possibile determinare gli elementi che devono caratterizzare l’appalto genuino, in particolare i criteri che lo contraddistinguono sono i seguenti:

  1. l’organizzazione dei mezzi, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti nel contratto. Riguardo a tale criterio, la circolare ministeriale n. 5 dell’11 febbraio 2011 precisa che l’organizzazione dei mezzi deve intendersi “in senso ampio, attesa la possibilità, normativamente prevista, che essa si sostanzi, in re- lazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, nel puro esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché nella assunzione, da parte del medesimo appaltatore del rischio d’impresa”. Ne consegue che oggi viene considerato legittimo anche l’appalto labor intensive, nel quale l’apporto di attrezzature e capitali risulti marginale rispetto a quello delle prestazioni di lavoro, a condizione che l’appaltatore eserciti in maniera esclusiva il potere organizzativo e direttivo sul personale utilizzato;
  2. l’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto. Il Ministero del Lavoro, con risposta all’interpello n. 77/2009, ha affermato che non rientra nell’ambito dell’appalto illecito il caso dell’appaltatore che, nell’esercizio del- la propria attività, pur essendo fornito di reale adeguata organizzazione per l’esecuzione della prestazione o del servizio, si avvale delle attrezzature del committente perché eventualmente sprovvisto di una macchina particolare, purché la responsabilità del loro utilizzo rimanga totalmente in capo all’appaltatore e purché, attraverso la fornitura di tali mezzi, non sia invertito il rischio d’impresa, che deve in ogni caso gravare in capo all’appaltatore stesso.
  3. l’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore.

Appalto illecito

L’appalto è illecito quando non sono rispettati i criteri che determinano l’appalto genuino, in particolare è possibile individuare alcuni in- dici sintomatici che identificano la mancanza dei requisiti.

La mancanza di organizzazione dei mezzi può essere, ad esempio, determinata dalla mancanza di una significativa esperienza nel settore interessato dall’appalto oppure dalla mancanza di personale tecnicamente preparato per lo svolgimento dell’attività lavorativa appaltata o, ancora, qualora l’appaltatore non svolga l’attività produttiva che il lavoratore impiegato dovrebbe eseguire.

L’esercizio del potere direttivo viene esercitato in maniera patologica quando, ad esempio:

  • il committente impartisce disposizioni o ordini direttamente al personale dipendente dell’appaltatore e opera il controllo diretto sui dipendenti;
  • il committente esercita con piena autorità il potere direttivo, gerarchico e disciplinare, decidendo anche dei licenziamenti dei dipendenti dell’appaltatore;
  • il committente esercita forme dirette di controllo sulla qualità della prestazione resa dal personale dell’appaltatore;
  • il committente decide gli aumenti retributivi, decide i periodi di concessione delle ferie e dei permessi e anche gli orari di lavoro (coincidente con quelli dei dipendenti del committente stesso);
  • il committente di volta in volta decide il numero di lavoratori da utilizzare;
  • le retribuzioni dei dipendenti dell’appaltato- re vengono pagate direttamente dal committente;
  • il committente gestisce rapporti sindacali con i presunti dipendenti dell’appaltatore;
  • l’organico dell’impresa committente viene ridimensionato con riguardo alla possibilità di poter utilizzare in modo stabile i lavoratori messi a disposizione dell’interposto appaltatore.

Come detto, un altro requisito che non può mancare nell’ambito di un appalto genuino è la presenza del rischio d’impresa che deve gravare sull’appaltatore. Al riguardo la circolare n.5/2011 elenca alcuni indici che, a mero titolo esemplificativo, dal punto di vista sostanziale, vengono considerati rivelatori della sussistenza del rischio d’impresa, in particolare:

  • l’appaltatore ha già in essere un’attività imprenditoriale esercita in maniera abituale;
  • l’appaltatore svolge una propria attività produttiva in maniera evidente e comprovata;
  • l’appaltatore opera per conto di diverse imprese da più tempo o nel medesimo arco temporale considerato.

Al contrario tutte le volte che l’appaltatore mette a disposizione del committente una mera prestazione lavorativa, allora si viene a determinare il fenomeno dell’interposizione illecita di manodopera.

Dal punto di vista formale, ci sono alcuni indicatori su cui gli organi preposti alla verifica si concentrano, ad esempio: l’iscrizione dell’appaltatore al registro imprese; il libro giornale, degli inventari e il libro cespiti; il LUL con indicazione della data di assunzione, delle qualifiche e delle mansioni svolte dai lavoratori impiegati nell’appalto; il DURC.

Il sistema sanzionatorio in caso di appalto illecito 

Ai sensi dell’art. 18, comma 5 bis, del D.Lgs. 276/2003, nei casi di appalto privo dei requisiti stabiliti dall’art. 29, comma 1, l’utilizzatore e il somministratore sono puniti con un’ammenda di euro 50,00 per ogni lavoratore impiegato e per ogni giornata di occupazione.

Il personale ispettivo, mediante verbale d’ispezione, prescriverà allo pseudo-appaltatore l’immediata cessazione della fornitura di manodopera; di converso lo pseudo-committente potrà cessare l’utilizzo dei lavoratori impiegati oppure, in alternativa, potrà assumere i lavoratori direttamente alle proprie dipendenze. Oltre alle conseguenze di carattere sanzionatorio, con lo scopo di salvaguardare i diritti dei lavoratori, il legislatore all’art. 29 comma 3 bis del D.Lgs. 276/2003, ha previsto che “il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato an- che soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo”.

In questo caso, quindi, non c’è un riconosci- mento automatico del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore, ma un mero diritto di quest’ultimo a chiedere tale riconoscimento. Come emerge dai lavori parlamentari della II Commissione della Camera, il legislatore ha voluto evitare che un effetto così rilevante possa derivare dal provvedimento ispettivo ex lege, senza il parere della magistratura e senza l’effettivo interesse dei lavoratori utilizzati.

*ODCEC di Ferrara

 

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