Riflessioni sul distacco nell’ambito dell’Unione Europea

di Paolo Soro* 

Per gli imprenditori italiani lavorare fuori dai confini nazionali, in particolare nell’ambito dell’Unione Europea (EU), è sempre più frequente e per farlo non occorrono complesse strutture organizzative o chissà quali capitali, ma principalmente un’adeguata esperienza e un’assistenza professionale ad hoc.L’invio di lavoratori subordinati all’estero, per periodi più o meno lunghi, avviene – di norma – ricorrendo all’istituto del distacco transnazionale e un esempio tipico, al riguardo, è quello dell’imprenditore italiano che stipula un contratto con un soggetto che opera in un altro paese, allo scopo di eseguire dei lavori in tale paese con l’impiego in loco di proprio personale.

Per comprendere le dimensioni del “fenomeno”, è sufficiente ricordare che nel 2016 i lavoratori distaccati nell’UE erano 2,3 milioni e che il ricorso all’istituto del distacco è aumentato del 69% tra il 2010 e il 2016. In Italia i lavoratori “distaccati inviati” ammontano a 114.515, di cui il 18,7% in Francia, il 10,2% in Germania e il 36,6% al di fuori dell’UE, in Svizzera. Sono invece 61.321 i lavoratori “distaccati ricevuti”, più della metà provenienti da Germania (18,8%), Francia (18,3%) e Spagna (14%).

Il distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. Dal punto di vista contrattuale, il distacco del lavoratore non comporta una novazione soggettiva, né fa sorgere un nuovo rapporto di lavoro con il beneficiario della prestazione lavorativa, ma determina solo una modificazione nell’esecuzione della prestazione, nel senso che l’obbligazione del lavoratore di prestare la propria opera viene adempiuta non in favore del proprio datore di lavoro, ma in favore del soggetto presso il quale il datore medesimo ha disposto il suo distacco. Cosicché il datore di lavoro distaccante continua a mantenere il potere direttivo generale e di controllo (incluso quello di determinare la cessazione del distacco), e rimane colui che è tenuto all’adempimento degli obblighi retributivi, previdenziali e contributivi. Doveroso, a questo punto, richiamare l’attenzione in merito al citato interesse del datore di lavoro distaccante, la cui mancanza comporta l’illegittimità del distacco. In proposito, occorre osservare come le ipotesi più frequenti in campo internazionale siano quelle del distacco all’interno dei gruppi di imprese. Spesso la società capogruppo ha interesse a che le attività delle proprie consociate estere siano svolte nel rispetto di determinati parametri, al fine di rendere più efficiente e produttivo il gruppo stesso. Ebbene, il distacco infra-gruppo, da un punto di vista operativo, non presenta peculiarità tali da differenziarlo rispetto a un qualunque altro distacco, poiché il collegamento economico e funzionale fra imprese gestite da società del medesimo gruppo, pur controllate da una società madre, non comporta il venir meno della singola autonomia in capo alle varie società, in ogni caso dotate di distinta soggettività giuridica. Da altro verso, l’interesse della capogruppo è espressione dell’interesse di tutto il gruppo e, conseguentemente, anche di quello di ciascuna società appartenente al gruppo. Pertanto, il distacco inteso quale prestito di personale a favore di un soggetto terzo per soddisfare un interesse del distaccante, trova legittima applicazione anche in tali fattispecie e, anzi, risulta presuntivamente e a priori dimostrato quale esigenza di carattere organizzativo generale. Nonostante, infatti, i distacchi all’interno dei gruppi di imprese fossero stati inizialmente valutati con maggiore rigore, successivamente, il Ministero del lavoro (interpello  n. 1 del 20 gennaio 2016) ha chiarito che, se il distacco viene attuato tra imprese che fanno capo allo stesso gruppo, il requisito dell’interesse può ritenersi sempre esistente, al pari di quanto accade per i distacchi disposti tra aziende che hanno sottoscritto un contratto di rete.

