Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

di Paolo Soro*

La  legge  n.  199  del  29  ottobre  2016  ha riscritto  il  reato  di  intermediazione  illecita e   sfruttamento   del   lavoro,   mediante   il novellato art. 603-bis del Codice penale, in vigore  dal  4  novembre  dello  stesso  anno. Inizialmente  introdotto  nel  Codice  Penale dal decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011, il 603-bis nasce dall’esigenza di contrastare il    noto    fenomeno    del    “caporalato”. Senonché,   prendendo   atto   della   scarsa efficacia della norma al lato pratico, la stessa è stata riformulata dal legislatore del 2016, che ha ampliato notevolmente le fattispecie perseguibili   facilitando   nel   contempo   le attività ispettive.

La norma punisce, ora, coloro che:

  1. reclutano manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
  2. utilizzano, assumono o impiegano manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfit0ando del loro stato di bisogno.

Va subito evidenziato che non è più richiesta la natura di imprenditore, né per l’intermediario, né per il datore di lavoro. nella previgente versione, la condotta dell’intermediario rilevava solo se “organizzata”, requisito, questo, non più novellato dall’art. 603-bis. L’attuale riscrittura della norma, infatti, stabilisce che, anche al di fuori dell’attività di intermediazione illecita, il reato si ravvisa pure per coloro che utilizzano, assumono, o impiegano manodopera (anche, ma non solo, mediante l’anzidetta attività di intermediazione), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno. Con tale previsione, dunque, si estende l’ambito di applicazione soggettivo della disposizione.

Ulteriore modifica che risulta particolarmente rilevante è la mancanza di uno di quegli elementi prima indispensabili ai fini del verificarsi dell’ipotesi criminosa. detto elemento inibiva notevolmente le possibilità di azione da parte della Magistratura, date le difficoltà probatorie al riguardo. nel novellato 603-bis risulta scomparsa la proposizione: “mediante violenza, minaccia, o intimidazione”. A seguito di ciò, non è più richiesto che il reo abbia agito con violenza, minaccia o intimidazione ai fini del perpetrarsi dell’ipotesi delittuosa. Il requisito in questione resta tuttavia normato dal nuovo 603-bis ma solo a titolo di eventuale aggravamento delle conseguenze penali prevedendo che “Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.” Si ricorda che la pena base è la reclusione da uno a sei anni, e la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Permangono, viceversa, inalterati gli altri due elementi individuati dalla norma indispensabili per il compimento del reato:

  • l’approfittamento dello stato di bisogno
  • le condizioni di sfruttamento

In sostanza, il reato si configura soltanto quando i lavoratori vengono sfruttati, approfittando del loro stato di bisogno. Se manca anche solo uno di questi due fattori, il caso non rientra fra le fattispecie penalmente perseguibili. pare, dunque, opportuno ricordare cosa si intende in concreto per stato di bisogno, e quando si può effettivamente parlare di sfruttamento. Quanto al primo elemento, la Giurisprudenza di Legittimità ha avuto modo di affermare che lo stato di bisogno non può essere ricondotto alla mera impossibilità economica di realizzare qualsivoglia esigenza avvertita come urgente, ma deve essere riconosciuto soltanto quando la persona offesa, pur senza versare in stato di assoluta indigenza, si trovi in una condizione anche provvisoria di effettiva mancanza dei mezzi idonei, atti a far fronte alle esigenze primarie, quelle esigenze, cioè, relative ai beni oggettivamente essenziali (Cassazione Penale, Sezione II, 18778/2014; Cassazione Penale, Sezione II, 43713/2010; Cassazione Penale, Sezione II, 4627/2000). Lo stato di bisogno non è quindi configurabile per ogni lavoratore che si trovi disoccupato e che abbia necessità di trovare un posto di lavoro.

Assai    più    complesso    appare    definire compiutamente       le       condizioni       di sfruttamento.  Il  Legislatore  ne  predispone un’elencazione    che    –    parrebbe    lecito pensare  –  essere  di  tipo  esemplificativo e   non   tassativo   con   la   sola   finalità   di fornire  al  giudice  gli  elementi  necessari per   supportarlo   nelle   sue   decisioni.   La norma  precisa  che  non  è  necessario,  agli effetti del compimento del reato, che siano presenti tutte le condizioni ivi elencate ma è sufficiente la ricorrenza di anche uno solo degli elementi elencati.

