L’impresa familiare e la sicurezza nel lavoro

di Sergio Vianello * 

Ai sensi dell’art. 230-bis del Codice civile, l’impresa familiare è così configurata: “Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi [c.c. 316].” 

Possono far parte dell’impresa familiare i parenti fino al terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore; più nel dettaglio:

  • 1° grado: genitori e figli (anche gli adottivi);
  • 1° grado: suoceri e suocere, generi e nuore, patrigno e matrigna, figliastri;
  • 2° grado: nonni, fratelli e sorelle, nipoti (figli dei figli);
  • 2° grado: nonni del coniuge, cognati e cognate;
  • 3° grado: bisnonni, zii, nipoti (figli di fratelli e sorelle), pronipoti (figli dei nipoti di 2° grado);
  • 3° grado: bisnonni del coniuge, zii del coniuge, nipoti (figli dei cognati).

Il familiare non può far parte dell’impresa familiare se il rapporto lavorativo si configura come rapporto di lavoro subordinato o autonomo. Perché perduri l’appartenenza all’impresa familiare è necessario che il rapporto familiare persista per tutta la durata dell’impresa stessa; ad esempio, il divorzio (ma non la separazione) comporta il venir meno dell’impresa familiare. Ai fini civilistici, vale a dire al fine di conseguire il riconoscimento dei diritti di cui all’art. 230-bis, la norma non detta condizioni di forma particolari. Al riguardo la Cassazione ha stabilito che la costituzione dell’impresa familiare non è automatica ma deve pur sempre sussistere una manifestazione di volontà, espressa o tacita, da parte dei familiari interessati.

Ai fini fiscali, l’art. 5 comma 4 del d.p.r. n. 917/1986 (testo unico delle imposte sui redditi) richiede la costituzione per scrittura privata autenticata o per atto pubblico e gli effetti si produrranno dal periodo d’imposta successivo.

La normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro per questa tipologia di imprese è riscontrabile nel dettaglio nell’art. 21 del d.lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, Testo unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro – “disposizioni relative ai componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del codice civile e ai lavoratori autonomi che recita: I componenti dell’impresa familiare di cui all’articolo 230-bis del Codice civile, i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’articolo 2222 del Codice civile, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, gli artigiani e i piccoli commercianti devono:

  1. utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III;
  2. munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III;
  3. munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o  subappalto.


I soggetti di cui al comma 1, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico hanno facoltà di:

  1. beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
  2. partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme ”

Si trascrive di seguito l’art. 69 relativo al titolo III del d.lgs. 81/2008 che tratta l’uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale:

“1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente Titolo si intende per:

  1. attrezzatura di lavoro: qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto, inteso come il complesso di macchine, attrezzature e componenti necessari all’attuazione di un processo produttivo, destinato ad essere usato durante il lavoro;
  2. uso di una attrezzatura di lavoro: qualsiasi operazione lavorativa connessa ad una attrezzatura di lavoro, quale la messa in servizio o fuori servizio, l’impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, il montaggio, lo smontaggio;
  3. zona pericolosa: qualsiasi zona all’interno ovvero in prossimità di una attrezzatura di lavoro nella quale la presenza di un lavoratore costituisce un rischio per la salute o la sicurezza dello stesso;
  4. lavoratore esposto: qualsiasi lavoratore che si trovi interamente o in parte in una zona pericolosa;
  5. operatore: il lavoratore incaricato dell’uso di una attrezzatura di lavoro o il datore di lavoro che ne fa uso.”

Quindi:

  • non è obbligatoria la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione;
  • non è obbligatorio redigere il documento di valutazione dei rischi;
  • non è obbligatoria la sorveglianza sanitaria, ma in caso di appalto o subappalto il committente può correttamente pretenderla;
  • non sono obbligatori i corsi di formazione e informazione, ma in caso di appalto o subappalto il committente può correttamente pretenderli;
  • non è obbligatorio il documento unico di regolarità contributiva (Durc) che è intestato alla ditta artigiana, ma in caso di appalto o subappalto il committente può correttamente pretenderlo.

Per la verifica dell’idoneità tecnica professionale che il committente ha l’obbligo di chiedere anche all’impresa familiare, ai sensi dell’art. 26 del Testo unico, la stessa impresa familiare, in caso di appalto non edile, deve fornire come minimo:

  1. autodichiarazione firmata dal datore di lavoro titolare dell’impresa, del possesso dell’idoneità tecnica professionale, redatta ai sensi dell’art. 26 comma 1 lettera a) e dell’art. 97 comma 2 del lgs. 81/2008 e s.m.i., completa degli allegati in essa prevista;
  2. certificato d’iscrizione C.C.I.A.A. in corso di validità;
  3. specifica documentazione attestante la conformità alle disposizioni del lgs. 81/2008 e s.m.i. di macchine, attrezzature e opere provvisionali;
  4. elenco dei dispositivi di protezione individuali in dotazione;
  5. attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria ove espressamente previsti dal lgs. 81/2008 e s.m.i.

In caso di appalto edile, deve inoltre allegare come minimo:

  1. documento unico di regolarità contributiva di cui al decreto ministeriale 24 ottobre 2007;
  2. piano operativo di sicurezza (P.O.S.)