Esaminiamo quindi il distacco di lavoratori dall’Italia ad un altro Paese dell’Unione Europea. Preliminarmente, si ricorda che, ai sensi della legislazione comunitaria (art. 57 TFUE – trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), di regola, il prestatore di servizi può esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nello Stato membro ove la prestazione è fornita, alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini, senza necessità di costituire una sede operativa o filiale. Il distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi svolta all’interno della Comunità Europea, è stato inizialmente previsto dalla direttiva 96/71/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1996. In ambito nazionale, il d.lgs. 136/2016 è intervenuto in attuazione della direttiva 2014/67/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della menzionata direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori, e recante pure la modifica del Regolamento UE 1024/2012 sulla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di Informazione del Mercato Interno (IMI – Internal Market Information).

Il sistema IMI per lo scambio delle informazioni consiste in un’applicazione software, accessibile gratuitamente, messa a punto dalla Commissione UE in collaborazione con gli Stati membri, per facilitare lo scambio di informazioni e la mutua assistenza sulla mobilità dei lavoratori. In particolare, aiuta le Autorità nazionali nell’individuare le loro omologhe in un altro Stato membro, nella gestione dello scambio di informazioni, fra cui i dati personali, sulla base di procedure semplici, unificate e pre-tradotte, che consentono di superare le barriere linguistiche (Regolamento 1024/2012). Dal 2014, la Commissione UE ha istituito il sistema per l’inter-scambio elettronico delle informazioni in ambito comunitario anche nel campo della Sicurezza Sociale Europea (EESSI – Electronic Exchange of Social Security Information). Il portale EESSI contiene le Istituzioni Nazionali (pubbliche e private) nel settore dell’assistenza sanitaria, delle pensioni, delle prestazioni familiari e della disoccupazione. Giova ricordare che l’appena richiamata normativa interna (d.lgs. 136/2016), ovviamente, trova applicazione solo per i distacchi “in entrata”; ossia, per il distacco di lavoratori da parte di un’azienda straniera di altro Stato membro verso l’Italia. Viceversa, per i distacchi “in uscita” dovrà essere verificata la legislazione di recepimento della direttiva 2014/67/UE da parte dello Stato membro ospitante. Peraltro, da un punto di vista normativo, non vi sono differenze nei distacchi intra-UE, sia verso l’Italia sia dall’Italia verso l’estero. Ciò che inevitabilmente muta è la modulistica, gli uffici presso cui rivolgersi e, in generale, lo specifico iter burocratico locale, proprio di ciascuna nazione.

Sempre in tema di norme comunitarie, pochi mesi fa (direttiva UE 2018/957 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 giugno 2018, recante: “Modifica della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi”), è stata approvata la nuova direttiva in materia di distacco dei lavoratori intra- UE, rafforzando le tutele retributive per i lavoratori distaccati, ai quali si applicano le norme del Paese ospitante per quanto concerne le retribuzioni: “Gli Stati membri devono rispettare anche i contratti collettivi regionali o settoriali, se di ampia portata e rappresentativi”. Evidentemente, così operando si potrebbero porre dei problemi nel caso in cui i contratti locali fossero peggiorativi rispetto a quelli a cui il lavoratore è soggetto in patria. Peraltro, la normativa comunitaria prevede che se le condizioni di lavoro sono più favorevoli nel proprio Paese rispetto a quelle dello Stato ospitante, è naturalmente possibile mantenerle anche durante il distacco.

Con specifico riguardo ai lavoratori distaccati “in  entrata” in  Italia, ai sensi dell’art. 4, comma 1, del suddetto decreto, trovano in ogni caso applicazione, durante il periodo del distacco, le medesime condizioni di lavoro previste dalle disposizioni normative e dai contratti collettivi di cui all’art. 51, d.lgs. 81/2015 per i lavoratori che effettuano prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui si svolge il distacco (c.d. livelli minimi di condizioni di lavoro e occupazione). Analoghe disposizioni – con, a volte, solo qualche distinguo relativamente a determinati settori di lavoro che godono di specifiche tutele nazionali – si trovano nelle legislazioni interne degli altri Paesi membri. La nuova direttiva modifica anche la durata del distacco, infatti il periodo massimo iniziale resta fissato a dodici mesi, ma con una possibile proroga solo di sei mesi. Trascorso tale termine, il dipendente può restare a lavorare nel Paese ospitante, ma dovrà a quel punto essere soggetto all’intera normativa sul lavoro ivi vigente. Gli Stati membri dovranno conformare le proprie normative interne alle previsioni della nuova direttiva entro il 30 luglio 2020. Al momento, dunque, continuano a valere le prescrizioni stabilite nella precedente direttiva.