Vediamo nel dettaglio quali sono le condizioni  considerate  “di  sfruttamento” indicate dal Legislatore:

A. La reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato. 

A tal proposito è bene ricordare come da lungo tempo si discuta sull’applicazione dei contratti collettivi siglati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative al livello nazionale rispetto a quelli sottoscritti dagli altri sindacati, opinandosi giustamente che in molte realtà aziendali, risultano in concreto “maggiormente rappresentative” le organizzazioni sindacali – per così dire – “minori”. A oggi l’orientamento costante dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro   individua   come   “maggiormente rappresentativi”      a      livello      nazionale esclusivamente   i   sindacati   appartenenti alla  cosiddetta  “triade”,  più  precisamente CGIL  –  CISL  e  UIL.  È  evidente  che  la norma qui oggetto di analisi rafforza ancor più la posizione leader delle organizzazioni sindacali    maggiormente    rappresentative sul   piano   nazionale   contrariamente   alla precedente  formulazione,  che  richiamava sic   et   simpliciter   i   “contratti   collettivi nazionali”.    Con    il    nuovo    603-bis    il Legislatore ha chiaramente inteso ampliare l’area di punibilità estendendola ai “contratti collettivi  nazionali  (o  territoriali)  stipulati  dalle organizzazioni   sindacali   più   rappresentative   a livello nazionale”. Ciononostante, non si può certo  pensare  che  le  differenze  retributive (in genere esistenti tra i Ccnl “leader” e gli altri) siano sufficienti a far scattare l’ipotesi delittuosa, in quanto tali differenze devono essere   “in   modo   palesemente   difforme”   così come  premesso  dal  legislatore.  Quando una   differenza   può   essere   considerata “lieve” (ossia, non “palesemente difforme”) e quindi non configurabile come ipotesi di reato?

Se si analizza il complessivo tenore letterale dell’articolo, parrebbe che il Giudice sia chiamato a valutare l’integrale trattamento retributivo “rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato” così come, fortunatamente, non modificato dal novellato art. 603-bis. Da un punto di vista giuridico, la nozione di “retribuzione” è spesso intesa come il complessivo trattamento corrisposto in ragione della prestazione lavorativa, comprensivo di tutti gli istituti diretti e indiretti, siano essi monetari o in natura. Al fine di riscontrare la conformità al dettato costituzionale di cui all’ art. 36 della remunerazione applicata, i giudici verificano se il trattamento erogato sia migliorativo rispetto alle altre previsioni di base del Ccnl tali da far ritenere, nel complesso, rispettati i minimi costituzionalmente previsti. parrebbe logico, quindi, assumere la medesima onnicomprensiva nozione di “retribuzione” anche con espresso riguardo alle ipotesi indicate nel 603-bis.

L’articolo in esame fissa un ulteriore parametro che configurerebbe l’ipotesi di reato riconducibile alla circostanza che l’anzidetta “palese differenza” di trattamento retributivo debba avvenire in maniera “reiterata” (rectius, ripetuta). La precedente versione della norma usava il termine “sistematica”, mentre con la nuova versione si è inteso dare un significato maggiormente restrittivo. Il comportamento sistematico deve accadere con più frequenza rispetto a una mera ripetizione e avviene sulla base di un sistema preordinato. Ora sarà sufficiente una violazione accertata con riferimento anche a solo due periodi di paga pure non consecutivi, per costituire attività reiterata/ ripetuta, di per sé sufficiente a far scattare l’ipotesi criminosa.

È  evidente  come  sia  chiara  la  volontà  del legislatore  di  considerare  particolarmente grave  il  reato  in  questione,  posto  che  ha all’uopo previsto una pena edittale massima di sei anni. Con tale previsione ha escluso che  possa  essere  applicabile  l’art.  131  bis Codice Penale che prevede la non punibilità per particolare tenuità del fatto per reati la cui pena detentiva non è superiore a cinque anni.

B. La reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie 

un    ulteriore    indice    di    sfruttamento individuato    dall’odierno    legislatore    è legato  alla  violazione  dell’orario  di  lavoro e  dei  riposi.  Anche  in  questo  caso  è  stata sostituita   la   “sistematicità”   con   l’attuale termine     di     “reiterazione”.     Valgono, pertanto,    le    medesime    considerazioni di  cui  si  è  detto  sopra.  visto  lo  spirito che   ha   animato   l’intero   provvedimento, evidentemente  emanato  per  rendere  più rigorose  le  norme  e  ampliare  l’area  dei soggetti   punibili,   al   fine   di   configurare l’ipotesi  del  reato  ora  è  sufficiente  una semplice pluralità di violazioni concernenti orario  di  lavoro,  periodi  di  riposo,  riposo settimanale, ferie etc.

