Successione di contratti a tempo determinato e decorrenza del termine di impugnazione

di Paolo Galbusera* e Andrea Ottolina* 

L’articolo 28 co. 1 del d.lgs. 81/2015, così come modificato da d.l. 87/2018, dispone che l’impugnazione del contratto a tempo determinato debba avvenire “entro centottanta giorni dalla cessazione del singolo contratto”. In base al successivo art. 39 co. 1, anche nel caso del contratto di somministrazione sussiste l’onere di impugnazione, a pena di decadenza, nei termini di cui all’art. 6 legge 604/1966 (60 giorni), decorrente dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore.

Sul punto si è sviluppato un dibattito, anche giurisprudenziale, che riguarda il caso di successione di più contratti a tempo determinato (anche in somministrazione): in questa ipotesi, il termine di decadenza per l’impugnazione stragiudiziale decorre in relazione ad ogni singolo contratto, con conseguente necessità di una apposita impugnativa per ciascuno di essi, oppure è possibile per il lavoratore contestare entro il termine di decadenza solo l’ultimo contratto della serie, con estensione dell’impugnazione a tutti i contratti precedenti?

A questo proposito, la tesi più estensiva, emersa all’indomani dell’introduzione del termine di decadenza per l’impugnativa dei contratti a termine, è incentrata in particolare sul c.d. metus, cioè il timore del lavoratore, tipico dei rapporti senza stabilità, di avanzare una rivendicazione nei confronti del datore di lavoro e pregiudicare così la possibilità di un rinnovo del rapporto o di una stabilizzazione dello stesso. proprio per questo timore, secondo la tesi in esame, il lavoratore normalmente non impugna il singolo contratto a tempo determinato nel caso in cui lo stesso sia rinnovato prima dello spirare del termine utile per l’impugnativa, oppure procede con l’impugnazione solo negli ultimi giorni utili, quando oramai è quasi certo che il rapporto non proseguirà.

Questa tesi è stata ancora da ultimo richiamata dal Tribunale del Lavoro di con la sentenza n. 63 dell’11.1.2019, secondo la quale “in caso di successione di rapporti di lavoro a termine, l’imposizione di termini decadenziali per l’impugnazione di ogni singola frazione di lavoro a termine alle dipendenze del medesimo datore di lavoro non può legittimamente attagliarsi al lavoratore, indotto assai ragionevolmente a non impugnare nell’attesa di un possibile rinnovo contrattuale, magari a tempo indeterminato”.

Sull’argomento va tuttavia evidenziato come la tesi maggioritaria, ribadita dalla recente giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sentenza del 21.11.2018 n. 30134), sia quella più restrittiva, secondo la quale l’impugnazione stragiudiziale dell’ultimo contratto a termine della serie non si estende ai contratti precedenti, neppure ove tra un contratto e l’altro sia decorso un termine inferiore a quello utile per l’impugnativa, poiché la sussistenza di un unico rapporto di lavoro continuativo può essere determinata solo ex post, a seguito dell’eventuale accertamento della illegittimità del termine apposto da parte del Giudice, con la conseguenza che a ciascuno dei contratti in questione si applicano le regole inerenti la loro impugnabilità.

Nello specifico, la Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione con le seguenti due argomentazioni:

  • come detto, ogni singolo contratto ha una sua individualità e quindi un suo termine di decadenza per l’impugnazione. Se si optasse per la soluzione opposta, invece, verrebbe anticipata in modo non giustificato una eventuale considerazione unitaria del rapporto lavorativo, circostanza che invece è proprio oggetto della domanda avanzata in giudizio;
  • non può essere considerato come atto impeditivo della decadenza, ai sensi dell’art. 2966 cod. , l’eventuale minor lasso temporale intercorso tra i vari contratti succedutisi rispetto al termine utile ad impugnare ciascuno di essi, in quanto gli atti impeditivi della decadenza devono essere espressamente previsti dalla legge e dunque non sono suscettibili di applicazione estensiva ed analogica.

In ogni caso, non si può non osservare che l’interpretazione restrittiva data dalla Corte di Cassazione è conforme al dato letterale dell’art. 28 co. 1 in esame, il quale dispone espressamente che la decadenza per l’impugnativa decorra “dalla cessazione del singolo contratto”, ove la parola singolo assume, evidentemente, il significato specifico di isolare, ai fini dell’impugnativa, ogni contratto dalla serie nella quale viene ad inserirsi.

* Avvocato in Milano – Galbusera&Partners

 

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