È appena il caso di ricordare inoltre che, all’interno dell’UE, esiste il principio di libera circolazione del lavoro e dei lavoratori e che, a seguito di particolari accordi sottoscritti tra alcune nazioni e la stessa Unione Europea, detto principio si applica anche a: Islanda, Norvegia, Liechtenstein (Stati dello Spazio Economico Europeo) e Svizzera. Orbene, onde evitare l’insorgere di conflitti di legge, i regolamenti comunitari stabiliscono, in linea generale, il principio di territorialità per il quale al lavoratore si deve applicare una sola legislazione, e precisamente quella del Paese di occupazione. Peraltro, il regolamento CE 883/2004 e il regolamento di attuazione 987/2009 sono intervenuti prevedendo un’apposita deroga al principio della territorialità, per cui: i lavoratori UE / SEE / Svizzera, non in sostituzione di altri distaccati, anche se svolgono la prestazione per dodici mesi (rinnovabili per identico periodo, e comunque entro un massimo di cinque anni – fino a che non entrerà in vigore l’appena vista Direttiva UE 2018/957), restano soggetti soltanto al regime previdenziale dello Stato di appartenenza. Con riferimento ai dipendenti italiani distaccati “in uscita”, si ricorda altresì che, dal 24 settembre 2015, non è più richiesta l’autorizzazione preventiva ministeriale per l’impiego all’estero di personale da parte delle aziende, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, recante: “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”. Detta autorizzazione preventiva ministeriale avrebbe evidentemente violato la direttiva. Passando ora agli aspetti di carattere esclusivamente pratico, vediamo come si deve comportare un datore di lavoro che intende distaccare i propri dipendenti all’estero, nel territorio dell’unione europea, e quali sono i vari adempimenti da eseguire. Appare, innanzitutto, fondamentale redigere per iscritto l’accordo tra distaccante e distaccatario, anche al fine di evitare qualsiasi contestazione circa la gestione del rapporto. Oltre a ciò, occorrerà un contratto scritto per la gestione del rapporto tra datore di lavoro distaccante e lavoratore distaccato che firmerà per accettazione. In tali documenti dovranno inserirsi le clausole concernenti determinati elementi essenziali, quali:

  • la definizione dell’interesse della società distaccante;
  • le mansioni svolte a beneficio della società distaccataria;
  • la sede di lavoro;
  • la durata del distacco (in genere, viene altresì indicata la possibilità di prorogare il periodo inizialmente determinato, ovvero di poterlo cessare anticipatamente);
  • le ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive che rendono necessario il distacco;
  • la retribuzione globale garantita nel corso del distacco, precisando che trattasi di emolumenti applicabili solo nel corso del distacco all’estero;
  • gli obblighi lavorativi (tipologia di mansioni, regole disciplinari, potere gerarchico etc.) a cui sarà soggetto il lavoratore durante il periodo del distacco. Da tenere presente che, mentre il contratto afferente la gestione del rapporto tra datore di lavoro e lavoratore sarà necessariamente predisposto in lingua italiana, l’accordo tra distaccante e distaccatario dovrà essere predisposto (oltre che in italiano) anche nella lingua del Paese del distaccatario.

Nella prassi, si assiste spesso a dei contratti redatti direttamente in lingua inglese, ma questo è assolutamente da evitare (a meno che, ovvio, il distacco non avvenga in uno Stato la cui lingua ufficiale è quella inglese). Innanzitutto, non esiste una norma che prevede la redazione dei contratti in lingua inglese; ciò significa che l’accordo, a posteriori, potrebbe essere contestato in base al diritto internazionale, anche solo a causa di non corrette interpretazioni, asseritamente fuorviate da incomprensioni e/o fraintendimenti linguistici (la clausola che spesso si ritrova, tramite la quale le parti concordano sulla redazione del documento in inglese, non ha sostanzialmente effettiva valenza concreta e può essere sempre contestata).

In secondo luogo, gli Stati membri (l’Italia con il d.lgs. 136/2016, art. 10, comma 3, lettera a) hanno delle normative che impongono la redazione del contratto in questione – nonché degli altri documenti relativi al distacco, da esibire in caso di verifiche – nella propria lingua ufficiale. Si rammenta che le sanzioni sono particolarmente elevate e potrebbero comportare pure l’illegittimità del distacco stesso.