C. La sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro 

Questo è forse l’indice di sfruttamento più “delicato” che è stato previsto dal Legislatore, posto che la normativa sulla sicurezza, nella sua interezza, risulta di difficile applicazione pratica nelle micro- entità. Vista l’estrema stringatezza del disposto in parola non sembra debbano sussistere ed essere accertate più violazioni in materia, sembra sia sufficiente che vi siano genericamente “violazioni” quindi, in linea di principio, potrebbe essere sufficiente “anche una sola violazione”. Questa interpretazione restrittiva sembrerebbe in linea con la scelta del Legislatore che, per tale indice, non ha previsto la reiterazione e/o la sistematicità. La norma, inoltre, non ha previsto alcuna graduazione delle violazioni accertate contrariamente a quanto normato nell’ambito delle cosiddette circostanze aggravanti e, teoricamente, si potrebbe configurare un’ipotesi di reato persino nel caso di una singola, non grave, violazione. A parere di chi scrive, non possono essere paventabili situazioni limite di questo tipo. Si ritiene, tuttavia, che, non potendo tipizzare in dettaglio tutte le varie fattispecie verificabili di violazioni, il Legislatore abbia volutamente essere generico nel definire il concetto di sfruttamento nell’ambito della normativa sulla sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, lasciando poi all’interprete il compito di configurarne le concrete conseguenze caso per caso anche in relazione alla effettiva gravità della violazione.

D.  La sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti 

Continua   l’inasprimento   perpetrato   dal legislatore.  la  normativa  odierna,  infatti, non  richiede  più  il  “particolare  degrado”, ma  è  sufficiente  che  vi  sia  il  “degrado”. attesa  la  ratio  ispiratrice  della  legge  ossia la   volontà   di   punire,   con   ogni   mezzo, l’assurdo  e  incivile  sistema  del  caporalato, il   nuovo   testo   normativo   non   sembra criticabile. Affinché si realizzi la situazione “degradante” di rilievo penale, per esempio per    le    sistemazioni    alloggiative,    sarà necessario  che  gli  spazi  abitativi  occupati dai lavoratori risultino essere di pertinenza o comunque siano riconducibili, direttamente o  indirettamente  all’intermediario,  oppure al datore di lavoro.

L’ultimo  comma  dell’art.  603-bis  prevede infine tre circostanze aggravanti specifiche che comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:

  1. quando il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
  2. quando uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
  3. quando il fatto commesso espone i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.

La nuova formulazione della disposizione, in realtà, si limita a riproporre la norma previgente, salvo definire i lavoratori “sfruttati” e non più “intermediati”.

La terza circostanza aggravante deve essere distinta rispetto all’indice di sfruttamento di cui al punto C) dove le violazioni possono potenzialmente causare un pericolo per la salute dei lavoratori, per il punto in esame, invece, la violazione dovrà essere di grado superiore ed esporre concretamente il lavoratore a “grave pericolo” e minarne l’incolumità. Sempre nell’ambito della circostanza aggravante, il Legislatore ha stabilito che la situazione di “grave pericolo” non va individuata in termini generali e astratti, ma va correttamente verificata con riguardo “alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro”.

Ad integrare l’analisi della norma, si ritiene di voler approfondire le indicazioni fornite in merito dall’Inl, con la circolare 5/2019, avente a oggetto: “Art. 603 bis c.p. intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro – attività di vigilanza – Linee guida.”

La circolare ribadisce che il caporalato non è più un reato “esclusivo” del settore agricolo, ma si realizza con sempre maggiore frequenza in ambiti differenti, quali quelli legati per esempio alle attività di servizi, lucrando su un abbattimento abnorme dei costi del lavoro a danno dei lavoratori e/o degli Enti previdenziali.

Ai fini dell’esatta individuazione dell’approfittamento dello stato di bisogno, l’Istituto ritiene opportuno rifarsi alle indicazioni espresse dalla Giurisprudenza di Legittimità, in forza delle quali detta condizione non si identifica nel mero bisogno di lavorare, ma presuppone uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che pur non annientando in modo assoluto qualsiasi libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale della persona. La Direzione dell’Istituto invita i propri funzionari incaricati alle verifiche, ad analizzare con la dovuta attenzione tale particolare aspetto, imprescindibile ai fini del compimento del reato, acquisendo ogni elemento di prova.

La circolare analizza l’elemento costitutivo del reato rappresentato dallo “sfruttamento lavorativo” individuando indici alternativi tra loro, precisando quanto segue:

