Contratto a tutele crescenti: incostituzionale il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento

di Paolo Galbusera* e Andrea Ottolina* 

Riguardo al contratto di lavoro a tutele crescenti introdotto dal d.lgs. 23/2015 (c.d. Jobs Act), con comunicato rilasciato lo scorso 26 settembre dal proprio Ufficio Stampa, la Corte Costituzionale ha reso noto di aver dichiarato illegittimo l’art. 3 co. 1, nella parte che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato in ragione della sola anzianità di servizio (due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di quattro ed un massimo di ventiquattro mensilità, limiti poi estesi dal recente d.l. n. 87/2018 – c.d. Decreto Dignità – ad un minimo di sei ed un massimo di trentasei mensilità).

Secondo la Corte, infatti, tale sistema di calcolo del risarcimento è da considerarsi contrario ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione.

La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane, quindi commenti più approfonditi potranno essere fatti dopo la lettura delle motivazioni. Quello che però si può osservare sin da subito è che la decisione della Corte apre una voragine nella disciplina del contratto di lavoro introdotto dal d.lgs. 23/2015, lasciando l’incertezza riguardo a quelle che potrebbero essere le conseguenze dell’illegittimità di un eventuale licenziamento di un lavoratore assunto in regime di tutele crescenti.

Si tornerà all’applicazione dell’art. 18 l. 300/1970 anche ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015? Una prima riflessione sulla questione sembrerebbe escludere tale ipotesi.

Stando al contenuto del comunicato diramato dalla Corte Costituzionale, infatti, si può rilevare che l’impianto complessivo del contratto a tutele crescenti non viene toccato, ma ad essere dichiarato illegittimo è esclusivamente il criterio di quantificazione dell’indennità risarcitoria introdotto dal d.lgs. 23/2015, basato su una mera operazione aritmetica che teneva conto della sola anzianità di servizio del lavoratore ingiustamente licenziato. Sembrerebbero quindi rimanere validi i limiti di tale indennizzo, così come modificati dal decreto legge 87/2018, e cioè il minimo di 6 e il massimo di 36 mensilità.

Sulla base di tale riflessione, si può ipotizzare che gli effetti pratici e immediati della decisione della Corte Costituzionale saranno due:

  • il primo è quello che i Giudici del lavoro, chiamati a decidere sui licenziamenti comminati in regime di tutele crescenti, non saranno più legati ad un parametro rigido nella quantificazione dell’indennità risarcitoria, ma potranno adeguare quest’ultima a ciascun caso, secondo la propria discrezionalità, stando però sempre all’interno della forbice tra 6 e 36 mensilità. È pur vero che anche la tutela risarcitoria prevista dal 5 dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori, così come modificato dalla Legge Fornero, prevede che la misura della relativa indennità sia determinata dal Giudice, tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità, tenendo in considerazione alcuni fattori quali proprio l’anzianità del lavoratore e il numero dei dipendenti occupati dall’azienda. È quindi ipotizzabile che i Giudici, nel quantificare l’indennità risarcitoria in regime di tutele crescenti, non si discosteranno molto dal criterio stabilito dal Jobs Act, pur riservandosi un margine di discrezionalità per adattare la misura di tale indennità alle singole fattispecie oggetto di giudizio;
  • il secondo effetto della decisione della Corte Costituzionale, quello a ben vedere più paradossale, è che i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 potranno godere di una tutela risarcitoria potenzialmente più alta di quelli assunti prima di tale data, considerato che l’indennizzo massimo previsto dall’art. 18 è pari a 24 mensilità (27 nei casi in cui è applicabile la tutela reintegratoria), mentre quello in regime di tutele crescenti è stato elevato dal Decreto Dignità sino a 36 mensilità. Questo non farà altro che rendere più complicate le trattative tra le parti in caso di licenziamento in regime di tutele crescenti, depotenziando altresì lo strumento dell’offerta di conciliazione prevista dall’art. 6 del d.lgs. 23/2015, con conseguente aumento del contenzioso giudiziale.

* Avvocato in Milano

 

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