Il Sindacato? Deve essere unitario, non unico

di Filippo Palmeri*

I dibattiti tra il governo e i sindacati e anche tra i sindacati stessi spingono i lavoratori, i dirigenti sindacali e i cultori della materia a una riflessione sul tema centrale dell’unità sindacale. Matteo Renzi qualche tempo fa, durante un’intervista alla trasmissione di Enrico Mentana Bersaglio Mobile, ha pronunciato queste parole: “Mi piacerebbe arrivare al sindacato unico, a una legge sulla rappresentanza sindacale e non più a sigle su sigle su sigle”.

Le organizzazioni Fesica Confsal e Confsal Fisals pensano che il tema del sindacato sia piuttosto quello del sindacato unitario. Il sindacato unico è, invece, una concezione che esiste solo nei regimi totalitari. A proposito di unità sindacale ci viene alla memoria la posizione di Bruno Trentin: “L’unità sindacale non è soltanto uno strumento, ma un valore altrettanto rilevante degli obiettivi che si vogliono perseguire”. L’unità sindacale e la democrazia sono inseparabili e le fondamenta degli equilibri non dovrebbero cambiare nel tempo perché sono valori e ideali, regole naturali di rapporti, rispetto della persona e di una vita vissuta con dignità e serenità.

L’unità sindacale è lo strumento che coniuga la libertà e il lavoro. I principi fondamentali sono l’autonomia dei sindacati nei confronti degli imprenditori, dei datori di lavoro e della politica. Il sindacato non deve essere obbligatorio e non deve essere unico, anzi, ci deve essere piena libertà di aderire e formare nuovi sindacati. Questi, però, devono essere uniti nella formazione di diritti sociali e civili universali, con la convinzione che il lavoro sia parte inseparabile dell’identità della persona e che la libertà si realizzi prima di tutto nel rapporto di lavoro. Un concetto, quello di libertà e uguaglianza dei diritti, che, però, non va confuso con l’omologazione. Ciò è importante perché la parola unità può essere confusa con unicità. Riteniamo che l’entità del lavoro determini le rivendicazioni salariali: si contrappone, cioè, un principio distributivo salariale a “pioggia” a uno proporzionale. È indubbio che i sindacati dei lavoratori anche quando sono uniti restano diversi.

Ogni lavoratore ha mansioni e responsabilità diverse, pertanto corre rischi diversi. Anche la fatica fisica, l’impegno mentale e la capacità di risolvere problemi sono diverse tra i lavoratori, così come la differenziazione del compenso e della tutela delle condizioni di lavoro, tra cui i ritmi, i tempi, l’orario, l’ambiente, la salute. Devono esistere condizioni minime invalicabili nel rispetto della vita umana e dell’onestà e condizioni discutibili tra le parti interessate, imprenditori e sindacati.

Le innovazioni nei rapporti di lavoro, come le riforme del Jobs Act, sono necessarie, ma non bisogna dimenticare l’importanza dei rapporti di lavoro di lunga durata. Questo perché il precariato e l’erosione delle rivendicazioni salariali indeboliscono le aziende sul lungo termine, impoverendole del loro capitale umano e delle loro risorse professionali. Bisogna cambiare la qualità della crescita, distinguere tra i vari tipi di crescita. La crisi economica, politica e sociale che stiamo vivendo è irreversibile e riteniamo importante ridefinire il significato di sviluppo e crescita. L’uso dei due termini, infatti, è confuso. Il termine crescita economica si riferisce all’aumento (o crescita) di un indicatore specifico quale il reddito nazionale reale, il prodotto interno lordo (Pil) o il reddito pro- capite. Il termine sviluppo economico, si riferisce ai miglioramenti in una varietà di indicatori quali i tassi di alfabetizzazione, la speranza di vita e i tassi di povertà. Il Pil è una misura specifica di benessere economico che non considera le funzioni importanti quali tempo libero, qualità ambientale, libertà o giustizia sociale.

I lavoratori sono interessati allo sviluppo economico attraverso la crescita economica e non il contrario. Il benessere delle persone deve portare alla crescita economica, non il contrario. È opportuno che il “mondo sindacale”, sia confederale sia autonomo, trovi al più presto l’unità di intenti e avvii la discussione sulle prospettive future del Paese, creando anche una federazione comune. Oggi i rapporti tra le Federazioni dei Sindacati Confederali (Cgil, Cisl e Uil) e le Federazioni di Confsal sono difficili e, nonostante i buoni propositi espressi, non sono mancate polemiche e “fratture” dialettiche. Negli ultimi anni la crisi economica ha reso meno praticabile la strada dell’unità sindacale, gli spazi di mediazione si sono ridotti, sono riemerse vecchie e mai scomparse differenze fra le confederazioni e si sono accentuate le divaricazioni, mentre l’unità sindacale avrebbe potuto evitare la proliferazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl), solo per fare un esempio concreto di beneficio ottenibile con l’unità sindacale.

A causa dei disaccordi tra sindacati, i Ccnl e la realtà delle imprese sono sempre più distanti. L’idea di un Ccnl non genera più tra i lavoratori alcun trasporto emotivo o senso di appartenenza. Nessuno, da molti anni, agisce e lavora in azienda con in mano il contratto nazionale. Nell’interesse di lavoratori e datori di lavoro è opportuno unificare le forze e avere unità d’azione, anche se ciò richiederà l’apertura dei sindacati a nuove forme di confronto e negoziazione.

Le rivendicazioni che i sindacati dei lavoratori fanno al datore di lavoro contribuiscono al benessere aziendale, ma il lavoratore, da parte sua, deve prendersi cura dell’azienda in quanto tale, con un atteggiamento diverso da quello attuale. Senza gli ideali la vita e la politica non incontrano l’etica e hanno poco senso. Dinanzi alle trasformazioni dei mercati e delle imprese è necessario riorganizzare il lavoro, semplificare la burocrazia, favorire l’autonomia delle persone nonché conoscere le opinioni dei lavoratori e dei cittadini, così da costruire tutti insieme gli strumenti per accompagnare i cambiamenti del Paese.

Se la crisi è la conseguenza della crescita, non si può uscire dalla crisi rilanciando la crescita che è alla base della crisi stessa. Lo diceva anche Albert Einstein: “Non si può risolvere un problema usando la stessa metodologia che ha creato quel problema”. Bisogna cambiare il metodo poiché il metodo basato sulla crescita economica sta mostrando i suoi limiti. C’è la necessità di muoversi verso una società sostenibile per tutti. È necessario parlare del rapporto tra sviluppo e natura, di solidarietà, della salute delle popolazioni, del bisogno di garantire alla persona il diritto all’autorealizzazione di sé attraverso il lavoro.

* Segretario Fisals Confsal

 

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