Quanto agli adempimenti da svolgere in patria, il primo passo concerne l’ottenimento del modello A1 (ex modello E 101) per i lavoratori da distaccare. Si tratta di un formulario da compilare che costituisce la certificazione relativa alla legislazione di sicurezza sociale applicabile al lavoratore, da richiedere – in Italia – alla sede dell’Inps, Istituto nazionale della previdenza sociale, competente per territorio (sede legale del datore di lavoro). Tale modello attesta l’iscrizione del soggetto che sta inviando in distacco i suoi dipendenti presso il sistema di sicurezza sociale del proprio Paese d’origine. Il certificato A1, in sostanza, indica la legislazione di sicurezza sociale applicabile al lavoratore distaccato, con il conseguente obbligo per l’impresa distaccante di pagare i contributi esclusivamente nello Stato membro di stabilimento e non anche in quello ospitante, infatti, come già detto, dal punto di vista previdenziale, ai lavoratori distaccati nell’ambito di una prestazione transnazionale di servizi si applica il principio di “personalità”, che è opposto al principio di “territorialità” vigente, invece, in materia di condizioni di lavoro, che consente di mantenere il regime contributivo (previdenziale e assistenziale) del Paese d’origine.

Al riguardo è d’obbligo di ricordare alcuni fondamentali principi di diritto enunciati di recente dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza C-527/16, pubblicata il 06/09/2018) in merito alla validità del citato modello A1, e all’enorme importanza che questo modello riveste ai fini della legittimità del distacco intra-UE.

Un certificato A1, rilasciato dall’Istituzione competente di uno Stato membro vincola, non soltanto le Istituzioni dello Stato membro in cui l’attività è svolta, ma anche i Giudici di tale Stato membro, fintantoché tale certificato non sia stato, né ritirato, né dichiarato non valido dallo Stato membro in cui esso è stato rilasciato, quand’anche le Autorità competenti di quest’ultimo Stato membro e dello Stato membro in cui l’attività è svolta abbiano deferito la questione alla Commissione Amministrativa per il Coordinamento dei Sistemi di Sicurezza Sociale, e questa abbia concluso che detto certificato era stato rilasciato erroneamente e avrebbe dovuto essere ritirato.

Il certificato A1, nello specifico, può essere ritirato solo dall’Istituzione che lo ha emesso (oppure dichiarato invalido da un giudice del Paese membro in cui ha sede tale Istituzione), e ha effetto retroattivo, quand’anche tale certificato sia stato rilasciato solo dopo che detto Stato membro aveva accertato l’assoggettamento del lavoratore interessato all’assicurazione obbligatoria ai sensi della propria legislazione.

Tornando alla modulistica, tra i c.d. Documenti Portabili (PD) rilasciati dagli istituti previdenziali e infortunistici, a fronte della richiesta da parte del datore di lavoro, per periodi massimo biennali, in particolare, l’Inail, Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, emette il PD DA1 (ex formulario E123). Tale attestato non è obbligatorio, pur essendo fortemente consigliabile in quanto consente l’accelerazione della fase istruttoria in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale. Tutti questi documenti sono facilmente richiedibili in Italia tramite l’usuale iscrizione ai servizi online dei portali internet dell’Inps e dell’Inail. Nell’ottica del lavoratore distaccato, si ricorda la necessità di essere in possesso della Tessera Europea di Assicurazione Malattia (TEAM), rilasciata dal Servizio Sanitario Nazionale, oltre, ovviamente, al proprio documento di riconoscimento valido per circolare all’interno dell’UE (es. carta d’identità in Italia). In generale, è peraltro sempre consigliabile avere con sé pure il passaporto, che può essere richiesto per il disbrigo di talune pratiche burocratiche in loco, presso determinati uffici (oltre che, sicuramente, allorché si intenda aprire un conto corrente bancario nella nazione sede del distacco – cosa praticamente indispensabile se il distacco si protrae per periodi rilevanti). Per i cittadini UE che si spostano a lavorare da un Paese membro a un altro, non occorre il permesso di soggiorno/lavoro. In proposito, giova ricordare che, seppure sono stati siglati degli appositi accordi tra l’UE, gli Stati SEE e la Svizzera, afferenti la libera circolazione dei lavoratori (cittadini UE), in detti ultimi Paesi, a seconda del periodo di lavoro, sono previsti taluni particolari specifici permessi di cui si deve dotare il dipendente distaccato.

