“Il lavoro ai tempi della Ryan-era”, di Gabriel García Michael O’Leary

di Paolo Soro Odcec Roma

L’etica del lavoro e l’apologetica visione manageriale o’learyana sono due rette parallele che non si incontreranno mai, nemmeno all’infinito: questa è una delle pochissime certezze che si evincono dall’attuale mercato europeo del lavoro.

Con una nota diramata lo scorso 6 marzo nel suo portale istituzionale, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha comunicato di aver contestato (di concerto con gli ispettori dell’INPS e dell’INAIL) al vettore irlandese – per il solo anno 2014 – oltre 9 milioni di euro di inadempienze contributive, commesse anche attraverso il ricorso a un’illecita somministrazione di circa 600 unità di personale dipendente da società terze (peraltro, registrate come società di trasporto areo senza averne i requisiti), che operano negli aeroporti italiani di: Bari, Orio al Serio (BG), Pisa, Roma, Brindisi, Cagliari, Catania, Lamezia Terme (CZ), Milano Malpensa, Palermo, Pescara, Alghero e Trapani. Tali accertamenti, inoltre, proseguono con riferimento alle annualità successive, in relazione alle quali si stanno approfondendo i rapporti tra Ryanair e non meno di 70 società terze.

Verrebbe da dire: il lupo perde il pelo, ma non il vizio.

I due fondamentali principi comunitari, ribaditi in più occasioni dalla Corte UE (che, evidentemente, il magnate irlandese e i suoi consulenti continuano a far finta di non comprendere), sono i seguenti:

  1. La sede lavorativa dei dipendenti delle compagnie di volo corrisponde alla loro “home-base” contrattuale (non certo alla nazione in cui risultano essere stati immatricolati gli aeromobili)
  2. Per tutti i dipendenti, qualunque sia la loro residenza, provenienza o nazionalità, devono essere rispettati i livelli minimi delle condizioni di lavoro e di occupazione del Paese membro nel quale prestano le loro mansioni.

Nello specifico, in Italia (ma, a dire il vero, in maniera abbastanza analoga anche negli altri Stati UE), come già chiarito dal Ministero del Lavoro nella Circolare 14/2015, l’attività lavorativa risulta disciplinata dalle disposizioni di legge, dalle indicazioni amministrative e dalle clausole della contrattazione collettiva interna, con riferimento a:

  • periodi massimi di lavoro e minimi di riposo
  • durata minima delle ferie annuali retribuite
  • tariffe minime salariali, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario
  • salute, sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro
  • non discriminazione tra uomo e donna
  • condizioni di cessione temporanea di lavoratori da parte delle agenzie di somministrazione.

In particolare, poi, la nozione di tariffe salariali comprende le seguenti voci:

  • paga base
  • elemento distinto contrattuale della retribuzione
  • indennità legate all’anzianità di servizio
  • superminimi
  • retribuzioni corrispettive per prestazioni di lavoro straordinario, notturno e festivo
  • indennità di distacco (se compensative del disagio dovuto all’allontanamento dei lavoratori dalla loro sede abituale)
  • indennità di trasferta.

Orbene, in ossequio al modus operandi o’learyano, indipendentemente dalla sede lavorativa contrattuale e dai diversi luoghi in cui il personale è comandato a svolgere le sue mansioni, tutti i contratti prevedono la giurisdizione esclusiva dell’Irlanda. Inoltre, le condizioni di occupazione e di lavoro prefissate in tali contratti sono ben al di sotto del limite minimo che occorre garantire nella maggior parte dei Paesi membri (e, comunque, di certo in Italia, per quanto attiene al caso che qui nello specifico ci occupa). Ciò sarebbe possibile in base al diritto irlandese che consente siffatta libera autonomia contrattuale fra le parti. Per contro, è però evidente come dette clausole siano chiaramente vessatorie e, quel che più conta, non rispettino il diritto comunitario e i principi affermati dalla Corte UE.

Non basta. Di regola, i lavoratori non vengono assunti direttamente da Ryanair, ma da altre società di “servizi”. Si tratta di una sorta di periodo di “apprendistato” al fine di valutare i dipendenti e decidere se possano successivamente passare alle dipendenze del vettore. Tramite tale escamotage, si ottengono due differenti vantaggi: prima di tutto, facendo leva sulla precarietà del rapporto di lavoro, si predispongono contratti fortemente penalizzanti; secondariamente, si ritiene di evitare un coinvolgimento diretto di Ryanair in merito a qualsivoglia eventuale controversia che possa in ipotesi essere instaurata in futuro.

Oltre un anno fa, in un mio precedente contributo sulla rivista del Gruppo ODCEC Area Lavoro, “Il Commerci@lista Lavoro e Previdenza”, avevo già avuto modo di osservare:

“Un sistema quale quello appena evidenziato, in Italia, presenterebbe non pochi rischi, essendo di tipo ‘border-line’ rispetto alle fattispecie di illecita somministrazione di mano d’opera, atteso che questi dipendenti parrebbero distaccati a prestare le loro mansioni sui velivoli della Ryanair, in funzione di un interesse economico da parte di tale secondo soggetto distaccatario, e non certo del datore di lavoro distaccante.” 

A quanto pare, oggi, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro la pensa allo stesso modo, posto che ha contestato anche tale specifica fattispecie di violazioni.

Non ci resta, allora, che attendere di vedere come andrà a finire l’ennesimo capitolo della saga “L’affaire Ryanair”, augurandoci che simili comportamenti siano correttamente sanzionati a norma di legge e perseguiti in ogni competente Sede.

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