  • la reiterazione va intesa come comportamento ripetuto (anche una sola volta) nei confronti sia di uno che di più lavoratori, anche nel caso in cui i percettori di retribuzioni non siano sempre gli stessi in ragione di un possibile turn over;
  • i contratti collettivi applicabili devono intendersi quelli sottoscritti dalle organizzazioni “comparativamente” più rappresentative che costituiscono elemento di maggior garanzia per i lavoratori. In tal senso l’Istituto si è uniformato alle disposizione di legge emanate negli ultimi decenni che hanno richiamato la contrattazione collettiva sottoscritta dalle organizzazioni sindacali “comparativamente più rappresentative a livello nazionale”;
  • anche la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, alle ferie etc., quale indice della sussistenza di una condizione di sfruttamento lavorativo, va valutata in relazione all’eventuale turn over dei lavoratori;
  • l’indice relativo alle violazioni in materia di sicurezza sarà tanto più significativo quanto più gravi saranno le violazioni accertate in materia di prevenzione, saranno meno rilevanti le violazioni di carattere formale o altre violazioni che non vadano a incidere in modo diretto sulla salute e sicurezza del lavoratore;
  • le ipotesi di condizione lavorativa degradante sono individuate nelle situazioni di significativo stress lavorativo psico-fisico quali ad esempio il trasporto presso i luoghi di lavoro quando questo sia effettuato con veicoli del tutto inadeguati e con un numero di passeggeri eccedente il consentito oppure quando lo svolgimento dell’attività lavorativa avvenga in condizioni metereologiche avverse e senza adeguati dispositivi di protezione individuale o quando sia del tutto esclusa la possibilità di comunicazione tra i lavoratori o altri soggetti e anche quando siano assenti locali per necessità fisiologiche, etc.

Quanto, poi, all’eventuale denuncia, l’Ispettorato interviene precisando che, nella notizia di reato, sarà sufficiente evidenziare l’accertamento di uno o più indici, segnalando alla Procura che gli stessi, qualora sanzionati in via amministrativa, saranno oggetto di separata verbalizzazione e notifica di illecito.

L’attività      investigativa      deve      essere pianificata, tranne nelle ipotesi di arresto in flagranza, con i Magistrati delle competenti procure  della  repubblica,  e  i  Carabinieri del  Comando  per  la  tutela  del  lavoro.  la specie delittuosa in esame, inoltre, consente l’uso  delle  intercettazioni  e,  a  differenza della    norma    previgente,    ora    prevede espressamente la confisca per l’equivalente in caso di condanna.

per quanto concerne in particolare l’intermediario, l’attività sarà rivolta ad appurare:

  • se lo stesso opera con una ragione sociale e, in caso affermativo, qual è l’oggetto dell’impresa;
  • se dispone di autorizzazioni alla somministrazione o intermediazione di lavoro;
  • se ha rapporti economici (censiti ufficialmente) con imprenditori operanti nel settore interessato dallo sfruttamento;
  • se è intestatario di veicoli, verificandone la tipologia e la targa;
  • quale è l’attività lavorativa o imprenditoriale (se ve ne è una) ufficialmente esercitata.

L’Ente si raccomanda di focalizzare l’attenzione anche sulle condotte di soggetti terzi anche se non espressamente qualificabili come intermediari, che abbiano consentito o agevolato il reato. Lo sfruttamento del lavoro può, infatti, realizzarsi pure nell’ambito di rapporti commerciali tra imprese e, in particolare, nelle prestazioni di servizi oggetto di un contratto di appalto, laddove l’impresa appaltatrice, nel garantire forti risparmi ai committenti, approfitti dello stato di bisogno dei lavoratori, abbattendo considerevolmente i costi del lavoro, attraverso la corresponsione di retribuzioni “in modo palesemente difforme” rispetto ai valori prescritti dal 603-bis. Ne consegue che:

  • va valutato il comportamento del personale incaricato dalla società appaltatrice di offrire i servizi ai futuri committenti sottoscrivendo i relativi preventivi;
  • vanno indagate tutte le imprese interessate, considerato che le condotte sono altresì valutate pure ai fini della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

La  circolare  ricorda,  in  conclusione,  come siano sempre meno i casi che coinvolgono lavoratori    stranieri    privi    di    regolare permesso    di    soggiorno,    o    comunque lavoratori,   siano   essi   italiani   o   stranieri, privi  di  regolare  assunzione.  L’evoluzione del fenomeno si caratterizza, infatti, anche nell’ambito  di  un’apparente  legalità  dove talvolta  i  lavoratori  risultano  formalmente assunti    e    dai    documenti    obbligatori si   evince   il   rispetto   delle   disposizioni normative  e  contrattuali  non  rispondenti alla  concreta  realtà  dei  fatti.  È,  pertanto, necessario  accertare  realmente  le  modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, senza limitarsi agli aspetti meramente ufficiali.

Come sempre, risulterà in proposito fondamentale l’audizione della forza lavoro coinvolta, da cui sarà necessario acquisire, non solo delle “sommarie informazioni” circa l’attività svolta, ma ogni altra notizia utile a comprovare sia la condizione di sfruttamento sia lo stato di bisogno, pur consapevoli che tale indagine non sarà sempre agevole per le forme di intimidazione da parte dell’intermediario e/o del datore di lavoro alle quali tali soggetti sono spesso sottoposti.

La   circolare   dell’Istituto   è   comprensiva di    allegati    che    forniscono    un    elenco esemplificativo   delle   domande   che   gli ispettori  dovranno  rivolgere  ai  lavoratori interessati.

* Odcec Roma

 

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