Il lavoratore italiano (così come avviene in patria) ha diritto, sia alle prestazioni in natura, che a quelle in denaro di competenza  dell’Inps.  L’indennità  è erogata con le medesime modalità previste e applicate ai lavoratori che svolgono la prestazione lavorativa in Italia. É, dunque, l’Inps a pagare le prestazioni all’interessato sulla base della retribuzione effettiva, a seguito della comunicazione dell’evento che il dipendente resta tenuto a effettuare entro due giorni. L’Inps, inoltre, può chiedere controlli medici e accertamenti all’Istituzione del Paese estero. Quanto alle prestazioni di competenza dell’Inail, una volta segnalato il distacco del proprio dipendente presso la sede di riferimento, le denunce di infortunio sul lavoro (o malattia professionale) debbono essere compilate in funzione della legislazione dello Stato membro competente. Gli obblighi del lavoratore distaccato, viceversa, sono i medesimi previsti in caso di infortunio o malattia professionale verificatisi sul territorio italiano. Si ricorda che, se muta il tipo di rischio, occorre chiedere una specifica PAT. In merito alla durata, ai periodi di comporto e all’importo delle indennità economiche (tanto per le prestazioni Inps, che per quelle Inail), vale a tutti gli effetti la legislazione italiana, ovverossia, lo Stato in cui il lavoratore risulta essere assicurato. La base imponibile è data dalle retribuzioni effettive.

Esaminiamo a questo punto gli adempimenti da eseguire nel Paese membro presso cui il dipendente viene distaccato. Nonostante la normativa comunitaria sia evidentemente unitaria e debba essere parimenti rispettata in ogni Paese membro, da un punto di vista operativo ciascuno Stato ha i propri uffici preposti e, soprattutto, ha uno specifico iter burocratico da seguire. Pertanto, occorre informarsi previamente circa le procedure in uso nel Paese presso cui il datore di lavoro distaccante italiano intende inviare il proprio personale.

In Italia per effettuare la comunicazione preventiva del distacco occorre compilare il modello UNI-Distacco-UE (da trasmettere entro le ore 24 del giorno precedente l’inizio del periodo di distacco), il quale prevede l’inserimento delle informazioni relative a:

  • prestatore di servizi;
  • sede e durata del distacco;
  • soggetto distaccatario;
  • lavoratori distaccati;
  • settore merceologico del soggetto distaccatario;
  • referenti previsti dall’articolo 10 del lgs. 136/2016.

Le Circolari n. 14/2015 del Ministero del lavoro e n. 1/2017 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, precisano che devono essere rispettate le condizioni di lavoro di cui alla contrattazione collettiva italiana con riferimento a:

  • periodi massimi di lavoro e minimi di riposo;
  • durata minima delle ferie annuali retribuite;
  • tariffe minime salariali, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario;
  • salute, sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro;
  • non discriminazione tra uomo e donna;
  • condizioni di cessione temporanea di lavoratori da parte delle agenzie di somministrazione.

Con particolare riguardo alle tariffe salariali, il Ministero del lavoro (risposta a Interpello n. 33/2010), ha precisato che le stesse devono riguardare:

  • paga base;
  • elemento distinto della retribuzione;
  • indennità legate all’anzianità di servizio;
  • superminimi;
  • retribuzioni corrispettive per prestazioni di lavoro straordinario, notturno e festivo;
  • indennità di distacco;
  • indennità di trasferta.

Negli altri Paesi membri vi sono previsioni analoghe a quelle italiane e di seguito, a titolo meramente esemplificativo, vediamo gli adempimenti principali concernenti un’ipotesi di distacco dall’Italia alla Germania.

Il primo obbligo è, evidentemente, quello concernente la registrazione, previa compilazione dell’apposito modulo nel quale vanno riportati tutti i dati essenziali concernenti il distacco (durata, sede, lavoratori, referente etc.). Dal 1° gennaio 2017 è a disposizione il portale elettronico dell’Amministrazione doganale tramite cui inoltrare le registrazioni effettuate per le lavoratrici e i lavoratori distaccati in Germania, ai sensi delle leggi tedesche sul salario minimo (Mindestlohngesetz), sul distacco dei lavoratori (Arbeitnehmerentsendegesetz) e contro il salario clandestino (Schwarzarbeitbekämpfungsgesetz).