L’impresa familiare qualora si trovi ad operare come impresa esecutrice in un cantiere temporaneo o mobile deve applicare le disposizioni di cui al Titolo IV del d.lgs. n. 8l/2008 e più precisamente, in aggiunta alla redazione del POS, la stessa è destinataria, ai sensi dell’art. 101 comma 2 del d.lgs. n. 81/2008, del piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) ed è tenuta a trasmettere il proprio POS, ai sensi dell’art. 101 comma 3, all’impresa affidataria la quale, previa verifica della congruenza rispetto al proprio, lo trasmette al coordinatore per l’esecuzione ed è tenuta ad ottemperare agli obblighi sulla predisposizione in cantiere delle misure di sicurezza di cui all’art. 96 contenute nelle altre lettere a), b), c), d) e) f) e ad attuare, in base all’art. 100 comma 3, quanto previsto sia nel PSC che nello stesso POS al pari di ogni altro lavoratore autonomo e impresa esecutrice.

Se invece l’impresa familiare è costituita anche da lavoratori dipendenti oltre che da collaboratori familiari, l’ex procuratore capo di Torino, dott. Raffaele Guariniello, nel verbale di riunione ASL del Piemonte e Procura di Torino del 19/10/09 chiarisce che “l’ipotesi secondo la quale l’attività di “artigiano”, che può comprendere aziende con diversi dipendenti (sino a l5), escluda gli obblighi di datore di lavoro nei confronti dei propri lavoratori subordinati, a favore del più limitato obbligo di applicazione del solo art. 21, è priva di fondamento.”

Nel suo ruolo di datore di lavoro “l’artigiano” deve garantire tutte le misure di tutela previste dal d.lgs. 8l/2008 nei confronti dei propri lavoratori, mentre nel suo ruolo di artigiano che opera all’interno della propria attività e quindi nei confronti di sé stesso deve applicare le disposizioni di cui all’art. 21. Invece se i propri familiari sono inquadrati come dipendenti ad essi vanno apprestate tutte le tutele e i rispettivi obblighi al pari di qualsiasi altro lavoratore come peraltro confermato dallo stesso ministero del Lavoro con circolare n. 30/98 in cui si stabilisce che “Il vincolo di subordinazione tra familiari esiste sicuramente nell’ipotesi di formale assunzione con contratto del familiare”.

Anche se tra più persone nell’impresa familiare si distribuiscono i rischi d’impresa, in realtà la responsabilità della sicurezza, nei fatti, grava interamente ed esclusivamente sull’imprenditore titolare dell’impresa (definito come colui che esercita professionalmente, abitualmente o periodicamente, un’attività economica per produrre e/o scambiare beni e/o servizi). Egli è il solo che risponde con i propri beni personali nei confronti dei creditori e che fallisce in caso di insolvenza e che pertanto risponde dal punto di vista penale di eventuali inadempienze di sicurezza. Infatti con sentenza n° 20406 del 25 agosto 2017 la Corte di Cassazione ha stabilito che il titolare dell’impresa familiare è comunque responsabile in tema di sicurezza sul lavoro anche se non riveste la “qualifica” di datore di lavoro. Nell’ipotesi di un’impresa artigiana costituita in forma individuale, il ministero del  Lavoro si è espresso con propria circolare n. 28/97 sulla tutela antinfortunistica e di igiene che va apprestata obbligatoriamente nel caso in cui i collaboratori familiari prestino la loro attività in maniera continuativa e sotto la direzione di fatto del titolare. Nella ipotesi invece in cui tale subordinazione di fatto non sussista e il familiare esplichi saltuariamente la propria attività per motivi di affezione gratuitamente ed in veste di alter ego del titolare, la tutela non va apprestata. Le sanzioni per inadempienze all’art 21, comma 1, lett. a) e b) sono: arresto fino a un mese o ammenda da 219,20 a 657,60 euro; per la violazione dell’articolo 21, comma 1, lettera c): sanzione amministrativa pecuniaria da 54,80 a 328,80 euro per ciascun soggetto.

Si segnala infine la seguente giurisprudenza:

  • con sentenza depositata il 21 settembre 2015, 38346, la Cassazione ha affermato che qualora l’impresa familiare sia affidataria o esecutrice di lavori in cantieri in appalto, il suo titolare è tenuto a redigere il P.O.S. per gli altri addetti, anche se non è datore di lavoro di essi, sempre che sia munito di poteri decisionali e di spesa per l’impresa. Nel caso esaminato dalla Corte, nell’esecuzione di lavori edili in appalto, un componente dell’impresa familiare esecutrice degli stessi aveva subito un grave infortunio e per tale fatto ad essere imputato fu il titolare dell’impresa familiare che tuttavia aveva sostenuto di non essere il “datore di lavoro” degli altri componenti e che non era tenuto per legge a redigere il P.O.S.;
  • con l’ordinanza 20406 depositata il 25 agosto 2017 la Corte di Cassazione, intervenendo in tema di infortunio sul lavoro e sui limiti di applicazione del d.lgs. 81/2008, ha statuito che il titolare dell’impresa familiare è obbligato ad adottare nei confronti dei collaboratori familiari le misure di sicurezza sul lavoro previste dal d.lgs 81/2008;
  • con la sentenza 21 settembre 2015, n. 38346 (Sezione IV Penale) la Corte di Cassazione puntualizza due importanti profili, da un lato affermando che l’obbligo di redigere il O.S. trova applicazione anche nell’ambito dell’impresa familiare e, dall’altro, perché – avuto riguardo alla causa dell’infortunio (mancata adozione dei d.p.i. dispositivi di protezione individuale) – puntualizza che la valutazione del rischio è sempre del datore di lavoro ma è ciascun componente familiare che è tenuto a dotarsi del DPI individuato come misura antinfortunistica nel POS.

     *Ordine Ingegneri di Milano – Osservatore esterno Commissione lavoro Odcec Milano

 

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