Per utilizzare il portale di registrazione elettronica è necessario effettuare un’unica procedura d’iscrizione, creando un account utente. Il download dei moduli prestampati “Garanzia del prestatore” non necessita di alcuna procedura d’iscrizione. Dopo aver concluso con successo la procedura di inoltro dei propri dati di registrazione attraverso il portale elettronico, viene inviata una ricevuta di conferma che può essere stampata e archiviata. L’intera procedura di registrazione è disponibile sul sito in lingua inglese.

In osservanza delle prescrizioni imposte dalla direttiva, anche la legge nazionale tedesca stabilisce l’obbligo di rispettare le condizioni già regolarmente in vigore per i datori di lavoro tedeschi, relative a:

  • salario minimo;
  • periodo feriale minimo;
  • orario di lavoro massimo;
  • periodo di riposo minimo;
  • sicurezza, salute e igiene del posto di lavoro;
  • misure preventive in merito alle condizioni di lavoro per donne incinte, bambini e adolescenti;
  • parità di trattamento tra uomini e donne; nonché le particolari condizioni di lavoro specificatamente previste in Germania per determinati settori, per i quali esiste un contratto collettivo dichiarato come obbligatorio dal Ministero del lavoro tedesco.

Esempi:

  • settore tessile e abbigliamento;
  • settore edile;
  • settore di ristorazione e alloggiamento.

Altre previsioni della normativa locale attengono l’obbligo della documentazione: i datori di lavoro che inviano dei dipendenti in Germania devono documentare l’inizio, la fine e la durata dell’orario di lavoro quotidiano, entro una settimana. La documentazione deve essere poi conservata per un periodo minimo di due anni. In dettaglio, vanno esibiti agli organi verificatori: il contratto di lavoro, le attestazioni sull’orario di lavoro, le buste paga, le attestazioni riguardo al pagamento dello stipendio, etc. Tutta la documentazione va ovviamente predisposta in lingua tedesca. In ogni caso, nella prassi, questi adempimenti sono svolti agevolmente dai colleghi locali che assistono le società presso le quali vengono distaccati i dipendenti italiani. Esistono, poi, degli obblighi specifici di cooperazione da parte dei datori di lavoro distaccanti e i dipendenti distaccati, in tutti i casi di controlli statali effettuati dalla dogana tedesca (Zoll) nell’ambito della lotta contro il lavoro clandestino. Viene richiesta una fattiva collaborazione nel fornire – oltre ai documenti personali – ogni risposta, informazione e dettaglio afferente il contratto di lavoro e i termini del distacco.

Vediamo, ora, un altro esempio pratico concernente il distacco di dipendenti italiani in Francia.

La registrazione del distacco si attua tramite compilazione della dichiarazione preliminare, da trasmettersi telematicamente, al più tardi, il giorno precedente l’inizio del distacco, presso la sede DDTEFP (Direction départementale du travail, de l’emploi et de la formation professionnelle, Direzione provinciale del lavoro, dell’occupazione e della formazione professionale) del luogo in cui verrà erogata la prestazione. La dichiarazione è redatta in lingua francese e ha un contenuto rigidamente prestabilito dal Code du Travail (Codice del Lavoro francese), concernente:

  • i dati del datore di lavoro distaccante, dei dipendenti distaccati e del datore di lavoro distaccatario;
  • la sede del distacco e l’attività svolta;
  • il contratto di distacco;
  • le retribuzioni e gli orari di lavoro;
  • gli alloggi in cui risiedono i dipendenti distaccati in Francia;
  • le modalità di presa in carico, da parte del datore di lavoro, delle spese di viaggio, vitto ed eventualmente alloggio.

Va, inoltre, designato il rappresentante locale del datore di lavoro distaccante italiano. Anche tale designazione deve essere effettuata per iscritto e tradotta in francese. Deve indicare: il cognome, il nome, la data e il luogo di nascita, l’indirizzo in Francia, l’indirizzo di posta elettronica, il numero di telefono e, ove richiesto, la ragione sociale del rappresentante. Deve inoltre contenere le seguenti precisazioni:

  • l’accettazione della designazione da parte del rappresentante;
  • la data di decorrenza del mandato;
  • la durata del mandato, la quale non può eccedere la durata del distacco;
  • l’indicazione del luogo in cui sono conservati, sul territorio francese, i documenti relativi al distacco che il datore di lavoro è tenuto a presentare, su richiesta, all’ispezione del lavoro, oppure le modalità di consultazione dei suddetti documenti.

Ovviamente, ai lavoratori distaccati si applicano le medesime disposizioni legislative, regolamentari e convenzionali applicabili a dipendenti di società operanti nello stesso settore del distaccante, stabilite in Francia in materia di:

  • libertà individuali e collettive, diritto di sciopero;
  • non discriminazione e uguaglianza professionale fra uomini e donne;
  • protezione della maternità, congedi di maternità e paternità, eventi familiari;
  • durata del lavoro, riposi compensativi, giorni festivi, ferie ;
  • minimo retributivo e pagamento della retribuzione, trattamento economico degli straordinari, trattamenti economici accessori;
  • garanzie spettanti ai lavoratori interinali;
  • regole relative alla sicurezza, salute e igiene sul lavoro, sorveglianza medica;
  • età di ammissione al lavoro, lavoro minorile, durata del lavoro e lavoro notturno dei giovani lavoratori;
  • lavoro irregolare e in nero.

Infine, una recente novità normativa è stata introdotta nel settore dell’edilizia (BTP Bâtiments Travaux Publics) e riguarda l’obbligo di richiedere la “Carta di Identificazione”. Tale  carta è rilasciata dall’associazione “Congés intempéries BTP Union des caisses de France”, su richiesta telematica del datore di lavoro distaccante (a fronte del versamento di un contributo obbligatorio di 10,80 euro) e rappresenta condizione di validità del distacco. Si precisa che tutta la documentazione afferente il rapporto di lavoro deve essere conservata ed esibita in lingua francese.

 

Concludiamo questa serie di esempi, dando uno sguardo anche alla fattispecie di distacco dall’Italia alla Spagna, in considerazione del fatto che Germania, Francia e Spagna, costituiscono, statisticamente, le nazioni UE in cui si verificano con maggiore frequenza i distacchi da e verso l’Italia.

La comunicazione iniziale (Comunicación de desplazamiento) va inoltrata telematicamente, prima dell’inizio del distacco, presso l’apposito sito Internet all’uopo predisposto dal Ministero del lavoro spagnolo (Ministerio de empleo y seguridad social), il quale provvederà anche alla creazione e tenuta di uno specifico “registro electrónico central”. Detta comunicazione contiene le seguenti informazioni:

  • identificazione dell’azienda distaccante, dei dipendenti distaccati e dell’azienda spagnola distaccataria;
  • sede e durata del distacco;
  • tipo di lavoro che svolgerà il personale distaccato;
  • referente locale.

Nel caso in cui il distacco non superi gli otto giorni lavorativi, non è necessario effettuare la comunicazione. Gli otto giorni vanno intesi anche come non consecutivi nell’arco di un anno e indipendentemente dalla circostanza che si avvicendino diversi dipendenti per il medesimo lavoro in distacco. Alcuni problemi sono sorti in merito al mancato riconoscimento, da parte delle autorità spagnole, dei certificati digitali italiani. In tale evenienza, il soggetto italiano distaccante dovrebbe munirsi di un certificato digitale in Spagna. Ciò, peraltro, non è affatto semplice e soprattutto comporta la necessità di richiedere previamente un codice fiscale spagnolo. Nella prassi, il problema viene superato usando il certificato digitale di un soggetto spagnolo (normalmente uno studio di consulenza), il quale svolgerà tutta l’attività di contatto dell’azienda italiana nei confronti delle autorità spagnole. Anche in Spagna, esistono poi determinati settori c.d. “ad alto rischio”:

  • edilizia;
  • montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati;
  • condizionamento;
  • installazioni e collaudi di impianti;
  • manutenzione, trasformazione e riparazione;
  • lavori di conservazione, pittura e pulizia.

Per i distacchi concernenti attività lavorative ricomprese in questi settori, è richiesto il requisito aggiuntivo dell’iscrizione in un apposito Registro delle Imprese (Registro de Empresas Acreditadas REA). Le aziende estere possono comunque iniziare i lavori con la sola presentazione della richiesta d’iscrizione al REA. Dopo di che, il REA ha  trenta  giorni  di  tempo  per analizzare la richiesta e i documenti presentati, e approvare o negare l’iscrizione. Trascorsi i trenta giorni senza ricevere alcuna notifica, scatta il silenzio assenso amministrativo e l’azienda può considerarsi regolarmente iscritta a tutti gli effetti.

Ovviamente, in ossequio alla normativa comunitaria, anche in Spagna, durante il distacco, occorre garantire al personale estero distaccato le condizioni di lavoro ivi vigenti per quanto riguarda:

  • i periodi minimi di riposo;
  • l’orario massimo di lavoro;
  • la durata minima delle ferie annuali retribuite;
  • la retribuzione minima (incluse indennità);
  • le misure di protezione per le donne in gravidanza e le donne con bambini;
  • la parità di trattamento fra uomo e donna.

Tutta la documentazione afferente il rapporto di lavoro deve essere conservata ed esibita in lingua spagnola.

Possiamo affermare quindi che nell’ambito dell’Unione Europea il distacco “in uscita” non presenti sostanziali differenze di rilievo rispetto al distacco “in entrata”: le norme sono evidentemente analoghe. Cionondimeno, occorre considerare che ogni Paese ha una propria procedura amministrativa da seguire, un iter burocratico da rispettare, modulistica specifica, etc. Ergo, appare sempre indispensabile preoccuparsi di eseguire previamente delle verifiche in tal senso e, di regola, relazionarsi con i colleghi che sono deputati ad assistere in loco le società distaccatarie.

Riassumendo, da un punto di vista pratico, il distacco intra-UE comporta i seguenti principali adempimenti obbligatori:

  • accordo tra datore di lavoro distaccante e dipendente distaccato;
  • contratto tra datore di lavoro distaccante e datore di lavoro distaccatario;
  • attestato A1;
  • registrazione presso l’istituzione del Paese in cui viene svolto il distacco, con indicazione del referente locale;
  • attestazione concernente il rispetto delle condizioni di lavoro (incluse le retribuzioni contrattuali) previste nello Stato in cui avviene il distacco;
  • uso obbligatorio della lingua locale per tutta la docuemntazione.

Un’ultima riflessione riguarda gli aspetti tributari. Come noto, ai sensi dell’art. 2 del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), la residenza fiscale corrisponde al luogo in cui, per la maggior parte dell’anno solare (oltre 183 giorni, anche non continuativi, nello stesso periodo d’imposta), le persone fisiche:

  • sono iscritte alle anagrafi delle popolazioni residenti, ovvero
  • hanno nel territorio dello stato il domicilio (ex art. 43, codice civile), ovvero
  • hanno nel territorio dello stato la residenza (sempre, ex art. 43, codice civile).

Da quanto precede, si può facilmente immaginare come non siano infrequenti i casi di lavoratori italiani distaccati all’estero che acquisiscono la residenza fiscale nel Paese in cui prestano la propria attività lavorativa, perdendo temporaneamente quella italiana previa iscrizione  all’Aire (Associazione italiani residenti all’estero). Appare doveroso ricordare che i datori di lavoro (distaccanti) italiani, al termine del periodo d’imposta, devono rilasciare la Certificazione unica (CU), indicando l’importo dei redditi erogati. Dal canto loro, i dipendenti distaccati con residenza fiscale estera debbono rispettare gli obblighi dichiarativi che questo loro status comporta nel Paese in cui hanno tale residenza, nonché eventualmente in Italia, in ipotesi di ulteriori redditi ivi comunque maturati/ prodotti. Al riguardo, si raccomanda altresì di porre particolare attenzione al fatto che la legislazione tributaria della maggior parte dei Paesi dell’UE (inclusi Francia e Germania) considera la residenza fiscale (al ricorrere delle specifiche condizioni previste) anche solo per frazione di anno. Viceversa, come noto, in Italia (o in Spagna), lo status di residente fiscale viene acquisito comunque per l’intero anno d’imposta. In determinati casi, dunque, si possono verificare delle situazioni di doppia residenza fiscale per una parte dell’anno e occorre accertare le regole all’uopo previste dalla convenzione contro le doppie imposizioni applicabile al caso concreto.

* Odcec Roma

 

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.